"Rompere il silenzio", una delle parole chiave della Settimana Internazionale organizzata a Srebrenica da Fondazione Langer e Tuzlanska Amica. Incontri, seminari e tavole rotonde per superare una memoria che rimane cicatrice dolorosa
Rompere il silenzio. Parole e ricordi (Riječi i sjećanja).Queste sono le idee attorno alle quali si è svolta la terza edizione della manifestazione "La settimana della memoria" svoltasi a Srebrenica in Bosnia Erzegovina. Di Sebrenica si sa molto, si parla ancora e rimane un peso, una cicatrice dolorosa. Ed è importante capirla così come confrontarci con essa.
Organizzata dalla Fondazione Alexander Langer e dall'associazione Tuzlanska Amica, dal 23 a 28 agosto scorso la manifestazione ha portato a Srebrenica una serie di incontri, tavole rotonde, seminari, laboratori. Tra i partecipanti anche futuri operatori di pace e gli studenti del master "Mediazione dei conflitti" dell'Università di Bologna.
Sui giornali bosniaci, la Settimana della memoria è stata presentata come una settimana di attività culturali che prevedeva un programma di concerti, uno spettacolo di danza, la sfilata dei clown e così via. La stampa ha dedicato spazio soprattutto alle cerimonie di apertura e chiusura della manifestazione elencando i musicisti, gli scrittori e gli altri artisti che hanno partecipato alla manifestazione. Al contrario, molta poca attenzione è stata dedicata dai media locali ai contenuti di seminari ed incontri pubblici in cui si è svolta la riflessione sul ruolo della memoria, reale cuore dell'iniziativa. Va notato, invece che alcuni dibattiti svoltisi nell'ambito della manifestazione sono stati importanti e interessanti; tra gli altri, alcune presentazioni di libri. Durante la presentazione dell'ultima pubblicazione di Dubravko Lovrenović, ad esempio, Enver Kazaz che introduceva l'autore ha toccato un argomento spinoso sostenendo che le università in Bosnia Erzegovina sono luogo in cui si insegna l'odio. A seguire l'interessante incontro con Drago Hedl, giornalista croato che ha presentato la storia di Vukovar agli studenti di Master dell'Università di Bologna.
«Quest'anno - ci ha detto Mauro Cereghini, il responsabile della manifestazione per la Fondazione Langer - la settimana e un po' meno italiana, abbiamo concentrato di più la manifestazione su un altro obiettivo, ovvero dare uno spazio di dialogo ai locali». E questo non era facile. Sembra che ci siano sempre delle difficoltà nel coinvolgere i locali. La limitata partecipazione da parte dell'amministrazione cittadina ad esempio è stata evidente a molti. «C'è pubblico locale ma non è mai abbastanza», ci spiega Maja Husejić, referente locale di questa terza edizione della Settimana della memoria. Alla luce delle edizioni passate, tuttavia, gli organizzatori notano che la manifestazione riesce a coinvolgere sempre più la città, perché anche durante l'anno le persone parlano, si raccontano alcuni momenti, gli episodi più importanti accaduti durante la Settimana. Ed ogni memoria acquista una sua dignità. In tre anni, come dice Mauro Cereghini, «la manifestazione è cresciuta, è cambiata e ora comprende più attività artistiche».
Parlando della collaborazione con i locali e in particolare con il partner locale, Mauro ritiene che l'associazione Tuzlanska Amica, di cui è presidente Irfanka Pašagić, non sia solo un logo ma un reale partner con cui confrontarsi, sebbene in uno scambio non sempre semplice. Ricordiamo che l'idea della Settimana della memoria risale a quattro anni fa. E' stata proprio Irfanka Pašagić a vincere il premio Langer nel 2005, e una parte dell'equipe dell'associazione è proprio di Srebrenica. Cosi la Pašagić ha coinvolto la Fondazione Langer in una collaborazione che continua ogni anno a Srebrenica.
Ed eccoci alla fine della terza edizione. Rimangono sempre molte domande che riguardano che cosa si possa ancora fare, su cosa concentrarsi in futuro. E rimane aperto anche il confronto tra NGO e altri soggetti stranieri e locali. Per parte locale spesso arrivano critiche o richieste in altre direzioni come: «Invece di organizzare viaggi dall'estero, che cosa si poteva comprare per questi soldi? Forse si potevano creare due o tre posti di lavoro per la gente locale?» - questo ci ha chiesto una delle attiviste locali. Certo, gli stessi locali ignorano il fatto che molti dei partecipanti stranieri alla manifestazione di Srebrenica vengono a loro spese. I (piccoli) malintesi forse sono inevitabili. Ma c'è anche il confronto. E, come si diceva, non e' sempre semplice.