Studiano a Bologna. Ora, con la mostra ScartConnection, hanno deciso di raccontarsi. Sono giovani artisti albanesi e creano un mondo contrastato, tra tradizioni del loro paese d'origine e tendenze più recenti dell'arte contemporanea
L'arte è il miglior strumento per mettere a contatto due culture; e grazie all'universalismo dell'arte contemporanea, la comunicazione diviene ancora più intensa e chiara. Hanno pensato così gli studenti albanesi di Bologna che hanno voluto presentare la propria cultura intrecciandola con l'arte che studiano in Italia, intendendo costruire un ponte interculturale e transnazionale tra Italia e Albania.
ScartConnection, la mostra organizzata dall'Usab (Unione studenti albanesi di Bologna) ha avuto luogo nella stessa città dove i giovani artisti studiano ed ha suscitato notevole interesse tra i visitatori che hanno avuto modo di esplorare, per circa tre giorni, un frammento dell'arte albanese.
E' stata infatti un'esposizione di opere che spaziava tra una pluralità di generi artistici tra cui pittura, scultura, fotografia e installazioni. Si mescolavano tradizioni che i giovani artisti portano con sé dal proprio paese d'origine a tendenze alternative che in Albania sono una novità degli ultimi anni, da quando cioè si è dichiarato irrevocabilmente guerra al realismo che irrigidiva le arti durante gli anni del comunismo.
Spicca una ricchezza di espressione e di colori. Questi artisti sentono il richiamo di quella che è una tendenza diffusa: l'uso dei colori caldi e delle forme tonde, con cui realizzano quadri angoscianti come la Solitudine di Fation Murati che potrebbe essere un contemporaneo di qualsiasi nazionalità, in qualsiasi parte del mondo. Le opere di Bledar Kapllani, Malesori o la Vasha dal foulard rosso segnano invece l'incontro dell'arte contemporanea con il folklore albanese, un terreno tipico che ispira da tempo molti pittori albanesi, tra cui anche il celebre Maks Velo.
Questo terreno, infatti, viene utilizzato per trasmettere emozioni forti e far stupire con qualcosa di mistico e affascinante come il montanaro albanese con il cappellino bianco, o la vasha ('ragazza' in un albanese dalla connotazione romantica) che vengono a far parte della formazione artistico-letteraria dei giovani albanesi già nei primi anni di scuola attraverso i racconti di folklore e le versioni riadattate dei cicli epici, che nell'immaginario collettivo conservano qualcosa di intatto e di autenticamente albanese.
Proprio perché autentici, questi elementi non mancano quasi mai nelle mostre degli artisti albanesi, come se fossero una parte imprescindibile della loro identità. Ma vi sono anche quadri dall'astrazione multicolore che ricordano un po' il miscuglio delle pennellate irritate degli espressionisti e che lasciano spazio a una moltitudine di interpretazioni.
Vi sono poi sculture che si ispirano al classico: un'opera che un albanese non può non scolpire, uno Skanderbeg fiero dal naso aquilino e lo sguardo accigliato che si proietta lontano, come solitamente viene presentato l'eroe nazionale albanese. Anche questo è un elemento che cova l'identità, il mito di un principe che respinse i turchi per più di 25 anni, una delle poche figure della storia albanese che non potrà mai venire demistificata del tutto. Anche lo Skanderbeg di Klodian Dodaj, seppure ritoccato in chiave moderna, assomiglia alla rappresentazione classica del personaggio mitico che per gli albanesi oggi simboleggia, tra le altre cose, il legame con l'oltremare, le alleanze con la famiglia de' Medici, e per alcuni le affinità con il mondo cattolico, essendo uno dei sovrani albanesi più conosciuti in Occidente.
Ma vi sono anche opere che sfuggono al realismo: un nudo che si scioglie o si sgualcisce, un volto sfigurato e sproporzionato che dimostrano l'affermazione di una tendenza che si allontana sempre più dai tempi in cui la scultura era un'arte propagandistica per glorificare vecchi e nuovi eroi del popolo. E' infatti un genere nuovo che sta progredendo lentamente, ma è evidente che questi giovani artisti ne costituiscano un enorme apporto.
Sono molto interessanti anche le fotografie esposte in questa mostra: alcune hanno colto realtà italiane, rese anonime ed estremamente espressive da tecniche fotografiche; altre, forse le più stimolanti, ritraggono pezzi della realtà albanese. Tra queste, La famiglia in un ambiente rurale, opera di Klodian Dodaj, in cui spicca il ragazzino che indossa una maglietta-bandiera, come quelle che si trovano facilmente dai venditori ambulanti sui marciapiedi delle città di mare insieme ad altri souvenir nazionalistici che sembrano star lì per essere venduti ai turisti patriottici - prodotti con cui il mercato sfrutta con furbizia il nazionalismo romantico e il legame con la "terra madre" degli albanofoni ex-jugoslavi.
Allo stesso tempo, sembra anche un infantile compiacimento dell'aspetto estetico della propria bandiera, spoglio da qualsiasi contesto ideologico, essendo il motivo dell'aquila bicipite nera su sfondo rosso uno dei design più utilizzati sui kilim anche nelle zone dove il nazionalismo si è sbiadito da tempo. I giovani fotografi albanesi amano ritrarre l'assurdo che a volte si incontra in Albania. E' questo il caso del bambino con la pistola che ricorda un po' il '97, un momento surreale dove la convivenza con le armi era diventata la normalità assoluta, come prova a dimostrazione del fatto che l'essere umano si può abituare a tutto, prima o poi.
E' un mondo di contrasti che si distinguono più nettamente quando, vivendo all'estero, si raggiunge una capacità comparativa che permette di estraniarsi dal proprio ambiente e di vederlo con occhi diversi. Questo modo di ritrarre l'Albania ricorda Ina Verzivolli, un'altra fotografa albanese con numerose mostre alle spalle, sempre formatasi in Italia in questo limbo tra le due culture, che stimola a cogliere più approfonditamente la specificità di ognuna.
La mostra di Bologna ha attratto molti, offrendo così un modo alternativo per avvicinarsi ad un paese attraverso una generazione che non può che esprimere la sua doppia identità tra il paese d'origine e il paese in cui vive e studia, fungendo da ottimo punto di incontro tra le due culture.