Un incontro con Aldo Ferrari, docente di Lingua e Letteratura Armena presso l'Università Ca' Foscari di Venezia, per fare il punto sull'interesse italiano per la regione caucasica

25/03/2008 -  Maria Elena Murdaca

Aldo Ferrari, docente di Lingua e Letteratura Armena presso l'Università Ca' Foscari di Venezia, è responsabile dell'Osservatorio Caucaso-Asia Centrale dell'Istituto di Studi di Politica Internazionale (ISPI) di Milano e vicepresidente della Associazione per lo Studio in Italia dell'Asia centrale e del Caucaso (ASIAC). Tra le sue pubblicazioni principali: Alla frontiera dell'impero. Gli armeni in Russia (1801-1917), Edizioni Mimesis, Milano 2000; La foresta e la steppa. Il mito dell'Eurasia nella cultura russa, Libri Scheiwiller; Milano 2003; L'Ararat e la gru. Studi sulla storia e la cultura degli armeni, Edizioni Mimesis, Milano 2003; Il Caucaso. Popoli e conflitti di una frontiera europea, Edizioni Lavoro, Roma 2005; Breve storia del Caucaso; Carocci, Roma 2007.

Qual è la situazione della ricerca italiana in Caucaso? Come ci collochiamo rispetto agli altri paesi europei? E' efettivamente vero che ci sono pochi esperti di Caucaso in Italia?

In Italia per alcuni aspetti gli studi sul Caucaso sono ad alto livello. Sicuramente, per quello che poi è il mio campo primario di interesse, l'armenistica, in Italia abbiamo un'eccellente scuola che da decenni produce molto nell'ambito della storia dell'arte, della storia tout court, della filologia. Altri settori sono relativamente sviluppati, come gli studi archeologici. Quello che in Italia è ampiamente mancato fino ad alcuni anni fa è un interesse per il Caucaso nella sua globalità, una percezione del Caucaso come regione autonoma, non solo geograficamente ma anche storicamente e culturalmente.

C'è stato bisogno della fine dell'URSS perché emergesse questa consapevolezza. Sino a quando è esistita l'URSS, il Caucaso sostanzialmente era visto soltanto come una sua parte Sovietica. Il fatto che Georgia, Armenia e Azerbaijan siano diventati indipendenti, nonché lo scoppio del conflitto ceceno, ha reso visibile il Caucaso a livello politologico, geopolitico e giornalistico, attirando un crescente interesse. Gradualmente si sono delineati in Italia - in corrispondenza a quanto avveniva in Francia, dove c'è una tradizione maggiore, in Germania e in Inghilterra - una serie di filoni di studio abbastanza consistenti che però faticano molto a trovare una struttura organizzativa. Ci stiamo provando, in primo luogo con l'Associazione per lo Studio in Italia dell'Asia centrale e del Caucaso ASIAC. Nata nel 2004, questa associazione costituisce un tentativo di mettere in collegamento le diverse aree e i diversi specialisti di questi studi. Nel 2005 l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano ISPI, ha creato un settore di studi su Caucaso e Asia Centrale. Ci sono poi diverse altre associazioni, come quella armenistica "Padus-Araxes" e alcune che iniziano ad occuparsi di Georgia. Intorno alla tragedia cecena è nato un interesse giornalistico, ma anche a livello di società civile, che ha determinato la formazione di una serie di strutture: il Comitato per la Pace nel Caucaso, nonché alcune ONG di cooperazione che lavorano anche sul territorio www.mondoincammino.org. Anche la nascita di Osservatorio Caucaso è molto rilevante, perché rende possibile la consultazione settimanale in lingua italiana di quanto accade nella regione caucasica, con articoli di buon livello e approfondimento.

Occorre sottolineare che progressivamente si inizia a capire l'importanza di questa regione. Anche il Ministero degli Esteri italiano sta mostrando attenzione crescente, quindi ci sono diverse linee abbastanza promettenti, sia a livello di cooperazione che di interesse politico. Il problema, nei prossimi anni, sarà quello di organizzare e coordinare queste potenzialità per offrire una prospettiva più organica e integrata di ricerca.

E a livello universitario?

A livello universitario lo studio del Caucaso è reso difficile dal fatto che si tratta di un'area di frontiera. Non solo in senso politico e in senso geografico, ma anche nell'organizzazione dello studio. Vale a dire, il Caucaso non si capisce bene dove collocarlo. Gli specialisti di storia dell'Europa Orientale non sono preparati ad affrontare il Caucaso, perché questa materia di studio si ferma alla Russia. Se passiamo invece agli studi sul Vicino Oriente, il Caucaso, soprattutto quello settentrionale, ne è sicuramente fuori. Il Caucaso, quindi, è un'area anche disciplinariamente un po' difficile da collocare. Gli specialisti devono sobbarcarsi di un lavoro notevole, proprio perché si tratta di un'area di frontiera. Questa è la ragione del suo fascino ma anche un motivo oggettivo di difficoltà. Crearsi una competenza reale sul Caucaso è molto difficile anche a causa della sua complessità etnico-culturale. Per capirci: per quanto sia sconfinata la Russia, la conoscenza del russo è sufficiente ad affrontare lo studio di questo paese. Per quanto riguarda il Caucaso, è necessario conoscere non solo il russo, ma almeno alcune delle lingue locali, che sono tante ed estremamente difficili: georgiano, armeno, azero, per non parlare delle lingue del Caucaso settentrionale.

Una regione con tanti conflitti interetnici: quali sono i fattori che li accomunano?

Normalmente si dice che i conflitti interetnici in Caucaso siano soprattutto la conseguenza dell'estrema complessità etnica e di un passato di odi ancestrali le cui radici risalirebbero a chissà quando. In realtà non è esattamente così.

Il Caucaso pur essendo da millenni una regione abitata da numerosissime etnie, lingue, culture, non conosceva rivalità interetniche come le intendiamo ai giorni nostri. Gli scontri interetnici nascono in realtà nel XX secolo. Il primo di cui si abbia memoria è il cosiddetto conflitto armeno-tataro tataro era il nome con cui erano chiamati gli attuali azeri in epoca ancora zarista del 1905-1907, ed è già un conflitto moderno, con forti basi socio-economiche, oltre che etniche. A mio avviso, anche se non tutti gli studiosi sono d'accordo, le principali ragioni dello scoppio dei tanti conflitti dopo il crollo dell'URSS vanno individuate soprattutto nella politica delle nazionalità condotta in epoca sovietica negli anni '20 e '30. Questo perché in epoca zarista le numerose popolazioni del Caucaso non godevano di nessuna autonomia amministrativa su base territoriale. L'Impero Russo sulla base della tradizionale volontà di dividere per comandare, creava strutture e governatorati al cui interno convivevano numerose popolazioni, nessuna delle quali prevaleva nettamente sulle altre a livello demografico. In epoca sovietica la situazione venne ribaltata: si cercò di dare al maggior numero di etnie possibile un radicamento territoriale. Di qui la creazione di repubbliche, regioni e territori autonomi, non solo nel Caucaso. Questa "ingegneria nazionale" creò parecchi problemi, perché determinò un cambiamento nelle identità di queste popolazioni, che all'inizio erano su base religiosa oppure clanica, non nazionale. Questa politica delle nazionalità di epoca sovietica ha invece determinato una territorializzazione delle identità nell'ambito però di aree che rimanevano tutt'altro che omogenee. Tutte queste entità autonome avevano una popolazione titolare, ma comprendevano al loro interno molte minoranze che in alcuni casi erano addirittura più numerose della maggioranza titolare. A questo va aggiunta la forte resistenza delle popolazioni caucasiche alla dominazione sovietica. La lotta dei sovietici alla tradizione religiosa, la collettivizzazione, ha determinato una forte opposizione e la tragedia delle grandi deportazioni durante la seconda guerra mondiale. Nel Caucaso meridionale la ripartizione territoriale fra Georgia, Armenia e Azerbaijan ha determinato una forte insoddisfazione, in particolare fra abkhazi, osseti e armeni del Nagorno-Karabakh.

Sono state in larga misura queste infelici politiche nazionali di epoca sovietica a far sì che nel momento in cui la repressione si attenuava, i conflitti interetnici latenti negli anni precedenti siano improvvisamente e tragicamente esplosi. Quella che noi chiamiamo conflittualità etnica è anche la conseguenza della nuova situazione geopolitica che si è prodotta nel Caucaso dopo il crollo dell'URSS. In quello che viene chiamato un po' goffamente "grande gioco" alcune delle popolazioni si sono schierate con Mosca, altre con gli Stati Uniti, e i vari conflitti interetnici sono almeno in parte collegati a questa rivalità fra le due potenze. Quindi la definizione di conflitti interetnici, pur non sbagliata, risulta incompleta.

Una domanda personale: ha cominciato con lo stiudio della Russia, adesso insegna lingua e letteratura armena. Il passaggio dalla Russia al Caucaso?

Io sono nato come studioso di storia e cultura russa, poi ho conseguito il dottorato in armenistica. Il mio percorso quindi è una sorta discesa dalla Russia al Caucaso attraverso l'Armenia. Però non è una discesa casuale, nel senso che il Caucaso ha una storia molto antica, molto più antica di quella russa, ma a un certo punto, a partire dalla fine del XVIII secolo, incontra la Russia. La storia moderna e contemporanea del Caucaso è strettamente legata a quella della Russia. In questo senso, gli studi russi e poi armeni mi hanno consentito di accostarmi al Caucaso in una prospettiva duplice, per quanto possibile, sia settentrionale sia meridionale. Di qui il tentativo di intraprendere uno studio integrato dell'intera realtà caucasica, nella misura delle mie forze. Perché, ripeto, lo studio del Caucaso richiede un'enorme preparazione storica, culturale e linguistica, ma avere due referenze forti, come appunto quella russa e quella armena consente almeno di cominciare ad impostare una ricerca integrata sul Caucaso. E' evidente che il "caucasologo" ideale dovrebbe conoscere oltre al russo, anche il turco, il persiano, il georgiano e l'armeno. Si tratta di competenze quasi impossibili da ritrovare in un'unica persona, forse in un linguista, ma difficilmente in uno storico.

E' possibile individuare dei tratti comuni che identificano la "caucasicità" dei popoli di una regione famosa per la sua complessità etnica, linguistica e religiosa?

Identificare la "caucasicità" dei popoli di questa regione non è facile e credo non sia neppure necessario. Purtroppo sappiamo che in Russia si tende adesso ad identificare tutti i caucasici con un'unica definizione - la più rispettabile delle quali è "persone di nazionalità caucasica", ma ne esistono anche altre irripetibili - facendo di tutta l'erba un fascio e andando molto oltre il legittimo. Esistono in realtà all'interno dello spazio caucasico delle somiglianze, non solo linguistiche ma anche culturali e psicologiche. Per esempio, la dimensione tribale, clanica è molto forte, sia nel Caucaso settentrionale sia nel Caucaso meridionale. Le popolazioni della regione hanno un livello di bellicosità superiore alla media e derivante da condizione storiche comuni. Soprattutto nel Caucaso settentrionale la difesa dell'onore personale e familiare costituiva in effetti un elemento primario della vita sociale. Si può aggiungere, certo, anche una qualche somiglianza fisica, relativa, ma nonostante ciò percepibile quando si giunge nel Caucaso dalla Russia, ma anche da Turchia e Iran. Occorre inoltre tener presente che la frammentazione etno-culturale e la presenza di diverse religioni rendono in realtà l'area abbastanza disomogenea. Ciononostante credo sia legittimo guardare al Caucaso anche dal punto di vista antropologico come a una realtà unitaria.

Le prossime Olimpiadi invernali si terranno a Sochi: un'occasione per rilanciare la zona o una scelta azzardata , data l'instabilità della regione?

Le Olimpiadi sono eventi importanti e hanno ricadute politiche ed economiche importanti. In una regione in cui, nonostante la tragedia cecena sembri essere in via di ridimensionamento, ci sono però tante incertezze geopolitiche in regioni vicine come il Karačaj o l'Inguscezia o il Dagestan, assai più inquiete e più pericolose di quanto non si registri sulla stampa, organizzare, sia pure fra sei anni, dei Giochi olimpici è un rischio: un rischio non valutabile, non prevedibile, ma sicuramente c'è dell'azzardo. Io non mi sentirei di escludere che se fra sei anni la situazione nella regione non sarà normalizzata, queste Olimpiadi potranno anche rivelarsi un calcolo errato da parte di chi le ha volute a livello di organismi sportivi sia internazionali sia russi. Può essere un'occasione per rilanciare la zona? A mio giudizio la questione va un po' ribaltata: la Russia che da anni ormai conosce un forte sviluppo economico dopo la crisi post-sovietica avrebbe dovuto già da tempo investire assai di più per la ripresa economica dell'intero Caucaso settentrionale che resta fra le regioni più depresse dell'intera Federazione.

Adesso pare che, almeno in una certa misura, questo stia avvenendo in Cecenia ma soltanto nei prossimi anni vedremo fino a che punto i capitali russi continueranno ad affluire e se saranno sufficienti per la ricostruzione e per pacificare la regione. Ma è l'intero Caucaso che avrebbe bisogno di essere ampiamente finanziato per conoscere una ripresa strutturale e non solo assistenziale che possa contribuire al miglioramento di problemi che sono in primo luogo socio-economici e solo in seguito hanno ricadute politiche e militari e addirittura terroristiche, anche se questo termine è stato, evidentemente, abusato da parte russa.

Ci saranno sicuramente finanziamenti russi per rendere all'altezza la regione di Sochi in vista delle Olimpiadi, però non basta perchè è l'intero Caucaso che avrebbe bisogno di un'attenzione molto maggiore. Andrebbe ripensata la politica caucasica della Russia, che ancora oggi non pare essersi in realtà delineata se non nella volontà di mantenere l'intera regione all'interno dei propri confini, senza però riconoscerle un'identità e una partecipazione reale ed equilibrata alla vita della Federazione. In pratica il Caucaso costituisce un problema per la Russia, che non se ne può liberare, ma sostanzialmente non sa bene che cosa fare se non mantenervi la propria presenza per questioni strategiche e di prestigio.