La transizione democratica avviata negli anni '90 nei Balcani Occidentali: un ambizioso processo sviluppato attorno ai concetti di democracy assistance e good governance. Successi e sfide
Gli aiuti all'Europa dell'est dopo la fine della guerra fredda sono stati messi in moto da due obiettivi molto ambiziosi: lo sviluppo di un'economia di mercato e la promozione della democrazia, due valori fondamentali dell'Occidente.
Oltre all'assistenza umanitaria e al sostegno per la ricostruzione, che sono azioni mosse da intenti morali, obiettivo principale nonché condizione per gli aiuti stranieri ai Balcani è stato, ed è tuttora, la promozione della democrazia.
Uno dei cambiamenti chiave nel sistema di aiuti stranieri negli anni '90 è stata la comparsa della democracy assistance. Nonostante lo sviluppo democratico fosse uno dei temi della cooperazione internazionale già prima di quel decennio, in quegli anni si è registrata un'espansione senza precedenti. Parte rilevante degli aiuti è stata destinata ai programmi volti a promuovere la democrazia, attraverso il sostegno alla società civile e ai partiti politici, la garanzia di una giustizia indipendente, elezioni libere e regolari e la riforma dell'amministrazione pubblica.
Nei Balcani il sostegno alla transizione democratica occupava una posizione piuttosto alta nell'agenda dei donatori già nei primi anni '90.
All'inizio, i donatori guardavano con sospetto al processo di democratizzazione della Romania nel periodo in cui Ion Iliescu, ex-ufficiale d'alto grado del soverchiato regime di Ceausescu, ricopriva la carica di presidente. La curva degli aiuti alla Romania è salita solo dopo le elezioni del 1996, grazie alle quali l'Occidente è stato rassicurato sulla capacità del paese di esercitare il potere in modo democratico.
La Croazia, che nei primi anni '90 godeva dell'appoggio, seppur moderato, della comunità internazionale, a causa della longevità del regime di Tuđman ha perso gradualmente i suoi favori e si è vista sospendere il programma di assistenza PHARE. La situazione è cambiata solo dopo le elezioni del 2000 che hanno messo fine al governo HDZ partito guidato da Tuđman, ndt..
Forse il caso più significativo è quello della Serbia. Nell'ultimo periodo del regime del presidente Slobodan Milošević, al paese era stato imposto l'embargo e poteva ricevere solamente assistenza umanitaria.
L'opposizione serba ottenne generosi aiuti per la promozione della democrazia tra il 1999 e il 2000. L'uscita di scena del presidente Slobodan Milošević alle elezioni di ottobre del 2000 e la vittoria democratica del paese sono finite per essere considerate un esempio da manuale del potenziale successo dei programmi di democracy assistance. Inoltre, le due entrate più generose di aiuti alla regione arrivarono nel periodo immediatamente successivo alla sconfitta di Milošević e, conseguentemente, in seguito alla sua estradizione all'Aja nel 2001. Gli aiuti furono la ricompensa per quello che era stato percepito come un enorme passo avanti verso la democratizzazione.
L'impatto della democracy assistance in Serbia da allora è diventato un tema importante nella letteratura generale sul tema. Se secondo alcuni il sostegno alla democrazia ha avuto un impatto significativo nel porre fine al regime di Milošević, secondo altri ha avuto perfino alcuni effetti controproducenti. Qualcuno sostiene che Milošević avrebbe potuto essere spodestato già nel 1996 se l'Occidente avesse sostenuto l'opposizione.
L'ondata delle cosiddette rivoluzioni colorate scoppiate in Georgia (delle rose), Ucraina (arancione) e Kyrgyzstan (dei tulipani), ha continuato a suscitare l'entusiasmo per l'assistenza alla promozione della democrazia, e ha spinto certi governi ad adottare politiche di contenimento degli aiuti occidentali principalmente destinati alle ONG.
L'entrata in scena dell'assistenza alla democratizzazione negli anni '90 avvenne contemporaneamente al sostegno al cosiddetto buon governo. Entrambi i concetti furono messi in stretta relazione con un altro strumento di state building che suscitò entusiasmo tra i donatori negli anni '90, la condizionalità politica.
Spesso, per la loro correlazione intrinseca, questi concetti vengono affrontati assieme nei programmi di studio sugli aiuti. Democracy assistance e good governance possono coincidere in buona parte nella teoria e nella pratica sul tema degli aiuti, e spesso vengono considerate come due facce di un unico processo di sviluppo politico.
In realtà, ad una più attenta analisi, coprono due aree distinte. La diffusione del concetto di promozione della democrazia negli anni '90 è strettamente legata ai valori ideologici che trovano le loro origini negli sforzi degli Stati Uniti in quest'arena internazionale; il concetto di buon governo nella sua forma originaria era concepito più come una qualità apolitica della gestione degli affari economici e politici, e solamente col tempo si è unito in una romantica unione con la promozione della democrazia.
Oltre al cambiamento nella geopolitica globale, un elemento che ha contribuito alla popolarità del sostegno alla democrazia è ciò che Peter Burnell ha definito "profonda trasformazione" pensando alla relazione tra lo sviluppo economico e quello politico. In breve, viene abbandonato il concetto, (che deriva dall'importante lavoro di Lipset), che tradizionalmente considera lo sviluppo economico primario rispetto a quello politico.
Verso la fine degli anni '80 la Banca Mondiale ha iniziato a promuovere la visione secondo la quale i problemi della povertà e del sottosviluppo sono legati alla governance. Promuovere la good governance e istituzioni solide iniziò ad essere visto come un modo per favorire la crescita economica e migliorare il benessere, e non viceversa. Le qualità democratiche della good governance, quali la trasparenza e l'accountability, erano facilmente riconoscibili. Una sinergia dei due paradigmi.
Sarebbe difficile stabilire l'esatto ammontare degli aiuti impegnati a questo scopo. In primo luogo perché il Comitato di Sviluppo Economico (DAC) dell'OCSE Organization for Economic Cooperation and Development, ndt., centro fondamentale per quanto riguarda i dati relativi agli aiuti, a livello globale non utilizza la categoria del democracy assistance. In secondo luogo perché i governi donatori registrano in modo diverso l'assistenza che forniscono per gli stessi o simili obiettivi ed attività. Inoltre, secondo molti studiosi, l'attuale ammontare totale degli aiuti investiti nella promozione della democrazia non ha tenuto il passo con l'incalzante retorica sull'importanza della democratizzazione.
Ad ogni modo, la riforma democratica è stata un aspetto strettamente legato agli aiuti ai Balcani per l'intero periodo di transizione e, inevitabilmente, al processo politico in atto nella regione.
Anche se alcune delle prove maggiori per la democrazia nei Balcani, come i governi autoritari o semi-autoritari, sembrano per ora essere superate, il processo è molto lontano dall'essere completato, e si prospettano molte altre sfide. Le tornate elettorali richiedono e ricevono ancora una forte attenzione internazionale e attirano significative somme in donazioni. Il coinvolgimento internazionale è ancora necessario per orientare il processo.
Oltre alle elezioni, il sostegno alla società civile resta forte e gli sforzi tesi alla good governance, alla riforma giudiziaria, alla lotta alla corruzione sono aumentate nel corso del tempo.
Come sempre, è difficile misurare l'impatto, ma richiamandosi semplicemente ai fatti, i Balcani oggi sarebbero diversi se non ci fosse stato il decisivo sostegno alla democrazia.