Distribuzione degli aiuti a Tbilisi (foto Maura Morandi)

Oltre 100.000 rifugiati a Tbilisi, dove il governo ha requisito 650 edifici. Gori è ancora una città fantasma. 30.000 rifugiati in Ossezia del Nord. La cronaca della nostra corrispondente

22/08/2008 -  Maura Morandi* Tbilisi

Sono oltre 100.000 i profughi che si sono riversati nella capitale georgiana Tbilisi a seguito del conflitto scoppiato lo scorso 8 agosto tra Georgia, Ossezia del Sud e Russia.

Le prime stime dell'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) avevano indicato un totale di circa 145.000 sfollati che avrebbero abbandonato le proprie case in Ossezia del Sud e in Abkhazia, nelle aree adiacenti le zone degli scontri armati e dell'occupazione delle truppe russe. Le stime aggiornate a questa mattina v. mappa allegata parlano invece di oltre 150.000 profughi e sfollati.

Dai villaggi georgiani della repubblica secessionista dell'Ossezia del Sud sarebbero scappate circa 15.000 persone che avrebbero trovato rifugio prima a Gori e poi, quando anche questa città è stata attaccata dalle truppe russe, a Tbilisi.

La quasi totalità degli abitanti della stessa Gori ha abbandonato la città per dirigersi verso la capitale georgiana nei giorni dell'attacco russo. Circa 45.000 persone avrebbero quindi lasciato la città natale di Stalin, che oggi appare quasi completamente disabitata.

Altri 15.000 sfollati si sono spostati dai villaggi situati nella zona compresa tra Gori e i confini con la regione di Tskhinvali. Dall'Ossezia del Sud, inoltre, circa 30.000 osseti hanno trovato rifugio in Ossezia del Nord, nella Federazione Russa.

Altri 30.000 sarebbero gli osseti che sarebbero diventati profughi all'interno della stessa Ossezia del Sud, in quanto costretti a lasciare le proprie case pur rimanendo nella regione. Tale stima però non può ancora trovare conferme, a causa della limitatissima accessibilità del territorio osseto. Ad oggi, infatti, solo un paio di organizzazioni umanitarie hanno potuto recarsi nella regione di conflitto, ma limitando la visita alla sola Tskhinvali.

Nella Georgia Occidentale l'entrata delle truppe russe avrebbe causato 10.000 profughi. I combattimenti nella Valle del Kodori, nella regione secessionista dell'Abkhazia, hanno causato infatti lo spostamento di circa 3.000 persone, mentre 7.000 si sarebbero spostate dall'area intorno a Zugdidi e Senaki a causa dell'arrivo di truppe di peace-keeping russe insieme all'esercito regolare di Mosca.

I dati ufficiali provenienti dal ministero dei Rifugiati georgiano stanno confermando le stime dell'UNHCR. Ad oggi infatti i profughi contati dalle autorità georgiane nell'intero paese sono oltre 120.000. Ma il numero cresce ogni giorno.

Gli sfollati sono sistemati in oltre 750 scuole, asili, edifici pubblici e privati. Oltre 650 sono gli edifici occupati nella sola Tbilisi.

Ora è emergenza per il governo georgiano e per le agenzie umanitarie impegnate nella distribuzione degli aiuti. I profughi sono arrivati a Tbilisi solo con i vestiti che indossavano al momento della fuga, senza nulla, completamente impreparati all'escalation del conflitto. Hanno bisogno di cibo, di coperte, di prodotti per l'igiene personale e di vestiario. Tante sono le donne incinte, i bambini molto piccoli e gli anziani.

Gli aiuti umanitari sono stati tempestivi. Diverse organizzazioni internazionali governative, organizzazioni non governative, associazioni religiose e fondazioni caritatevoli sono intervenute in sostegno delle autorità georgiane. Molti sono anche i donatori che stanno aiutando la popolazione georgiana colpita dal conflitto: governi stranieri, ambasciate a Tbilisi, imprese e aziende georgiane e internazionali. Molti anche i giovani volontari georgiani che stanno offrendo il loro aiuto alle organizzazioni umanitarie per la distribuzione e il coordinamento degli aiuti.

Dopo il cessate il fuoco firmato tra Georgia e Russia, la maggior parte degli sfollati provenienti da Gori aveva sperato in un rapido ritorno alle proprie abitazioni. Ma il lento ritiro delle truppe russe dalla cittadina sta ostacolando il processo.

Ora, insieme ai problemi politici, si apre un altro grave problema per l'amministrazione di Tbilisi. Circa il 75% dei centri di accoglienza sono asili e scuole, che avrebbero dovuto riaprire l'anno scolastico a settembre. L'inizio della scuola, tuttavia, è già stato posticipato a ottobre a causa dell'emergenza e dell'occupazione degli edifici da parte dei profughi.

Distribuzione degli aiuti a Tbilisi (foto Maura Morandi)

Il governo georgiano sta ora cercando di trovare sistemazioni alternative per poter ospitare a lungo termine gli sfollati. Secondo le stime iniziali dell'UNHCR, infatti, circa 25.000 saranno i profughi a lungo termine, cioè le persone provenienti dall'Ossezia del Sud e dai villaggi circostanti che non potranno tornare presto nelle loro case.

Non appena ristabilite le condizioni di sicurezza e l'ordine delle autorità georgiane, gli abitanti di Gori dovrebbero potersi ristabilire in città. Gori non è infatti stata danneggiata così pesantemente come si era pensato nei giorni dei bombardamenti e dell'attacco russo. Allo stato attuale delle cose tuttavia, con i carri armati russi che ancora controllano la cittadina, è difficile prevedere quando gli abitanti potranno fare ritorno.

Mercoledì 19 agosto l'Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha visitato la capitale georgiana per stimare i bisogni umanitari e incontrare i profughi. Durante la visita, Guterres ha incontrato i rappresentanti delle autorità georgiane con i quali ha discusso l'entità degli aiuti necessari per assistere gli sfollati. Dopo aver visto le condizioni disperate in cui vivono i profughi, Guterres ha dichiarato che farà di tutto per informare la comunità internazionale e mobilitare gli aiuti per le vittime del conflitto. La missione di Guterres è poi proseguita in Ossezia del Nord, dove ha visitato i centri di accoglienza che ospitano i profughi osseti.

*Programme Officer, UNHCR Georgia. Le opinioni espresse nell'articolo sono da attribuirsi unicamente all'autrice e non riflettono necessariamente la posizione dell'UNHCR