Il Caspio presso Baku (foto internet, AFP)

Un'analisi di Radio Free Europe/Radio Liberty sui petrostati, definiti come quei paesi nei quali le risorse naturali contano per oltre il 10 per cento del PIL e il 40 per cento delle esportazioni. Le nuove élite e la libertà di stampa. Nostra traduzione

16/02/2007 -  Anonymous User

Di: Christopher Walker*, per Radio Free Europe/Radio Liberty, 2 febbraio 2007 (tit. or.: "CIS: The Emerging Post-Soviet Petrostates")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Maddalena Parolin

L'impennata dei prezzi del greggio negli ultimi anni ha generato profitti inattesi per gli stati petroliferi. Una tale ricchezza dovrebbe essere una fortuna insperata per gli impoveriti paesi post-sovietici. Ma non è detto che si tratti di un impatto del tutto positivo, nel caso di sistemi di governo che non sono chiamati a rendere conto delle proprie azioni e dove piccoli gruppi elitari controllano gran parte delle risorse naturali. Con l'eccezione della Norvegia, che ha avuto il vantaggio di avere istituzioni democratiche nel momento in cui iniziò lo sfruttamento industriale degli idrocarburi, gli altri paesi ricchi di risorse energetiche hanno dimostrato una scarsa attitudine nel campo dello sviluppo democratico.

Una definizione dei petrostati

Gran parte degli studi riguardanti democrazia e stati ricchi di risorse energetiche si sono concentrati sul Medio Oriente. Il recente innalzarsi dei prezzi del greggio ha però portato all'attenzione i paesi petroliferi dell'ex Unione Sovietica. Rimane da chiedersi se i "petrostati post-sovietici" potranno evitare i risultati negativi della precedente generazione di stati che si affidano alle risorse naturali come motori principali delle loro economie.

Un aspetto non meno importante, ed infatti direttamente connesso con le questioni di sviluppo interno, è in che modo questi paesi decidono di esercitare la loro crescente influenza internazionale.

Anche se non esiste una rigida definizione di "economia fondata sulle risorse energetiche", un riferimento utilizzato è quando le risorse naturali contano per oltre il 10 per cento del PIL e il 40 per cento delle esportazioni di un paese. Tale livello è facilmente superato nei casi di Azerbaijan, Kazakhstan, e Russia. Più di metà dell'attuale PIL dell'Azerbaijan e il 90 per cento delle sue esportazioni si devono a petrolio e gas. Nel caso del Kazakistan, il 30 per cento del PIL e circa il 60 per cento delle esportazioni provengono dal petrolio. Le esportazioni di petrolio e gas naturale rappresentano circa il 60 per cento delle entrate nel budget della Federazione Russa e due terzi delle sue esportazioni.

La radice di tutti i mali

La "maledizione delle risorse" - assieme ad altre patologie associate ad uno sviluppo trainato dal settore energetico - potrebbe infatti essersi già affacciata. In ciascuno di questi stati post-sovietici, vi è una crescente dipendenza dalle fonti energetiche come principale agente economico, così come una crescita della burocrazia statale e della corruzione pubblica.

Con un tale afflusso di denaro, crescono gli interessi delle potenti élite che dominano i sistemi politico-economici di questi paesi e controllano tali enormi risorse. Per proteggere le loro posizioni, essi limitano ogni possibilità di controllo sulle loro attività, mettendo a tacere la stampa ed intimidendo oppositori politici, società civile ed altre istituzioni indipendenti.

In tutti e tre i paesi l'attacco alla stampa è particolarmente sistematico. Assassinii di giornalisti, crescente controllo dei media da parte di aziende amiche dei regimi e l'attenta selezione delle notizie trasmesse per controllare che cosa i cittadini comuni possono o non possono vedere, sono divenute procedure operative standard. Ad esempio in Azerbaijan nel 2006 le autorità hanno imposto una lunga serie di misure per esercitare un maggior controllo sui media. Tra queste una decisione del Consiglio Nazionale Radiotelevisivo che richiedeva alle emittenti azere di acquisire una licenza per ritrasmettere programmi di informazione come BBC e Radio Free Europe/Radio Liberty (RFE/RL), togliendo poi il segnale dal primo gennaio 2007.

Anche le autorità russe hanno preso di mira le emittenti locali che trasmettevano i programmi di RFE/RL. Nel frattempo, Gazprom-Media, ramo del colosso del gas controllato dallo stato, ha espanso ulteriormente la quota di mercato nella stampa russa; mentre Internet è sempre più controllato dalle autorità.
Il crescente stretto controllo sul settore dell'informazione è un barometro della posizione di trinceramento dei petrostati e della corruzione, che è uno dei suoi tratti distintivi. Uno studio recente dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) sottolinea come nelle economie fondate sull'energia, la restrizione della libertà di stampa sia tra i fattori critici che permettono il fiorire della corruzione.

La petro-politica internazionale

Il Cremlino, dopo aver già efficacemente imbavagliato le organizzazioni indipendenti nel paese, sta ora dando alla sua campagna antidemocratica una dimensione internazionale. La leadership russa sembra essersi posta l'obiettivo di limitare la capacità di organizzazioni internazionali come il Consiglio d'Europa e l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) di controllare la sua condotta. Nel 2005 la Federazione Russa ha lanciato una campagna volta a limitare le capacità di monitoraggio elettorale dell'OSCE, il cui Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani (ODIHR) ha fissato gli standard per valutare lo svolgimento delle elezioni in Europa e nella regione euroasiatica. La campagna potrebbe essere diretta a limitare le possibilità di queste organizzazioni di monitorare le prossime elezioni in Russia (nel 2007 e 2008) e nei paesi autocratici allineati al Cremlino.

La Russia ha giocato la carta dell'energia anche con i suoi vicini, esercitando pressioni sia sui paesi esempio della transizione democratica nella CSI - Georgia e Ucraina - così come verso i paesi fedeli al Cremlino, inclusi Armenia e Bielorussia.
Gli interessi energetici sono particolarmente alti per l'Europa. Per fare un esempio, si prevede che nei prossimi quindici anni le importazioni di energia proveniente dalla Russia nell'UE cresceranno dal 50 al 70 per cento. Ma con le casse di questi paesi già gonfie, e senza alcuna significativa diminuzione dei prezzi dell'energia in vista, nel futuro prevedibile i paesi occidentali dovranno probabilmente confrontarsi sempre di più con imposizioni della petro-diplomazia. Tali fattori suggeriscono che la comunità degli stati democratici dovrebbe disporre una risposta coordinata alla sfida, inclusa una seria politica di indipendenza energetica.

Nel frattempo Russia, Kazakhstan, e Azerbaijan ambiscono tutti ad un'integrazione più profonda nell'economia globale, ad espandere il commercio con l'UE e i paesi occidentali, e ad essere accettati come stati "normali". Ricercano il prestigio e i benefici dell'appartenenza ad organizzazioni occidentali democratiche, senza mostrare però di possedere istituzioni responsabili all'altezza.

Tutti e tre gli stati appartengono all'OSCE, della quale il Kazakhstan spera di avere la presidenza nel 2009. Russia e Azerbaijan sono membri del Consiglio d'Europa. Sia la Russia che il Kazakhstan sperano di entrare a far parte dell'Organizzazione Mondiale del Commercio entro la fine dell'anno. Ma per seguire tali aspirazioni, i petrostati dovrebbero come minimo corrispondere agli impegni presi aderendo a tali organizzazioni e alle loro regole, ed essere all'altezza degli standard condivisi, sia interni che internazionali.

*Christopher Walker è direttore di studi alla Freedom House