I leader dell'Unione Europea non danno chiare prospettive d'accesso alla UE ai paesi dei Balcani Occidentali. Le conseguenze potrebbero essere gravi: la condanna della Commissione Internazionale sui Balcani
Fonte: International Commission on the Balkans
Un anno fa la Commissione Internazionale sui Balcani, presieduta da Giuliano Amato, pubblicò un rapporto in cui analizzava la situazione politica e geopolitica dei Balcani Occidentali, indicando come per risolvere i problemi della regione fosse imprescindibile una rapida integrazione nell'Unione Europea.Ora esce la Dichiarazione di Roma, frutto dell'ultimo incontro dei membri della Commissione. Vi si legge una forte critica ai leader europei che, dopo aver preso impegni volti all'integrazione dei Balcani Occidentali nella UE a Salonicco nel 2003, non hanno avuto il coraggio e la lungimiranza politica di mantenere le promesse fatte.Della stessa opinione anche gli analisti di ESI, European Stability Initiative, che già due mesi fa avevano definito come "occasione mancata" l'incontro a Salisburgo (11 marzo 2006) dei ministri degli Esteri UE dove non ci si era assicurati che "le prospettive europee dei Balcani occidentali non slittassero ad un futuro troppo lontano"."La UE", scrive la Commissione, "deve offrire un percorso realistico di accesso ai paesi e alle società balcaniche". Deve facilitare l'entrata di giovani e imprenditori balcanici, di fatto rinchiusi fuori dall'Unione, e offrire loro possibilità di studio e movimento. Altrimenti, la regione rimarrà povera e instabile, "un ghetto ai margini dell'Unione Europea".
Dichiarazione di Roma
Nel rapporto pubblicato un anno fa, la nostra conclusione fu che lo status quo nei Balcani Occidentali fosse pericoloso e insostenibile, e che l'integrazione europea fosse l'unico modo di portare sviluppo e prosperità alla regione. Oggi, la nostra opinione è la stessa.
Il nostro timore è, quindi, che i leader europei abbiano perso il coraggio di mettere in pratica l'impegno che presero nel 2003 di portare la regione nella UE. Allarmati dai risultati dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi sulla ratificazione della costituzione europea, i leader della UE si sono ritirati in politiche che, invece di trasformare i Balcani, si limitano a proposte per gestire lo status quo.
Due mesi fa a Salisburgo, la UE non riuscì a rassicurare i popoli dei Balcani Occidentali sul suo irreversibile impegno a integrarli prima possibile. Il vertice di Salisburgo trasmise il messaggio che l'Unione Europea non fosse nè pronta nè determinata a offrire chiare prospettive di adesione.
Non possiamo che rammaricarci di questo sviluppo negativo. È proprio nei Balcani che l'Unione Europea deve dimostrare di essere in grado di trasformare stati deboli e società divise. Questo è tanto necessario per i Balcani quanto per la UE. A meno che l'Unione Europea non adotti una coraggiosa strategia d'ingresso che integri tutti i paesi dei Balcani nell'Unione entro la prossima decade, la sua immagine sarà quella negativa di un riluttante potere coloniale, con conseguenze gravissime in posti come il Kosovo, la Bosnia, e persino la Macedonia. Il vero referendum sul futuro della UE si terrà nei Balcani.
Purtroppo, con Salisburgo la data di adesione per gli stati dei Balcani Occidentali che aspirino ad entrare nell'Unione Europea è rimandata a un futuro lontano. Ai paesi dei Balcani Occidentali sono state offerte infinite trattative. La violazione della promessa fatta consiste nel fatto che questa data non sarà determinata solo dalla prontezza dei paesi che aspirano all'adesione, ma anche dalla cosiddetta "capacità di assorbimento" dell'Unione Europea. La verità è che la popolazione dei piccoli paesi balcanici è circa il 4 per cento della popolazione dell'Unione Europea oggi. La sfida non riguarda la "capacità di assorbimento", ma la capienza morale dell'Unione.
Il vertice di Salisburgo ha trasformato il bisogno di politiche di visto intelligenti, con lo scopo di guadagnare la fiducia della popolazione, in una promessa vaga e poco attraente di "visti facilitati". Il risultato sarà l'ulteriore marginalizzazione e isolamento dei giovani balcanici europeisti per i quali l'entrata in Europa è oggi bloccata dal muro di Schengen.
Per come stanno le cose adesso, i cittadini di paesi come la Federazione Russa e l'Ucraina godranno di un sistema di visti più generoso di quello offerto a persone provenienti da potenziali candidati balcanici all'ingresso della UE. Questo non è l'impegno che l'Europa ha preso a Salonicco nel 2003.
È nostra opinione che il ritiro dall'impegno di Salonicco e dal consenso politico che era nato da esso possa portare a seri e dannosi sviluppi nella regione. Senza un livello di crescita economica sufficente, stati funzionanti e credibili prospettive europee, la regione rischia di diventare un ghetto ai margini dell'Unione Europea. La crisi della prospettiva Europea è al cuore della crisi nei Balcani oggi. Nel caso del Kosovo, l'assenza di una credibile prospettiva di entrata in Europa rimuove un incentivo cruciale per Belgrado e Pristina a trovare un accordo.
Quello che serve oggi è un ritorno allo spirito del consenso di Salonicco del 2003 e alle politiche che ne seguono. La UE deve offrire un percorso realistico di accesso ai paesi e alle società balcaniche. Deve sviluppare politiche che garantiscano visti gratuiti, opportunità educative e libertà di movimento per le generazioni più giovani, specialmente per gli studenti, e per la comunità imprenditoriale dei paesi dei Balcani Occidentali. Senza tali politiche, tutti gli sforzi dell'Unione Europea di costruire fiducia e speranza nel futuro europeo della regione sono destinati a fallire.
Ci aspettiamo che l'Europa mantenga la sua promessa.