Viaggio in Nagorno-Karabakh, regione contesa tra Armenia ed Azerbaijan, alla scoperta della minoranza azera. I racconti di un'identità complessa, e di famiglie divise. Un articolo tratto da IWPR
Di Karine Ohanian* - IWPR
Traduzione a cura di Gaia Baracetti
La maggior parte di loro passa inosservata e ha nomi armeni, ma il Nagorno-Karabakh, che in superficie sembra un territorio completamente armeno, ospita una silenziosa popolazione azera.
La guerra ha separato molti di loro dai figli o dai parenti che vivevano dall'altra parte della linea del fronte. Per molti osservatori esterni, è già sorprendente scoprire che ci sono ancora azeri che vivono qui. Chiaramente ce ne sono molti meno di quanti ce ne fossero prima della guerra, quando circa un quarto della popolazione del Nagorno-Karabakh era azera. Quasi tutti fuggirono in massa durante il conflitto. Ma ne sono rimasti un po': sono soprattutto gli azeri che hanno sposato armeni, e i loro figli.
Secondo il dipartimento nazionale di statistica del Nagorno-Karabakh, gli azeri sono classificati come una delle minoranze etniche del Karabakh; le cifre ufficiali saranno pubblicate il prossimo mese. Ma è difficile calcolare i numeri reali perché molti di loro hanno cambiato i propri cognomi o usano i cognomi armeni acquisiti col matrimonio.
La sessantenne Nailya Jafarova (questo non è il suo vero nome), vive a Stepanakert dal 1968. "Non mi ricordo di una sola volta in cui un armeno mi abbia detto: Vattene dal Karabakh!", ha dichiarato a IWPR.
Ha raccontato che è stata aggredita una sola volta, al culmine della guerra del 1991-94, quando era in fila per il latte e una donna le disse che non aveva nessun diritto di essere lì, ma altri in fila la difesero. "Non avevo bisogno di rispondere perché gli altri risposero per me: gli armeni che mi vedevano come un essere umano, non come una rappresentate di una nazionalità", spiega.
Nailya era avviata ad una carriera accademica presso l'Academia delle Scienze dell'Azerbaijan, quando si innamorò è seguì il marito armeno in Karabakh. Racconta che ai genitori non dispiaceva tanto che sposasse un armeno, quanto che andasse a vivere lontano da casa.
Il marito fu ucciso da un colpo di artiglieria durante la guerra e lei rimase da sola con due bambini. Ora ha tre nipoti.
"In Karabakh, essere azera non mi dà problemi. Devo affrontare le stesse difficoltà di tutti in Karabakh: difficoltà a trovare lavoro, salari bassi, nessuna previdenza sociale. Ma vado d'accordo con tutti. L'unico vero problema è che non vedo i miei parenti a Baku da molto tempo", dice.
"Sono in contatto con i miei parenti, o attraverso internet, o tramite mia nipote a Mosca -e mi chiedono di incontrarci su un territorio neutrale, in un posto in Georgia che si chiama Sadakhlo. Ma io preferirei andare a Baku. Tutti i miei parenti hanno figli e nipoti, e io li voglio vedere tutti. E voglio visitare la tomba dei miei genitori."
Dice che i suoi figli si sentono armeni, ma parlano ancora azero e alle volte guardano i canali azeri, che si riescono a prendere in Karabakh. Continua a cucinare le sue specialità azere preferite, per cui vanno matti i suoi amici e nipoti.
Seda Ghazarian, un'ex impiegata dell'anagrafe che ha celebrato matrimoni per 25 anni, sostiene che sotto l'Unione Sovietica i matrimoni misti tra armeni e azeri erano rari nella città a maggioranza armena di Stepanakert, capitale del Karabakh, ma più frequenti nella città a maggioranza azera di Sushi, chiamata Shusha dagli azeri. Era più probabile che una donna armena sposasse un azero, che viceversa.
La sessantottenne Asya, un'armena che ora vive nel villaggio di Gharabulakh, ha avuto quattro figli dal marito azero. Allo scoppiare della crisi in Karabakh, fu costretta a curarsi ad Ashgabat, in Turkmenistan: non poteva essere curata a Stepanakert perché aveva sposato un azero, né a Baku, perché era armena.
Mentre era ancora ad Ashgabat, venne a sapere che la sua città natale era stata presa dagli armeni, e che la sua famiglia era dovuta scappare a Baku. Asya tornò in Karabakh per prendersi cura della madre malata e per aspettare che la guerra finisse per ricongiungersi con i figli. La sua attesa durò quattordici anni, durante i quali le sono nati otto nipoti, che lei non ha mai visto.
Poi ricevette una lettera dalla figlia: "Cara mamma, ti sogno sempre, ed ogni mattina mi sveglio in lacrime! Che Dio permetta che questa guerra finisca e che possiamo riabbracciarci di nuovo. Prenditi cura di te! Abbi pietà e perdona i tuoi figli innocenti, e tormentati!"
Asya piange mentre dice: "Quante notti ci sono in quattordici anni? Ognuna di queste notti desideravo che i miei figli mi apparissero in sogno. Poi è tornato il sole nella mia vita."
Ha ricevuto una lettera del figlio e si sono messi d'accordo per incontrarsi in Georgia. "Non ci lasciavano attraversare il confine, perché i nostri passaporti non erano in regola. Ma quando hanno scoperto che non ci vedevamo da quattordici anni, ci hanno lasciati passare. Mio figlio ha teso le braccia verso di me. Per due minuti ero come svenuta tra le sue braccia. I passanti continuavano a chiedere cosa fosse successo. Piangevano anche loro."
Spesso dietro a un nome armeno si nasconde un azero. Alexander, 52 anni, ha un cognome armeno, ma tutti sanno che in realtà è un azero, e porta il nome del primo marito di sua madre. Ma dice di sentirsi armeno: "Quando ho compiuto quattro anni, per anni la famiglia di mio padre ha insistito perché fossi circonciso come tutti i bambini azeri. Io e la mamma non eravamo d'accordo. Da quella volta non siamo in buoni rapporti con la famiglia di mio padre. Se adesso li vedo ancora? No, non vorrei."
Alexander ha combattuto nella guerra in Karabakh, come praticamente tutti gli uomini della regione. "Ho difeso la mia terra, com'è dovere di ogni uomo", ha detto. Oggi quest'uomo di buona indole e suo figlio lavorano per un'impresa edile nel Karabakh, e sia amici che colleghi parlano molto bene di lui.
"Sono un semplice lavoratore, e nella mia vita ho imparato una semplice verità: che quello che conta è il lavoro di un uomo e il suo carattere, non la sua nazionalità", dice.
La sessantacinquenne Svetlana Gevorkiana, che ha vissuto tutta la sua vita a Stepanakert, dice che ci sono parecchie famiglie miste di armeni e azeri che vivono nella sua via.
"Vivono qui come noi", spiega. "Nessuno fa differenza tra armeni e azeri". Svetlana conferma che, come per molti della sua generazione, la cultura azera è rimasta parte della sua vita.
"Parlo l'azero perché a scuola ho studiato azero, non armeno. E mi ricordo ancora che la mia insegnante si chiamava Maleka Mamedova. Suo marito era armeno. E si parlava azero al mercato: i mercanti erano soprattutto azeri e ci rivolgevamo a loro nella loro lingua."
Conferma che la sua generazione conosce e ricorda ancora l'Azerbaijan, ma che questo sta lentamente scomparendo.
"Ci piacerebbe molto sapere cosa pensa la gente in Azerbaijan della guerra. Alle volte guardiamo AzTV, riceviamo il loro primo canale, ma quando sento sempre ripetere la stessa cosa - che devono combattere, combattere, combattere - mi viene ansia e spengo, e poi non guardo di nuovo quel canale per un sacco di tempo", dice.
"L'unico nostro legame con l'Azerbaijan ora è che vendono ancora il tè azero. Non so come arrivi qui - una volta era di ottima qualità, ma ora è meno buono."
* Karine Ohanian è una giornalista freelance a Stepanakert, Nagorny Karabakh