La Slovenia chiude il suo semestre di presidenza dell'UE. Non sono poche le ombre lasciate dall'entusiasmo europeo per la presidenza slovena. Il delicato tema dei cancellati è sicuramente una di queste. Ma la Slovenia pensa già alle elezioni politiche
All'ombra dei riflettori del fine-presidenza slovena, tra la mirra e l'incenso con cui Barroso e Poettering cercavano di rimediare al vuoto imbarazzante dell'aula del parlamento europeo in cui Janez Janša parlava per l'ultima volta, da presidente di turno, a una sparuta platea compiaciuta dei meriti e successi del semestre "gentile" - come l'ha definito un euro-parlamentare socialdemocratico tedesco - , in mano a Lubiana, a Pirano, nell' Istria slovena, moriva Milan Makuc.
Chi era Milan Makuc? La sua firma è in calce, insieme ad altre nove, alla denuncia inoltrata, contro le autorità slovene, da una decina di cancellati presso il Tribunale europeo per i diritti umani. Non si sa esattamente quali siano state le cause della morte di Makuc. Probabilmente lo ha ucciso un brutto cancro che gli corrodeva le carni e il volto, senza che - essendo un cancellato - potesse usufruire in tempo delle cure garantite da una regolare assistenza sanitaria. Il suo corpo è stato fatto cremare in fretta, senza il consenso dei parenti e senza autopsia. Lo scandalo è trapelato solo grazie ai suoi vicini e ai pochi attivisti che sostengono le vittime della cancellazione.
La tragedia di Makuc - sloveno, di genitori sloveni, nato però per caso ad Arsia, nell'Istria croata e quindi "straniero" - sintetizza il dramma dei cancellati in Slovenia (e in Europa), un dramma che nemmeno i sei mesi di presidenza, tanto elogiata soprattutto dalla destra europea, con tutte le sue pompose frasi a favore del "dialogo interculturale", sono riusciti a risolvere. Eppure sarebbe bastato il rispetto di due delibere della Corte costituzionale slovena che il governo di Lubiana ha cinicamente ignorato, offrendo quale alternativa, una restrittiva e discriminatoria legge costituzionale che le neutralizzerebbe e sulla quale la maggioranza il 4 luglio prossimo organizzerà un "dibattito pubblico" in parlamento.
Il tema dei cancellati, gestito strumentalmente dall'alto, con la sua intrinseca carica di xenofobia, viene a pennello in vigilia elettorale. Janša lo sa, avendone fatto già buon uso in passato. L'odor di recessione e il carovita in Slovenia aumenteranno poi ulteriormente il rigetto nell'opinione pubblica di ogni aspettativa e rivendicazione dei cancellati. L'Unione Europea, con le sue istituzioni, se n'è infischiata; Poettering, Barroso e Frattini hanno preferito dare credito alle spiegazioni del compagno di Partito Popolare Europeo Janša. La violazione dei diritti umani dei cancellati è così rimasta una "questione interna" alla Slovenia, di cui nell'UE - visto l'investimento propagandistico - bisogna parlare con sole lodi. E così la cancellazione slovena ha avuto piena legittimazione nell'UE.
In questi giorni la TV di stato non ha fatto che osannare i sei mesi di presidenza slovena, evitando di ricordare la gaffe filoamericana dell'inizio semestre in merito al Kosovo e il lavoro sporco assegnato, presumibilmente da Germania e Gran Bretagna, a Lubiana per far passare la nuova direttiva UE, contestata dai sindacati, che porta l'orario lavorativo settimanale dalle 48 ore massime - garantite ormai da 91 anni dall'Organizzazione Mondiale del Lavoro - a 60 e persino 65 ore lavorative.
Una pericolosa regressione dei diritti sociali garantiti, accusa decisa la Spagna di Zapatero; un importante progresso sociale, spiega invece la Slovenia di Janša, che viene applaudita da tutti i paesi del fronte del "free choice" tra lavoratore singolo e datore di lavoro. Alla faccia del sindacalismo.
I media di stato sloveni hanno glissato anche sulla "direttiva della vergogna" - come l'hanno definita all'unisono i leader latinoamericani - che irrigidisce il trattamento degli immigrati extracomunitari. La direttiva è stata fatta passare per mano della presidenza slovena dopo il recente vertice EU-America Latina, cosa che ha fatto infuriare ulteriormente le capitali del continente verde. E nemmeno il "no" irlandese ha intaccato l'immagine di una "presidenza modello", che tale doveva figurare perché dedicata a tavolino alla "nuova Europa". Le immagini televisive hanno cercato di evitare il vuoto della sala parlamentare mentre il pupillo di Barroso e Poettering si accomiatava dagli euro-deputati.
Ora, in Slovenia inizia una rovente campagna elettorale in cui verrà sfoderato tutto l'armamentario classico delle dispute politiche sul lato soleggiato delle Alpi, compresa la xenofobia anti-cancellati e le rivendicazioni territoriali a cavallo della frontiera con la Croazia.
Domenica scorsa un referendum consultivo sulle 13 province proposte dal governo in Slovenia non sono previsti enti intermedi tra lo stato e le municipalità, organizzato in funzione elettorale, si è trasformato per Janša in una Caporetto. Solo l'11% degli elettori vi ha aderito contro l'89% di astenuti. Brutto monito per la maggioranza, anche se il premier l'ha definito legittimo in tutti i sensi paragonandolo a quello irlandese sul trattato di Lisbona "in cui" - ha detto Janša - "ha votato solo l'1% degli europei. Eppure a nessuno viene in mente di contestarne la legittimità".