Le due giornaliste Asne Seierstad e Milana Terloeva, esperte di Cecenia, hanno incontrato a Ferrara il pubblico italiano nel corso del secondo Festival di Internazionale. L'omaggio ad Anna Politkovskaya

13/10/2008 -  Maria Elena Murdaca Ferrara

Parlare di Cecenia non è più di moda, e Anna Politkovskaya non era nessuno. Andando controtendenza, Internazionale, a Ferrara per il festival del giornalismo, che replica l'esperienza dello scorso anno, decide di dedicare un incontro alla Cecenia, invitando due testimoni d'eccezione e di altissimo profilo umano e giornalistico: Asne Seierstad, reporter di guerra norvegese, e Milana Terloeva, giovane giornalista cecena, che combatte per la libertà del suo paese con l'arma della parola, l'unica che in Russia fa davvero paura. Giovani, giornaliste, coraggiose: la bionda e la bruna, la scandinava e la caucasica, l'andata e il ritorno, il prima e il poi, ognuna col suo libro, l'occhio esperto del corrispondente di guerra e il grido dal cuore ferito della Cecenia. Questo e altro ancora in un incontro avvincente di un'ora e mezza che alla festa dell'informazione ha visto tornare la guerra cecena sotto le luci della ribalta e uscire dal silenzio a cui è stata condannata.

Video: Russia. Ritorno in Cecenia

Un pubblico vasto ha affollato la sala avido di ascoltare e di sapere, dimostrando che l'opinione pubblica italiana esiste ancora. Milana Terloeva non ha bisogno di parlare per smentire la propaganda che vuole i ceceni tutti terroristi islamici. Questa ragazza, truccata leggermente, con i morbidi capelli castani raccolti dietro la nuca, tanto timida da sembrare quasi altera, ma con lo sguardo vivido e battagliero, che padroneggia con disinvoltura il francese e che ha studiato a Parigi alla facoltà di giornalismo - grazie al programma di borse di studio dell'associazione Studi Senza Frontiere - che ha aperto un'antenna anche in Italia, a Roma - non ha nulla a che vedere con le vedove nere del Teatro Dubrovka, le uniche immagini di donne cecene che i nostri telegiornali ci abbiano mai mostrato. Impossibilitata a lavorare come giornalista, lavora oggi presso la sezione cecena dell'organizzazione Memorial, storica associazione per la difesa dei diritti umani in Russia. Se avete domande da fare sulla guerra, leggete il suo "Danzare sulle rovine": in quel libro troverete la storia di ogni giovane ceceno.

Asne Seierstad invece ha il piglio sicuro di chi vive in un paese dove il rispetto dei diritti umani è una realtà consolidata e scontata, come in Italia il calcio o la pasta al sugo. La sua squisita sensibilità scandinava e la voglia prepotente di sapere e far sapere l'hanno portata in giro per le guerre di mezzo mondo: Iraq, Afghanistan, Balcani, Cecenia. Asne non ha scelto di fare la cronista di eventi mondani, ma ha optato per una decisione rischiosa, mettendosi in gioco in prima persona, per raccontare guerre che non erano sue, ma che lo sono diventate. Sue e dei suoi lettori. Il tono distaccato della Seierstad non inganna chi ha letto i suoi libri: "Il fanciullo dal cuore di lupo" non è solo un reportage magistrale e completo, ma è prima di tutto scritto con il cuore.

L'incontro è moderato da Jacopo Zanchini, vice direttore di Internazionale, che inizia il suo intervento spiegando all'auditorio le ragioni di tale scelta: parlare di Cecenia. Non si tratta di una scelta utilitaristica dovuta ai recenti avvenimenti in Caucaso o alla coincidenza della ricorrenza del secondo anniversario della morte di Anna Politkovskaya. I motivi per parlare di Cecenia ci sono e sono tanti: lui ne elenca almeno quattro:

1.i due sanguinosi conflitti che hanno sconvolto la repubblica;
2.la terribile tragedia della deportazione dei ceceni e di altre popolazioni caucasiche (fra cui ingusci e balcari) nel febbraio del 1943 in Asia Centrale per ordine di Stalin e ad opera di Berija;
3.la questione dell'Islam e del diffondersi del terrorismo islamico;
4.l'ascesa e l'affermazione politica di Putin, indissolubilmente legate alla guerra cecena.

Le violazioni dei diritti umani, l'attuale situazione di Grozny e della Cecenia, lo strumento del terrore, la questione della stampa e dell'informazione: questi i temi su cui Jacopo Zanchini invita le due giornaliste a confrontarsi. E' curioso constatare che nonostante abbiano background ed esperienze differenti, le loro osservazioni e i loro commenti collimano quasi perfettamente. La ricostruzione: certo, hanno iniziato a ricostruire le case, ma i cuori feriti chi li risana? Si parla di stabilità - parola che va tanto di monda quando si parla di Russia e di Cecenia, ripetuta ossessivamente come un mantra dai politologi occidentali - una stabilità solo apparente basata sul terrore. Non ha senso parlare di ricostruzione senza che prima ci sia stato un processo di giustizia e riconciliazione. Entrambe raccontano di un popolo annichilito, annientato, sfiduciato, completamente terrorizzato, privato della propria fierezza. E' stata questa tattica che ha messo in ginocchio i ceceni, che nella prima guerra erano uniti (infatti, l'hanno vinta): una fierezza e un orgoglio vissuti in una dimensione quasi mitologica. Oggi in Cecenia il tessuto connettivo sociale è andato completamente dissolto; la delazione e le denunce, spesso estorte sotto minaccia o attraverso le pratiche della tortura, dell'intimidazione e della persecuzione, hanno completamente distrutto la fiducia nei rapporti interpersonali: nessuno si fida più di nessuno, conoscente, amico, parente o fratello che sia. Testimonianze che fanno venire i brividi solo ad ascoltarle. "Credo che lasciare le madri con un solo figlio superstite sia una strategia ben precisa: se perdi tutti i tuoi figli urlerai e denuncerai, perché non avrai niente da perdere. Se invece ti lasciano ancora un figlio, è più probabile che tu scelga di tacere, perché hai ancora qualcosa da perdere".

Alla domanda sul come spiegare tanto odio nel conflitto ceceno, la risposta univoca è: propaganda. L'odio etnico in realtà ha caratterizzato solo il secondo conflitto, che è stato quello su cui la censura ufficiale ha imposto il suo bavaglio. Non c'è mai stato un odio culturale storico fra ceceni e russi - sostiene Milana - al contrario i russi sono sempre stati ammiratori della libertà del popolo ceceno e i maggiori scrittori russi hanno immortalato in opere eterne l'elogio della libertà del popolo ceceno: Tolstoj, Pushkin e Lermontov, solo per citare i più famosi. Libri che in Cecenia i soldati russi gettavano nelle latrine. Tutto è stato permesso, perché si era in Cecenia. Ai ceceni è stata tolta la dignità di persone: bestie, insetti da schiacciare, più se ne ammazzano, meglio è. Ad una violenta propaganda che ha completamente ottuso le coscienze, vanno aggiunti - ricorda la Seierstad - altri due fattori: l'innestarsi di azioni terroristiche come quella del Teatro Dubrovka e della Scuola n. 1 di Beslan, e la bellicosità della cultura cecena, che vuole gli uomini educati fin dalla tenera età all'ammirazione e all'uso delle armi.

Affrontando il tema Cecenia è inevitabile parlare dell'informazione. Il dovere di informare e il diritto di sapere in questa guerra sono stati soffocati. Parla Milana: "Se hanno ucciso Anna Politkovskaya, è stato perché lei è stata l'unica a occuparsi di Cecenia. Non voglio dire che non ci siano stati altri giornalisti russi che non abbiano trattato l'argomento. Ad esempio c'è Andrey Babitsky. Ma lei era l'unica che non si è mai fermata. Per questo è stato necessario ammazzarla. Se ci fossero stati altri giornalisti come lei, non l'avrebbero ammazzata". Asne Seierstad illustra invece le tecniche, più raffinate, per impedire alla stampa estera di monitorare la situazione: un'incredibile quantità di permessi e autorizzazioni da richiedere, ovviamente difficili da ottenere, soprattutto l'accredito per le zone di operazioni antiterrorismo. E una volta sul posto, ammesso che si sia riusciti ad ottenere tutti i documenti in regola, la scorta dei servizi di sicurezza per "proteggerti".

"Io sono andata in Cecenia per vie ufficiali, per intervistare Kadyrov e ascoltare la versione ufficiale dei fatti. Ma per raccogliere il grosso del materiale del mio libro sono andata in Cecenia clandestinamente, travestita, senza documenti, con il fazzoletto in capo e gli occhi bassi. La famiglia che mi ospitava non mi consentiva di uscire, credo che neanche i vicini mi abbiano mai visto. Poi, di volta in volta, mi accompagnavano da chi dovevo incontrare, intervistare. Se vai in Cecenia violando le regole, è facile che ti tolgano il visto per la Russia. E' successo anche ad illustri corrispondenti di testate occidentali. Senza il visto per la Russia non puoi andare in Cecenia. Così è stato messo il bavaglio anche alla stampa estera, rendendo quasi impossibile per i giornalisti andarci".

Quando dal pubblico qualcuno chiede se il vero problema della Cecenia non siano stati gli estremisti islamici, che intromettendosi hanno compromesso la situazione al punto tale che nessuno dei leader occidentali se l'è sentita di prendere posizione in loro favore, Milana si infervora: "Maskhadov ha passato gli ultimi anni della sua vita a lanciare appelli ai leader occidentali per la pace in Cecenia, quando chiedeva di poter fermare Basaev in cambio di un aiuto, di un appoggio. Allora, quando c'era un leader moderato con cui parlare, nessuno ha voluto ascoltarlo. Adesso che Maskhadov non c'è più, vi lamentate che non ci sono rappresentanti moderati con cui parlare. Smettiamola con questa ipocrisia!"

L'attenzione e la partecipazione di un pubblico educato ad ascoltare e pensare erano palpabili: lo dimostra il fatto che alla fine dell'incontro le due giornaliste sono state trattenute da chi non era riuscito a porre le sue domande durante il dibattito, e chiedeva i loro indirizzi e-mail per poterle contattare in seguito.

La conversazione si chiude con un omaggio ad Anna Politkovskaya: la proiezione del documentario di Eric Bergkraut "Letter to Anna". Un bellissimo documentario che meriterebbe di essere trasmesso in prima serata sui canali nazionali e che invece rimarrà patrimonio di pochi eletti.