Il 22 aprile 2007, a Jasenovac, un ex internato ha preso la parola nel corso delle celebrazioni ufficiali che ricordano la chiusura del campo di concentramento ustascia. Pubblichiamo la traduzione integrale del suo discorso
Cari sopravvissuti al campo di concentramento di Jasenovac,
egregio Presidente della Repubblica di Croazia,
egregio delegato della presidenza del Governo della Repubblica di Croazia,
stimati invitati,
mi chiamo Atijas Jakob. Sono nato a Sarajevo, in una famiglia di lavoratori. Mio padre era barista, mia madre casalinga. Ho concluso gli studi professionali insieme a mia sorella maggiore Rifka, mio fratello aveva studiato come idraulico. Avevamo una sorella minore di nome Flora, che frequentava la scuola elementare.
Anche prima dell'apertura dei campi di concentramento, le nostre vite sono state colpite dal fascismo e dal nazismo. Pensavamo che tutto questo non sarebbe accaduto proprio a noi. Quando i nazisti entrarono a Sarajevo chiusero negozi e aziende di ebrei, perdemmo il lavoro, ci mandarono via da scuola, perdemmo amicizie, i vicini di casa sparirono. Fummo obbligati a portare la Z gialla di "Zidovi", ebrei. Sentivamo i racconti degli arresti degli ebrei a Zagabria, a Sarajevo... Radunammo pochi bagagli, ci preparammo ad essere deportati.
E così, il 3 settembre del 1941, fummo arrestati dalla polizia ustascia, io, mia madre, mio fratello e mia sorella più giovane. Su carri bestiame ci deportarono nel campo di Kruscica vicino a Travnik. Questo era un campo di concentramento per ebrei bosniaci. Ogni giorno arrivavano nuovi treni carichi di uomini, donne e bambini.
Qui vidi per l'ultima volta mia madre e la mia sorellina. Vennero deportate nel campo di concentramento ustascia di Loborgrad. Sono scomparse nell'inferno del campo di concentramento nazista di Auschwitz. Mia sorella maggiore Rifka, maritata Maestro, venne uccisa nel campo di concentramento ustascia per donne e bambini ebrei di Dakovo. Suo marito venne ucciso nel campo di concentramento di Jasenovac.
Nel grande trasporto di deportati proveniente dal campo di concentramento di Kruscica, io e mio fratello di sedici anni, Samuel, sottoposti a botte, maltrattamenti e saccheggiati di tutto, arrivammo a Jasenovac. Eravamo atterriti. Ogni metro c'erano gli ustascia con i loro cani. Divisero subito i deportati più anziani. I più giovani vennero mandati al campo di Krapje. Vennero uccisi subito.
A noi due ci portarono al campo Brocice. Lavoravamo nella costruzione dell'argine del fiume. Picchiavano e uccidevano giornalmente. Gli ustascia si sfogavano su di noi; passammo il cosiddetto "sic tunnel"... Sulle mani e sul collo porto ancora i segni delle ferite dei coltelli ustascia.
Poi ci divisero. Io venni spostato al campo III Ciglana che era qui, in questo spazio. Conobbi ebrei, croati, serbi, cechi, musulmani, antifascisti. I rom venivano subito portati via e uccisi. Agli occhi degli ustascia la loro vita non valeva nulla. Addirittura meno della nostra.
Nel novembre del 1941 arrivò alla stazione di Jasenovac un grande convoglio di deportati. Solo uomini. La colonna si dirigeva verso il campo di Ciglana. Dietro di loro procedevano tre carri. Gli ustascia sgozzavano, massacravano, uccidevano quegli uomini in colonna. Noi fummo obbligati a pulire la strada. Ho tenuto in mano i corpi umani caldi e sanguinanti.
All'inizio di aprile del 1942 venne ucciso mio fratello più piccolo. Durante il lavoro all'aperto, nei campi dei contadini serbi che erano stati deportati nel campo di concentramento, aveva trovato e nascosto in tasca alcune patate e due pannocchie. Al momento del rientro al campo venne perquisito, e gli ustascia trovarono ciò che aveva nascosto. Lo rinchiusero nella famigerata sala di Jasenovac dove venne torturato e dopo due giorni ucciso.
E la fame era inenarrabile.
Mio nonno di 72 anni venne tenuto nascosto agli ustascia dai medici per sette mesi nell'ospedale del campo di concentramento. Venne scoperto e ucciso nella grande operazione di "pulizia" del campo prima dell'arrivo di una commissione ustascia, all'inizio del 1942.
Nella tarda primavera del 1942, quando arrivarono presso il campo di Stara Gradiska dei grossi convogli di deportati di Zavidovici, Zepce e Tesanj, rividi mia nonna, mia zia, mio zio... Di circa 70 membri della mia famiglia allargata, io sono l'unico sopravvissuto.
Dalla cantina dell'ospedale ustascia, che noi internati chiamavamo "Hotel Gagro", insieme a Hirsl, Romano e Svarc di notte sentivamo spesso le urla dei maltrattati, il rumore dei colpi e delle botte, gli ultimi rantoli dei morenti. Da quelli che seppellivano i corpi, venimmo a sapere dei bambini uccisi con il gas, del trasferimento giornaliero degli internati dalle baracche verso la Sava, vidi nel campo il figlio del mio datore di lavoro, un serbo di Sarajevo, incatenato e poi ammazzato.
Da Stara Gradiska, con il trasporto diretto alle esecuzioni, nell'agosto del 1942, mi riportarono a Jasenovac. Un addetto al laboratorio di lavoro, l'internato Somodja, croato, mi tirò fuori dal convoglio di deportati per Donja Gradina.
Ogni giorno, sia a Jasenovac che a Gradiska, ho visto gli uomini legati con il fil di ferro, picchiati, massacrati, fatti bruciare nei forni di Ciglana, ammazzati. La lotta per la sopravvivenza era l'unica cosa che mi teneva in vita, la speranza che un giorno sarei riuscito ad andare via, che non mi avrebbero ucciso. Sebbene sapessi che i miei parenti non c'erano più volevo vivere, speravo che un giorno sarei riuscito ad uscire fuori.
Uomini buoni, onesti, mi hanno aiutato a scappare dal campo di concentramento. Ci saranno sempre uomini buoni. Chi non crede nell'uomo non può essere un uomo. Ed essere un uomo è una cosa grande. E' possibile, ci vuole poco. Solo volerlo e pensare in maniera buona e intelligente.
Non posso raccontarvi tutti i dettagli. E' parte della mia vita. E' accaduto, non dobbiamo dimenticare! Per i giovani, per le generazioni che verranno, perché non ritorni. Anche quando ho raccontato a mio figlio di ciò che avevo vissuto gli ho detto: "Ama tutti, aiuta e sii onesto".
Diamo la possibilità ai nostri diversi pensieri di intersecarsi. Per questo non dobbiamo diventare nemici. La convivenza deve esserci. Se non c'è, non potrà esistere la nostra specie su questo pianeta.
Grazie!