L'analisi di Enes Cansevər, opinionista del quotidiano azero Zaman, sulla crisi nel Caucaso e sulle opportunità per una soluzione del conflitto turco-armeno. Nostra traduzione, seconda parte
Di Enes Cansever, Zaman, 23 agosto 2008 (titolo orig. "Qafqazda shahmat ssenarisi - I")
Traduzione per Osservatorio Caucaso: Ermanno Visintainer
Cari lettori, lo scenario che intendo narrarvi è totalmente frutto delle riflessioni di cui mi assumo la licenza.
Nel momento in cui la Turchia ha collocato le proprie idee al centro della piattaforma caucasica Ankara ha presentato nei giorni scorsi una proposta di "Piattaforma per la stabilità e la collaborazione caucasica", che dovrebbe inizialmente includere la Turchia, la Russia, l'Azerbaijan, la Georgia e l'Armenia, ndt, ha preso visione dell'integrità territoriale della Georgia almeno quanto di quella dell'integrità della terra azera. In base alla convergenza favorevole della Russia nei confronti dell'iniziativa di questa piattaforma, sembra esserci la possibilità di realizzare un qualche passo avanti nella questione del Karabakh. Tale questione, infatti, costituisce la parte più importante del problema caucasico.
Mi verrebbe da dire che, dopo aver ottenuto il consenso definitivo fra Turchia e Russia in merito alla citata questione, questa piattaforma renderà attuali le iniziative e i dibattiti sull'argomento. A cosa si potrebbe riferire per esempio? Mettiamola così: nella fase che vede contrapposte la Russia e la Turchia verranno fatti dei passi in avanti mentre, nel corso di questa cooperazione, l'Europa guadagnerà un ascendente sulla regione relativamente ai pluriennali problemi dell'America, esacerbati fino nelle viscere. Allorché la cooperazione russo-turca darà i suoi frutti, la Francia sarà rimossa dal Caucaso così come gli Stati Uniti. Mentre, in margine alla piattaforma caucasica, saranno liberate dagli armeni le regioni dell'Azerbaijan adiacenti al Karabakh. La Turchia dopo aver giocato un ruolo così importante si rafforzerà notevolmente nella regione. Così, formalmente, Ankara eserciterà un grande prestigio e come nazione amica conseguirà un'alta stima, sia nel Caucaso che presso le repubbliche dell'Asia Centrale.
Bene, abbiamo detto che in una prima fase si evacuerebbero le regioni adiacenti al Karabakh, ma poi che succederebbe? Innanzitutto, dopo 16 anni di braccio di ferro, la mediazione turca apporterebbe una vera distensione al contesto internazionale. Di ciò l'Azerbaijan non potrebbe che essere soddisfatto.
Se queste regioni venissero liberate, di riflesso anche la Turchia, senza intraprendere la minima relazione diplomatica, potrebbe aprire all'Armenia le porte delle frontiere. Quindi l'Armenia sarebbe appagata. Bene, ma quale sarebbe il profitto della Russia e quale la soddisfazione? La Russia dichiarerà a tutti che gli Stati Uniti sono un paese problematico per il Caucaso, e con questo passo si sforzerà di dimostrare le proprie affermazioni. Giusto, ma a questo punto pare che la Russia abbia perso definitivamente la Georgia. Vero, ma al suo posto ci guadagnerebbe la possibilità di collocare più stabilmente l'Armenia. Questo perché dopo aver aperto le frontiere con la Turchia, gli armeni avranno liberato il proprio paese dall'impasse dell'embargo economico.
Potrà la Russia esserne più soddisfatta? Senza alcun dubbio. Infatti stabilizzerà ulteriormente le relazioni con un paese come la Turchia che, rafforzatosi sia nell'ambito commerciale che in quello turistico, sviluppato negli ultimi anni, formalmente potrà stabilire collaborazioni politico-strategiche con Ankara.
Quanto alla Georgia, altro membro della piattaforma caucasica, quale vantaggio potrà trarne? La Georgia, essendo diventata un paese di transito energetico, ne otterrà considerevoli profitti. Attraverso la realizzazione di questa piattaforma svilupperebbe la propria economia e potrebbe salvaguardare la sicurezza dei propri programmi energetici, poiché la Russia e Tbilisi avranno formalmente conseguito un accordo. Se non si contemplasse questo scenario, o eventi simili, la piattaforma caucasica sarà un fallimento sul nascere. Ovverosia di questa iniziativa non rimarrà niente altro che una gran quantità di negoziati e incontri storico-diplomatici. Ciò nonostante la Turchia sembra assai risoluta riguardo a questa missione, sia nella persona del presidente che in quella del primo ministro, e in tempi ravvicinati si potranno vedere considerevoli iniziative.
La Turchia, invero, non si è cimentata soltanto nel Caucaso, ma anche in quattro altre imprese molto significative.
Ufficialmente Ankara si è fatta carico di una missione di mediazione atta a rimuovere la contrapposizione tra Siria e Israele, nonché di un'altra iniziativa per attenuare la tensione tra Stati Uniti e Iran. Inoltre lavora per garantire la pace tra Israele e la Palestina. Ma è soprattutto il vertice della Turchia con i paesi dell'Africa, che prossimamente si terrà ad Istanbul, che mostra la preparazione di un nuovo balzo economico-politico di Ankara verso il prossimo futuro. Immaginate che, a questo vertice di Istanbul, essa si unisca alla guida di 50 nazioni dell'Africa. Le decisioni che saranno prese alla conferenza amplierebbero ulteriormente il suo punto di vista nonché favorirebbero l'accesso di Ankara a questo continente. Volendo dirigere l'attenzione verso un'altra opportunità, Ankara potrebbe venire incontro alla storica ostilità greco-turca e fra le due nazioni si instaurerebbero relazioni sincere.
Per quanto riguarda invece la questione della visita del presidente turco in Armenia, ho visto attorno a me una gran quantità di persone spaventate dalla notizia. Personalmente non sono contrario alla venuta di Gul, purché tale visita non sia priva di progressi positivi sia per la questione del Karabakh che per quella del genocidio. Questo mi rammenta un altro evento storico. Se ricordate, quando uscì la questione del dialogo interreligioso e interculturale, si fece un gran baccano, e molti si sforzarono per troncarlo sul nascere: "Cristiani e musulmani non seppero mai mediare o convenire su un qualsiasi argomento". Tuttavia si tennero incontri, si apportarono scambi di idee, si dialogò, e la sua utilità è nota a chiunque. Ma i musulmani che incontrarono i cristiani riferirono ai fanatici religiosi queste parole: "Benché gli incerti nella fede temano di cedere all'influenza della parte opposta cadendo nell'apostasia, noi non abbiamo dubbi riguardo alla nostra religione e alla nostra fede e non abbiamo timore di incontrare i cristiani". Quindi, venendo all'attualità di questo problema, rammentando lo stesso evento, so che noi non abbiamo alcun timore dell'Armenia. Se qualcuno ha paura, anche gli armeni ce l'hanno. Noi, utilizzando questa opportunità che ci vien data dalla storia, li dobbiamo far sedere al tavolo con i mezzi più svariati e attirarli al dialogo. La via verso il successo sta solo in questa direzione.
(II - fine)