In questa delicata fase di cambiamenti geopolitici, per il Sud est Europa si apre una nuova fase di cooperazione regionale che potrebbe costituire un importante strumento di coesione tra gli stati della regione
di Christophe Solioz*
Con la proclamazione unilaterale d'indipendenza del Kosovo il 17 febbraio 2008 è la stabilità dell'intero spazio post-jugoslavo che sembra rimessa in questione. Per una coincidenza di calendario, è proprio quando torna a riemergere la tensione che il Patto di stabilità per il Sud est Europa mette fine alla sua attività non senza, è vero, passare il testimone al Consiglio di cooperazione regionale (CCR). È in un contesto geopolitico colpito da una nuova crisi legata alla questione del Kosovo che la cerimonia di passaggio avrà luogo il 27 febbraio 2008 a Sofia. Non si tratta pertanto di una falsa partenza, ma al contrario di una nuova partenza di cui è importante prendere le misure.
La sede del nuovo organismo non è più Bruxelles, ma Sarajevo; il segretario di stato Hido Biscevic dà il cambio al coordinatore speciale del Patto di stabilità, ossia l'ex vice-cancelliere austriaco Erhard Busek. Infine, il Consiglio di cooperazione regionale è posto sotto il patrocinio del Processo di cooperazione nel Sud-Est Europa (SEECP). Fondato nel 1996, questo processo raggruppa 11 paesi: Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Grecia, Macedonia (FYROM), Moldavia, Montenegro, Romania, Serbia e Turchia.
L'ancoraggio della regione viene così chiaramente espresso. Questo aspetto è rilevante, talmente è divenuto ormai pratica corrente vedere programmi imposti dalla "comunità internazionale" e pilotati dall'esterno, di conseguenza senza reale legittimità endogena. Se si accettano i casi problematici della Bosnia-Erzegovina e del Kosovo, dove la logica del protettorato ancora prevale, la creazione del Consiglio di cooperazione regionale segna una tappa importante nell'appropriazione del processo di transizione e di democratizzazione da parte degli attori locali.1
Torniamo indietro. La creazione del Patto di Stabilità il 10 giugno 1999 corrisponde alla fine dell'intervento NATO nella Repubblica Federale Jugoslava; con la risoluzione ONU 1244 adottata lo stesso giorno, mette fine alla transizione di guerra dell'intero spazio jugoslavo. L'obiettivo dichiarato è consolidare la pace e stabilizzare, sia sul piano militare che civile, il Sud est Europa. Mentre il processo d'integrazione europea si fa caso per caso, l'ambizione del Patto di stabilità è di correggere il bilateralismo che caratterizza l'allargamento dell'Unione Europea privilegiando la cooperazione regionale. In seguito all'applicazione piuttosto infelice di una politica di frammentazione, l'Unione Europea applica finalmente ai Balcani una visione d'insieme e una strategia globale fondata sul multilateralismo.
Un bilancio si impone circa 9 anni più tardi. Dimenticato l'entusiasmo del summit di Sarajevo che lanciò ufficialmente il Patto di stabilità (29-30 luglio 1999), è doveroso constatare che quest'ultimo non ha esercitato un ruolo politico rilevante né in Bosnia-Erzegovina, né in Kosovo né da nessun'altra parte nella regione. In effetti, è l'UE all'origine sia della pace di Ohrid (1 agosto 2001), mettendo così fine alla crisi politica in Macedonia (FYROM), sia dell'accordo che portò alla creazione dell'Unione Serbia-e-Montenegro (14 marzo 2002), per facilitare la separazione consensuale tra questi due stati (giugno 2006). Altra aspettativa disattesa, malgrado i circa 5 miliardi a disposizione, il Patto di Stabilità non è riuscito a mantenere le promesse di un Piano Marshall per i Balcani ma, più modestamente, ha contribuito - attraverso un migliore coordinamento dei molteplici attori e programmi impegnati nella regione - a sostituire alle logiche abituali di concorrenza delle logiche di complementarità.
La cooperazione regionale, ancora poco sviluppata nel 2000, è divenuta, al contrario, una realtà tangibile grazie all'azione del Patto di stabilità; accordi multilaterali, progetti di cooperazione transfrontaliera, misure di sostegno alle relazioni di buon vicinato ne chiariscono la riuscita. Un protocollo d'intesa riguardante lo sviluppo delle risorse dei trasporti è stato firmato nel 2004; la creazione di uno spazio aereo europeo comune tra il Sud est Europa e i paesi membri dell'UE completa il dispositivo nel giugno 2006. In un altro settore molto sensibile, quello dell'energia, il Trattato per la comunità dell'energia mette in atto, da ottobre 2005, un mercato regionale integrato di risorse di elettricità e gas naturale. Infine, l'Accordo Centro Europeo di Libero Commercio (CEFTA), riformato, raggruppa da dicembre 2006 i 32 accordi bilaterali di libero scambio in un unico accordo commerciale regionale; nasce così una vasta zona di libero scambio tra i Balcani occidentali e i paesi vicini.
Questi esempi mostrano i criteri che presiedono al successo di una cooperazione regionale ben intesa: il riconoscimento del bisogno e dei profitti ricavati, una volontà politica degli attori locali e l'implicazione di attori esterni - nella fattispecie l'UE, ma si può pensare qui anche al Consiglio d'Europa così come alle agenzie ONU quali la Commissione economica delle nazioni Unite per l'Europa (UNECE). 2
Su scala europea, la cooperazione regionale si differenzia in sottoinsiemi regionali di cui è importante sviluppare il networking. Così, la cooperazione regionale in Sud est Europa può essere qualificata come subregionale e ha tutto da guadagnarci ad associarsi più strettamente con il processo di Cooperazione economica del Mar Nero (CEMN). Tale alleanza è tanto più evidente quanto più paesi fanno parte delle due strutture; da qui l'importanza di facilitare le alleanze tra differenti dispositivi subregionali.
Siamo quindi in presenza di una complessa architettura comprendente i meccanismi europei che sono l'allargamento, le euroregioni, i partenariati privilegiati (con la Turchia e con la Russia) e la politica europea di vicinato (PEV), così come le varie iniziative subregionali, specialmente il partenariato euromedoterraneo (PEM), il GUAM che raggruppa Georgia, Ucraina, Azerbajdjan e Moldavia, il Consiglio di cooperazione regionale e il processo di Cooperazione economica del Mar Nero.
Dopo la piccola Europa del mercato comune nata col Trattato di Roma, l'Europa del mercato unico e del Trattato di Maastricht, l'Europa allargata a est del 2004 e del 2007, c'è un nuovo approccio paneuropeo che deve venire alla luce. Si tratta di un compito evidentemente difficile e complesso che presuppone lo sviluppo di una complementarità tra l'integrazione europea, che resta un processo individualizzato e differenziato, e la cooperazione regionale, per definizione multilaterale e plurale. 3
Troppo spesso, l'esperienza del Gruppo di Visegrad e dei Balcani occidentali lo testimonia, la cooperazione regionale è stata imposta dall'esterno come condizione da soddisfare in una prospettiva dell'adesione all'Unione Europea - una "condizionalità europea" nel gergo specifico europeo. Il Consiglio di cooperazione regionale avrà la missione di promuovere lo sviluppo della cooperazione a livello regionale come valore intrinseco e la mutualizzazione degli spazi di cooperazione regionale.
*Christophe Solioz è il segretario generale del CEIS. Alla fine del 2007 ha pubblicato con Hannes Swoboda, "Conflict and Renewal: Europe Transformed"; e ha curato con Wolfgang Petritsch la pubblicazione di Regional Cooperation in South East Europe and Beyond: Challenger and Prospects (Baden-Baden, Nomos,2008)
1 Cf. Christophe Solioz, L'Après-guerre dans les Balkans: appropriation des processus de transition et de démocratisation pour enjeu, Paris, Karthala, 2003.
2 Cf. Christophe Solioz, "Rethinking south-eastern Europe through a pan-European perspective", South East Europe Review, 10 (2007) 2, pp. 67-80; et Milica Delevic,Regional Cooperation in the Western Balkans, Paris, Institute for Security Studies, Cahier de Chaillot, no. 104, luglio 2007.
3 Cf. Jaques Rupnik (a cura di), Les Banlieues de l'Europe, Paris, Sciences po, 2007