Centinaia di civili sono stati uccisi durante la guerra della Russia in Cecenia. Con uno stato sordo alle proteste contro le atrocità, l'unica speranza rimasta per i familiari delle vittime è la Corte europea dei diritti umani -la seconda parte dell'articolo del Guardian
Di James Meek per The Guardian , 12 giugno 2006. Titolo originale "The long road to justice"
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Gaia Baracetti
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L'ultima volta che ho visitato Grozny è stata il 1996, quando i separatisti ceceni avevano appena riconquistato la città dal presidio russo. La città al tempo era per metà distrutta, dopo mesi di bombardamenti aerei e di artiglieria russi che avevano ucciso decine di migliaia di civili, molti dei quali anziani russi. Non avevo ancora visto gli effetti del secondo assalto dell'esercito russo, tra il 1999 e il 2000, che completò la sanguinosa demolizione.
La Russia ha avuto sei anni di tempo per cominciare a ricostruire la città. È sconcertante vedere quanto poco è stato fatto da un governo federale che ha guadagnato, e ammassato, decine di miliardi di dollari grazie all'aumento del prezzo del petrolio, del gas, e di altre materie prime come conseguenza del boom economico cinese. In termini di ricostruzione, Grozny oggi è messa peggio di Baghdad o persino di Banda Aceh, la città indonesiana devastata dallo tsunami nel dicembre 2004.
Addentrarsi nella città significa attraversare chilometri e chilometri di palazzi risalenti all'epoca sovietica: appartamenti e uffici, tutti ridotti a rovine. Di alcuni è rimasto solo uno scheletro di cemento. Altri sono pannelli di cemento mezzi demoliti che pendono dai resti ricurvi di strutture d'acciaio, butterati e crivellati dai colpi di mitra, o devastati dai buchi larghi un metro lasciati dai carri armati e dall'artiglieria. Interi isolati sono spariti.
Con l'eccezione di Kabul, nessun'altra grande città al mondo ha subito qualcosa di simile dalla seconda guerra mondiale. Non c'è una rete idrica, l'elettricità va e viene. Il traffico scorre e i mercati operano all'ombra bassa e irregolare degli edifici mangiati dalla guerra. Sprazzi di biancheria appesa tra le rovine indicano dove le famiglie si sono rifugiate tra gli edifici inutilizzabili.
Una manciata di strade nel centro della città sono state parzialmente e approssimativamente ricostruite, oltre a qualche edificio amministrativo: abbastanza perché una troupe televisiva che lo desideri possa mostrare che Grozny ha ripreso a vivere. Molte delle strade che sembrano ricostruite hanno ancora le impalcature di legno sulle facciate appena dipinte. Dietro alle facciate, si vede la luce del sole filtrare dove prima c'era un tetto.
Tornando da Cecenia attraverso Mosca, mi sono trovato in una carrozza della metropolitana su cui è salito un uomo con la divisa mimetica e il berretto blu dell'elite delle truppe di aviazione russa. Aveva avvolto nel cellofan i monconi delle gambe per proteggerli dalla neve che si stava ormai sciogliendo, e si trascinava sulle mani, chiedendo l'elemosina. Questa scena era emblematica di quanto universale sia l'indifferenza dello stato russo nei confronti dei propri cittadini. La Cecenia è solo il più esasperato dei nodi di ingiustizia in Russia che Strasburgo è chiamata ad aiutare a sbrogliare.
Un mese dopo la mia prima richiesta d'intervista, sono riuscito a raggiungere Pavel Laptev, il rappresentante russo alla Corte europea, e l'ho intervistato per telefono da Londra. Laptev mi ha rimandato al programma ufficiale della Russia che delinea i provvedimenti da prendere in risposta alle prime sentenze della Corte europea. Il documento, lungo sei pagine, non fornisce nessuna informazione precisa sui risultati delle indagini, o su quanti militari siano stati condannati per crimini commessi durante il conflitto ceceno. Non raccomanda nessun cambiamento alla legge o al codice militare russo. La gran parte del documento consiste di un resoconto sulla formazione legale che l'esercito russo deve già fornire al proprio personale. Tra i suoi contenuti la cosa più vicina a un'azione effettiva è il suggerimento - non l'ordine - che i procuratori militari sottoscrivano il bollettino della Corte europea.
Schiacciato dietro a un muro di computer nell'ufficio disordinato e troppo riscaldato di Memorial, a Mosca, Alexander Cherkasov spiega che sarebbe sbagliato pensare che il lavoro di Strasburgo non abbia nessun impatto sulla Russia. Il vero problema, secondo lui, affonda le sue radici ancora più in profondità. "La Russia non dispone di un sistema per mettere in pratica le decisioni della Corte Europea. Nessun sistema. Non è come in Turchia, dove i verdetti sui curdi hanno portato a grandi cambiamenti nella legge turca, perché in Turchia la leadership aveva la volontà politica e voleva unirsi all'UE. La decisione di Strasburgo sicuramente ha un certo impatto qui, ma per il momento, Strasburgo è poco più che la prova che esiste quella cosa chiamata 'Europa'".
Ho chiesto a Laptev di commentare queste affermazioni. "Mi creda, c'è un programma in Russia per l'applicazione delle decisioni della Corte europea", ha insistito. "Ci sono troppe persone che parlano e non sanno."
È pronta la Russia ad essere guidata dalla Corte europea attraverso la riforma del suo sistema legale? "A volte la Corte europea prende delle decisioni un po' sconsiderate nei confronti della Russia, ma noi riconosciamo i suoi verdetti, e li rispetteremo", ha detto Laptev. "Come in Gran Bretagna, non tutti vedono di buon occhio gli organismi europei."
Mentre la Corte europea - che dispone di poco staff, pochi fondi, ed è intasata da 80.000 casi - continua faticosamente ad emettere verdetti, la Cecenia non si ferma. Mosca ha subappaltato il controllo quotidiano della repubblica ad un ex separatista, Ramzan Kadyrov, la cui milizia sembra operare fuori da ogni controllo giuridico - è così sicura di sé, raccontano i ceceni, che i suoi membri non si coprono neanche il volto. La loro abitudine, negata da Kadyrov e descritta da testimoni, di rapire, torturare, e prendere ostaggi per ottenere quello che vogliono, ha innalzato il livello di terrore in Cecenia, e ha reso ancora più difficile fare ricorso a Strasburgo.
Nel Caucaso settentrionale, nelle città a turno polverose e fangose sotto le montagne bianche, nelle viuzze di case di mattoni rossi con tetti ornamentali di stagno e cortili ombrosi, dove eserciti di ragazzi magri in giacche di pelle nera e berretti di lana aspettano una causa, Katya Sokiryanskaya continua a credere che tutto questo porterà a qualcosa.
"Credo nella corte di Strasburgo. Sono tra quelli che ci credono", confida. "Non so se porterà la cultura russa al livello delle norme europee, forse non a breve termine. Ma a lungo termine, penso che sì, per coloro che hanno sofferto, non c'è nessun altro meccanismo. Penso che sia l'unica strada."