Solidarietà, coraggio civile, cittadinanza responsabile alla ricerca di un'interpretazione condivisa del passato di guerra. Svetlana Broz incontra il Forum civico di Prijedor
È possibile parlare di memoria e riconciliazione in Bosnia Erzegovina? È possibile conciliare due termini che a volte sembrano invece contrapporsi? È possibile farlo in una città simbolo della pulizia etnica e dell'odio come Prijedor, dove le memorie sembrano rigidi blocchi separati e non comunicanti?
Il cammino di elaborazione del conflitto per la ricerca di una memoria condivisa e condivisibile è uno dei temi affrontati dal Forum civico di Prijedor, associazione nata nel 2002 con il sostegno dell'Agenzia della democrazia locale, in una serie di incontri con scrittori, giornalisti e intellettuali. Tra gli ospiti del mese di aprile Svetlana Broz, autrice del libro Dobri ljudi u vremenu zla (I giusti al tempo del male), che raccoglie testimonianze sui gesti di solidarietà durante i conflitti degli anni Novanta in ex-Jugoslavia.
A Prijedor la scrittrice (che è anche fondatrice dell'ONG Gariwo - Gardens of the righteous worldwide, La foresta dei giusti - con sede a Sarajevo) ha incontrato due classi della scuola di economia, instaurando un dialogo sul coraggio civile e sulla cittadinanza responsabile - concetti teoricamente condivisi da ragazze e ragazzi, che trovano tuttavia difficile prendere posizione contro l'arroganza e la corruzione diffuse nella società che li circonda. Di qui, secondo Svetlana Broz, l'importanza degli incontri con chi non ha vissuto gli anni della guerra, ma sente solo storie di odio. Racconta infatti di come sia stata accolta da un'atmosfera di ostilità in una scuola di Bijeljina, per essere poi 'travolta' dal calore degli alunni (e dalle richieste di autografo sulle copie del libro) al termine dell'incontro. "Poche settimane dopo - continua - il professore mi ha chiamata entusiasta, dicendomi che l'incontro aveva prodotto una sorta di rivoluzione". I giovani avevano infatti letto il libro con grande interesse e avevano costretto anche i genitori a parlare di quegli anni. Anche a Prijedor i 58 alunni hanno ricevuto una copia del libro, nella speranza così di svegliare le coscienze e rompere pian piano il muro di diffidenza e paura che ancora esiste in città.
Il libro di Svetlana Broz rappresenta uno strumento che l'autrice utilizza per fare "educazione sul coraggio civile" e riflettere sulla natura dei conflitti cosiddetti "etnici". Dal punto di vista del percorso di elaborazione del conflitto, infatti, le memorie di solidarietà tra civili di ogni appartenenza, derivanti dalla quotidiana abitudine alla convivenza precedente i conflitti etnici, possono rappresentare la chiave per un'interpretazione condivisa degli eventi bellici - un'interpretazione forse più autentica di quella che vorrebbe la Bosnia Erzegovina vittima di eterne e inevitabili pulsioni violente basate su contrapposizioni etniche. Dalle testimonianze raccolte nel libro emerge il ritratto di una realtà divisa fra aggressori armati e società civile impaurita, ma anche capace di scoprirsi unita e solidale contro le aggressioni nazionaliste.
Lo spiega il moderatore Mladen Grahovac, sottolineando come il libro si apra proprio con la testimonianza raccolta a Baljevine, "forse l'unico villaggio della zona che durante quella guerra non è stato incendiato, proprio perché ci si proteggeva reciprocamente" - una testimonianza diretta che spiega come le unità militari dell'HVO (Consiglio croato di difesa) non comprendessero il comportamento dei cittadini croati che difendevano le altre comunità. Appare evidente come i cittadini di Baljevine si sentissero tutti aggrediti come abitanti del luogo, senza riguardo per l'appartenenza religiosa o nazionale, e che quindi il meccanismo di solidarietà fosse spontaneo e reciproco verso i propri vicini e non verso gli aggressori, appartenenti alla stessa nazionalità ma estranei al luogo.
Nel libro si trovano racconti che i cittadini più anziani sembrano aver dimenticato e che i giovani alunni non hanno molte occasioni di ascoltare - migliaia di testimonianze che ancora si celano in ogni villaggio e città della Bosnia Erzegovina, ma che le persone hanno paura di rendere pubbliche, perché non rispondenti alla versione ufficiale o per paura di essere esclusi dalla loro stessa comunità. E anche dagli interventi dei membri del Forum civico emergono numerose testimonianze di gesti di solidarietà, aprendo in maniera spontanea un piccolo percorso pubblico di rielaborazione del conflitto, rivolto soprattutto alle nuove generazioni. Sono queste, afferma Svetlana Broz, che - come succedeva in Germania negli anni Sessanta - dopo aver letto e ascoltato queste testimonianze, si chiederanno e chiederanno ai genitori dove si trovavano in quegli anni, magari scoprendo che non esisteva alcun odio verso i vicini di casa costretti a fuggire.
* Simone Malavolti è delegato dell'Agenzia della Democrazia Locale di Prijedor