Il Rettorato dell'Università di Banja Luka, sede del convegno (foto OBC)

Il convegno di italianistica dell'Università di Banja Luka, in collaborazione con l'Ambasciata d'Italia in Bosnia Erzegovina e l'associazione Marco Polo. Noi e loro, intervista a Danilo Capasso*

16/06/2009 -  Andrea Rossini Banja Luka

Le riunioni accademiche si svolgono raramente all'insegna dell'entusiasmo. Ha fatto eccezione il recente convegno internazionale di italianistica "L'Italia vista dagli altri" (Kako drugi vide Italiju), che ha riunito a Banja Luka il 12 e 13 giugno scorsi oltre 20 relatori provenienti da diversi paesi europei. La forte motivazione del comitato scientifico proponente (Stefano Adamo, Danilo Capasso, Daniele Onori e Roberto Russi), il sostegno istituzionale e l'ottima regia organizzativa sono stati tra gli ingredienti del successo. Tra i presenti molti importanti esponenti degli studi di italianistica in Europa e - particolarità perseguita con successo dagli organizzatori - tutte (salvo una) le cattedre di italianistica dell'area ex jugoslava.

Senadin Musabegovic (foto OBC)

Lo sguardo sull'Italia presentato nelle diverse relazioni mutava di prospettiva nel tempo e nello spazio, dalle (auto)rappresentazioni dei viaggiatori in Ungheria in epoca rinascimentale ai resoconti di giornalisti e inviati che, nei secoli, hanno attraversato la penisola provenienti dall'Europa danubiana e balcanica. Interessante in particolare l'immagine emergente nella pubblicistica serba e croata a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo, dove l'Italia finiva per diventare specchio, metafora, elemento di confronto con la realtà di appartenenza. La due giorni ha chiuso, forse non casualmente, con due relazioni dedicate al maestro del rovesciamento delle prospettive, Pirandello (L'approdo di Lars. Uno studio imagologico della novella Lontano di Luigi Pirandello (Giona Tuccini, Università di Firenze) e Sei personaggi in cerca d'autore: "storia di famiglia" e analisi del caso (Dušica Todorović, Università di Belgrado).

Il convegno ha presentato anche una riflessione sulle trasformazioni della lingua e della società italiana attraverso il contributo degli oltre 4 milioni di "nuovi italiani". La riflessione sul carattere "non ideologico" del rapporto dei migranti con la lingua d'adozione ha consentito di introdurre elementi utili sul plurilinguismo italiano e sulla rinascita della dialettalità, evidente ad esempio nei nuovi movimenti sociali (v. Gli altri e noi/noi e gli altri. Dialetto, lingua e "nuovi italiani", Mari D'Agostino, Università di Palermo).

Rita Scotti Juric (foto OBC)

Rita Scotti Jurić, dell'Università di Pola, figlia illustre di uno dei più noti giornalisti e scrittori della regione, ha introdotto la questione della forma specifica dell'identità e della cultura italiana in Istria. Particolarmente intenso l'intervento di Senadin Musabegović, dell'Università di Sarajevo. Il giovane scrittore, di cui è stato recentemente pubblicato in Italia La polvere sui guanti del chirurgo (Infinito edizioni, 2007), ha fatto un intervento diretto e appassionato, ricordando l'assedio della propria città nella guerra recente e le modificazioni introdotte da quegli eventi nelle modalità espressive e nel rapporto con il corpo. Musabegović ha presentato un interessante parallelismo tra alterità e creazione (Essere straniero nella propria lingua) e, al di là delle argomentazioni, non è passato inosservato trattandosi del primo (!) intervento di un rappresentante della Facoltà di Filosofia di Sarajevo a Banja Luka dalla fine della guerra. Alle domande molto dirette di alcune studentesse ("Lei è bosniaco o bosgnacco?", "In che lingua parla?"), il relatore ha risposto con grande equilibrio, in un'atmosfera resa peraltro serena dalla grande ospitalità dimostrata dalle locali istituzioni accademiche.

Il successo del convegno va infatti ricercato nel forte posizionamento della lingua e cultura italiana a Banja Luka, visibile nell'attenta partecipazione di un folto gruppo di studenti che ha seguito tutti i lavori (in italiano). Il professor Danilo Capasso, tra gli organizzatori della due giorni, ha spiegato ad Osservatorio i caratteri della presenza italiana in questa città.

Quando è nata l'italianistica qui a Banja Luka?

Danilo Capasso (foto OBC)

Nel 1998. Io sono stato inviato qui in quell'anno come lettore a contratto, in virtù di una sorta di "par condicio", dato che l'Italia aveva mandato nello stesso anno un lettore di scambio a Sarajevo. Prima non c'era nessun insegnamento di italiano, solo una scuola serale. A Sarajevo c'era invece una forte tradizione di italianistica, interrotta durante la guerra, che durava sin dagli anni '60 e '70, con il professor Vito Morpurgo. L'Università di Banja Luka del resto è relativamente giovane, è stata fondata nel '75, ma la Facoltà di Lettere e Filosofia è stata fondata solo nel '92.

Nel '98, non c'era né uno studente né un corso di italiano. Oggi?

Il dipartimento di italianistica è stato fondato nel 2003. Da allora abbiamo laureato circa 30 studenti. L'iscrizione è a numero chiuso, solo 50 matricole all'anno. Considerando tutti gli anni di corso e i fuoricorso, in questo momento abbiamo tra i 200 e i 250 studenti.

Oltre al lavoro in Università lei ha creato l'associazione Marco Polo, che si occupa della promozione della lingua e della cultura italiana in Bosnia Erzegovina...

Sì, e della cultura bosniaca in Italia. Questo secondo obiettivo siamo riusciti a concretizzarlo per alcuni anni, organizzando le settimane della cultura bosniaca con la collaborazione dell'Arci di Torino, Roma e Milano. Ora ci limitiamo alla promozione della cultura italiana in Bosnia Erzegovina, realizzando ogni ottobre la settimana della cultura italiana a Banja Luka. Quest'anno ci sarà la nona edizione.

Quali sono i numeri della Marco Polo?

Dal '98 ad oggi abbiamo avuto oltre 10.000 studenti di italiano.

Diverse relatori si sono confrontati durante il convegno sulle ragioni della crescente fortuna della lingua italiana all'estero, specie nell'Europa centrale e orientale. Quali sono secondo lei le ragioni di questo successo, a partire dalla sua esperienza di dieci anni a Banja Luka?

C'è una tradizione dell'Italia qui. Prima della guerra molti partivano per andare a passare il week end a Trieste, era una gita che si poteva fare anche in giornata. Durante la guerra tutto è stato cancellato, ma quando è riapparsa la possibilità di avvicinarsi alla lingua italiana, molti l'hanno ritenuta un'opportunità da non perdere. L'Italia inoltre qui è molto presente.

A Banja Luka?

Sì, ci sono molti imprenditori italiani, in particolare del Friuli Venezia Giulia, che vengono qui e investono. Molti studenti laureati da noi hanno già trovato lavoro attraverso questo canale.

Ha ragione dunque chi afferma che l'italiano è passato da una dimensione legata soprattutto alla cultura all'essere lingua degli affari, almeno nell'Europa danubiana?

Assolutamente sì. Con una precisazione, però. La lingua d'affari principale rimane l'inglese, anche per le corrispondenze. L'italiano tuttavia si afferma come lingua del made in Italy, è diventata una lingua che simboleggia uno status. A Banja Luka il 95% dei locali, ristoranti e pub hanno nomi italiani. Poi ci sono marchi come la Ferrari, l'abbigliamento... Si tratta di status symbol, e chi veste italiano si sente in dovere di possedere almeno una comunicazione di base nella lingua italiana.

L'idea base del vostro convegno era capire come gli altri vedono l'Italia. Insomma, come ci vedono?

Ognuno ha una propria visione, non c'è una ricostruzione unica. Ci sono punti di vista positivi ma anche negativi sull'Italia e gli italiani. La cosa che però mi sembra di poter dire con certezza è che non lasciamo indifferenti. Nessuno ha mai detto: "L'Italia? Ma che ci vado a fare?". Rispetto ad altre nazioni europee, inoltre, l'Italia attira per la sua diversità. Torino e Palermo sono città completamente diverse, e quando i nostri studenti tornano dai loro periodi di studio in Italia c'è un momento molto interessante di confronto in cui emergono le diverse realtà che hanno conosciuto, le diverse parlate, i diversi accenti che ognuno di loro ha preso.

Quanti sono gli studenti che ogni anno l'Università di Banja Luka manda in Italia?

15, anche grazie alle borse di studio del nostro governo.

*Professore di italianistica all'Università di Banja Luka e organizzatore del convegno