La Russia di Putin, Anna Politkovkaja, Adelphi 2005

Più che analisi, la Politkovskaja forniva testimonianze. Attraverso le storie che pubblicava emergeva una Cecenia immersa in una violenza bestiale e senza fine, e una Russia corrotta, crudele e indifferente. Una rassegna sui suoi libri

17/10/2006 - 

Di Gaia Baracetti

Nei suoi articoli e nei suoi libri, Anna Politkovskaja raccontava storie individuali. Faceva nomi e cognomi, descriveva volti, riempiva i suoi resoconti di dettagli precisi, raccoglieva le testimonianze sul campo, rischiava la vita sua e delle persone che intervistava: raccontare la propria storia alla Politkovskaja poteva portare alla salvezza o alla morte.

Era il suo modo di ridare dignità alle vite devastate dalla guerra, stritolate dal potere e dalla corruzione, marcite ai margini della Russia. Più che analisi, la Politkovskaja forniva testimonianze. Attraverso le storie che pubblicava emergeva una Cecenia immersa in una violenza bestiale e senza fine, e una Russia corrotta, crudele e indifferente.

Nel 2001 esce in inglese, con il titolo A Dirty War: A Russian Reporter in Chechnya, una raccolta dei suoi articoli per la Novaya Gazeta, pubblicati tra il luglio 1999, prima dell'inizio della seconda guerra cecena, e il gennaio 2001. L'introduzione è di Thomas de Waal, attuale redattore della sezione dedicata al Caucaso dell'Institute for War and Peace Reporting.

Del 2002 è il suo Vtoraya Chechenskaya, pubblicato in inglese nel 2003 come A small corner of hell: Dispatches from Chechnya, con introduzione del sociologo Georgi Derluguian. In italiano si può leggere un'altra raccolta di storie cecene, tradotta dal francese, pubblicata da Fandango nel 2003 con il titolo Cecenia. Disonore russo, e prefazione di Andre` Glucksmann.

Nella sua introduzione, de Waal scrive: "L'autrice diventa il nostro Virgilio, la guida di Dante attraverso l'inferno". E in questo inferno incontriamo i soldati, rapiti, abbandonati e lasciati morire dallo stesso esercito, nascosti dalle madri che non vogliono trovarsi figli invalidi da mantenere senza un soldo dallo stato; i profughi, tormentati dal freddo, dalla fame e dalle malattie, lasciati senza aiuti, spostati da una parte e dall'altra; la rabbia delle donne daghestane, cacciate dalle loro case dalla guerra tra Basayev e l'esercito russo che non l'ha saputo fermare; le ragazze stuprate, che devono nascondersi per non essere uccise dalle loro stesse famiglie; i ceceni mutilati, torturati, oppure uccisi perche` non avevano vodka da dare ai soldati che gliela chiedevano... e così avanti, tragedia dopo tragedia, e su tutte la cappa pesante delle menzogne della propaganda ufficiale, dell'indifferenza delle istituzioni davanti agli appelli più accorati, della corruzione a tutti i livelli.

Leggere i libri della Politkovskaja è straziante, quasi insopportabile - e mille volte peggio è stato per lei vedere con i propri occhi la catastrofe che ha raccontato. Testimone scrupolosa ma compassionevole, la Politkovskaja non restava a guardare, anzi si sentiva direttamente responsabile del destino delle persone le cui storie raccontava. Si è impegnata per evacuare gli ospiti di una casa per anziani abbandonati a Grozny sotto le bombe, e lanciava appelli nei suoi articoli, alcuni specifici, altri diretti a tutta la Russia. Guardate cosa siamo diventati, gridava, e ancora: questa guerra sarà la nostra fine. Voleva una Russia diversa, ripeteva sempre, più umana, ma in pochi le davano retta.

Il male visto in Cecenia è causa e sintomo di una crisi molto più ampia che colpisce tutta la Russia. Nei libri della Politkovskaja leggiamo dei soldati russi che tornati a casa continuano a commettere angherie su chi gli capita tra le mani, fosse anche una coppia di Mosca; delle vittime della tragedia del teatro Dubrovka, uccise più dal loro stesso governo che dai terroristi ceceni; dei ceceni residenti a Mosca imprigionati per crimini che non hanno commesso.

Ne La Russia di Putin, pubblicato in una traduzione inglese nel 2004 e in italiano nel 2005, ma non in Russia, la Politkovskaya racconta alcune di queste storie, assieme ad altre di nuovi ricchi russi, o di dediti servitori della patria abbandonati e umiliati dallo stato a cui hanno dedicato una vita. E le sue indagini sulla corruzione negli Urali sono talmente scandalose da far capire fino a che punto la democrazia russa sia a malapena di facciata.

La Politkovskaja se la prende soprattutto con Putin, per il potere che concentra in sé e per la tendenza che hanno in Russia, dice lei stessa, ad affidarsi a un solo capo supremo. Putin, per la Politkovskaja, è quello che fa giochi di potere sulla pelle dei civili di tutta la Russia, che coltiva il razzismo, che usa la guerra per accrescere la propria popolarità. Dopo aver letto La Russia di Putin il lettore può chiedersi se sia veramente tutta sua la colpa della tragedia che è la Russia di oggi, ma la forza della denuncia rimane.

Anna Politkovskaja lottava nel presente, ma scriveva anche per il futuro. In A Dirty War, spiega: "Voi probabilmente pensate che io scriva tutto questo per suscitare la vostra compassione. I miei connazionali si sono infatti dimostrati duri di cuore. Siete lì seduti che vi godete la vostra colazione, ascoltando le notizie scioccanti che arrivano dal Caucaso, in cui i fatti più terribili e allarmanti sono addolciti per far sì che agli elettori il cibo non vada di traverso.

Ma i miei appunti hanno uno scopo ben diverso, sono scritti per il futuro. Sono la testimonianza delle vittime innocenti della nuova guerra cecena, ed è per questo che scrivo tutti i particolari che posso."

Così, nel futuro qualcuno leggerà i racconti della Politkovskaja e ricorderà i nomi delle vittime innocenti, scandalizzandosi per l'orrore, come oggi si fa per l'Olocausto o le guerre nei Balcani. E quella volta sarà il nostro turno - della Russia, dell'Europa - di rispondere alla domanda: perché non avete fatto niente per fermarli?