La stampa russa non dedica prime pagine alla questione kosovara tuttavia la decisione sul Kosovo avrà carattere di precedente a livello internazionale sulle provincie di Abkhazia e Ossezia del Sud

22/01/2008 -  Anonymous User

Di Giorgio Orani. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Lo stato attuale delle trattative sul futuro status del Kosovo ha visto il delinearsi, ampiamente prevedibile, di due schieramenti opposti: quelli che la stampa russa chiama "ottimisti", Russia in testa, contrapposta ai "pessimisti" occidentali. La posizione dei primi è che si passi a una nuova fase della trattativa, alla stesura di una sorta di "road map" per il Kosovo, per citare le parole dell'inviato del governo russo Vitaliy Churkin, "perché il tempo delle trattative non è ancora finito".

Sulle motivazioni, sui risvolti e sulla bontà delle posizioni degli uni e degli altri si potrebbe argomentare a lungo: le accuse rivolte alla diplomazia russa da parte degli occidentali sono essenzialmente quella di immobilismo e di trascinare una trattativa senza più margini. Dall'altra, i russi si sentono forti di una posizione integerrima, cristallina dal punto di vista formale e limpida anche moralmente, per la difesa di un diritto che da 40 anni viene mantenuto strenuamente dalla Comunità Internazionale e che, proprio ora, contro Serbia e Russia, viene platealmente smentito. Non bisogna dimenticare nemmeno che, alla politica dell'Unione Europea, i russi rinfacciano l'ambiguità -tra l'allettante e la minaccia- della proposta di quest'ultima, che chiede a Belgrado di chiudere adesso la questione Kosovo -un vero e proprio ultimatum secondo Mosca- intendendolo come primo passo verso l'entrata della Serbia nell'Unione. Al riguardo, sono significative le parole di Natalia Lescenko, analista di Global Insight: "il riconoscimento del Kosovo resterà forse un affare spinoso, ma la Serbia velocizzerà sicuramente il processo di entrata nell'Unione".

A ben vedere, la stampa russa non dedica prime pagine alla questione kosovara. I toni di alcuni articoli, che titolavano ad esempio: "La Russia non vede la fine delle trattative sul Kosovo" (Kommersant), "Ai Serbi l'Europa in cambio del Kosovo", "L'indipendenza del Kosovo getta il mondo indietro nel XVI° secolo" (Pravda), fino a "l'Occidente cerca di separare la Russia dal Kosovo" (Nezavisimaya), sono sembrati più che mai annacquati, quasi a prendere atto che il corso degli eventi è difficile da mutare.

Tra le voci e commenti le parole forse più chiare sono quelle di Maksim Yusin, sull'Izvestiya: "la Russia perderà la battaglia per il Kosovo". Questa affermazione si può accompagnare con quella di Aleksandr Rar (direttore del "Programma Russia e CIS"), per il quale "la Russia, nel migliore dei casi, si asterrà sull'avvallo dell'indipendenza del Kosovo, ma, come accaduto varie volte in passato per casi simili, se il Kosovo entrerà nell'Unione Europea, alla fine dovrà riconoscerlo".

Quindi, sulla scia di quanto fatto dalla diplomazia, anche i media russi hanno scelto un profilo basso nel commentare i fatti: parole sì dure, ma più di circostanza che di contrattacco (si veda a questo riguardo un titolo apparso sulla "Nezavisimaya": "Il Kosovo si avvia sulla strada di Taiwan?"). I motivi del relativamente basso interesse dei media attorno alla questione kosovara potrebbero essere cercati, d'altra parte, nel ruolo egemone che ha giocato l'infinita telenovela della politica interna (elezioni parlamentari 2007, avvicendamento Putin-Medvedev e presidenziali a marzo 2008), oppure nell'attenzione viscerale con cui, da tempo, i media seguono le peripezie di Yuliya Timoschenko e soci a Kiev o di Saakashvili in Georgia. Ma pare che il vero motivo vada ricercato più che altro nella volontà di seguire una linea ufficiosa, cioè di passare sotto silenzio, proprio come gli organi ufficiali, una probabile e scomoda sconfitta diplomatica e di moderarne i toni.

Un ulteriore elemento di analisi lo cogliamo nell'affermazione ripetuta più volte dalla diplomazia russa in questi mesi: "una decisione come quella sul Kosovo avrà carattere di precedente a livello internazionale. Parole chiare, e se lette bene premonitrici: si riapre la partita in Caucaso settentrionale? In effetti, nelle ultime settimane è tornata a farsi pericolosa la tensione tra Russia e Georgia sulle provincie di Abkhazia e Ossezia del Sud. Qui, presto, proprio sull'ondata dell'effetto "Kosovo", si potrebbe creare un effetto domino di portata imprevedibile, e la Comunità Internazionale potrebbe trovarsi ad affrontare un nuovo spinoso caso di frammentazione di uno stato sovrano: la Georgia. Il pomo della discordia è tuttora la provincia dell'Abkhazia, dichiaratasi da tempo autonoma da Tbilisi ma mai riconosciuta a livello internazionale e dove sono state dislocate forze di pace dei paesi del CIS.

All'approssimarsi della risoluzione sul Kosovo e delle elezioni presidenziali in Georgia, è nata una polemica, innestata dalla diplomazia georgiana, su un supposto rinforzamento delle truppe russe sul territorio della provincia, che fa formalmente parte della Georgia. Mosca smentisce e comunica che il movimento di truppe visto in Abkhazia è solo un avvicendamento programmato delle forze di pace presenti nella provincia.

La tensione è di nuovo molto alta e non sono da meno le parole delle parti, e l'elemento nuovo, la parola sulla bocca di tutti è: Kosovo.

A seguito del controverso turn-over tra le truppe russe in Abkhazia, il consiglio di sicurezza georgiano si è subito riunito per prendere delle contromisure nel rinnovato scenario, ed il tema principale è stato, ovviamente, la difesa di fronte a un attacco diplomatico o militare russo che presumibilmente farà leva sul precedente kosovaro. Da loro parte, in questa spirale di reazioni -che per ora è solo verbale- gli esponenti abkhazi stanno sfruttando la situazione a loro vantaggio, ed ostentano una sicurezza tutta nuova. Si veda al riguardo la recente visita del console inglese in Georgia, Denis Keith, il quale ha incontrato nell'occasione il ministro degli esteri abkhazo, Sergey Shamba. Le parole di quest'ultimo non lasciano spazio a molti dubbi: "Se la comunità internazionale riconosce il Kosovo e non concede lo stesso diritto all'Abkhazia, allora noi non daremo a quei paesi la possibilità di entrare nella futura mediazione". Queste dichiarazioni suonano come una chiusura e una minaccia per ogni eventuale sviluppo futuro. Come, poi, dice il presidente della provincia non riconosciuta, Sergey Bagapsh: "I georgiani tentano di mostrare al mondo quanto noi siamo malvagi, ma la verità è che noi ci stiamo muovendo per il riconoscimento internazionale della sovranità, e loro si preparano a reagire a questo". Anche le parole del presidente vanno inserite in un contesto in forte fibrillazione, "anche l'Abkhazia è alla stretta finale" (Kommersant), e chi, come la Russia, rischia di perdere il Kosovo, sembra più che mai intenzionato a prendersi qualcosa in cambio, l'Abkhazia.