Idee e propositi alla base del progetto per una nuova città di confine (Tratto da Isonzo Soča, n.70-71, novembre-dicembre 2006 - gennaio 2007)
di Diego Kuzmin
"Costruiremo qualcosa di grande, di bello, di altero, qualcosa che brillerà oltre il confine..."
Con questa visione Ivan Matija Maček (1908-1993), Ministro per le Costruzioni della Repubblica di Slovenia federata alla nuova Jugoslavia, principia l'avventura della costruzione della nuova città destinata a capoluogo della Valle dell'Isonzo, del Vipacco e del vicino Carso. Un simbolo urbanistico che doveva illuminare, con la nuova luce del socialismo, quanto rimasto al buio dell'altro lato della frontiera, stabilita ancora nel '44 dalle Potenze vincitrici.
Terminata la seconda guerra mondiale, concluso il lungo periodo dell'Amministrazione militare alleata, dopo la stipula del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio del '47, diventa definitiva l'assegnazione di Gorizia all'Italia e, mentre questa si ritrova per la prima volta ad essere una città senza un retroterra, passato alla Jugoslavia assieme a quattro quinti del territorio provinciale, tutta la zona delle valli dell'Isonzo e del Vipacco si scopre invece acefala e priva del proprio punto di riferimento amministrativo e commerciale. Diventa così naturale pensare di costruire un nuovo Centro, per rimpiazzare tutte le funzioni esercitate per quasi dieci secoli dalla città di Gorizia. Accantonata una prima ipotesi che vedeva Aidussina (già sede del primo governo sloveno) quale capoluogo della regione, viene preferita l'idea di costruire la nuova città nella zona di Gorizia, affidando l'incarico dello studio preliminare all'architetto Božidar Gvardijančič, tecnico locale.
Già nell'aprile del '47, il Gvardijančič proponeva un primo progetto che considerava la zona compresa tra i preesistenti abitati di San Pietro e Vertoiba ma, in seguito a discordanze politiche, per la nuova città viene presto decisa l'ubicazione ad est della stazione della Transalpina (già sede del vecchio cimitero centrale di Gorizia), nella piana immediatamente a sud della periferia di Salcano, secondo una nuova bozza del medesimo progettista, disegnata lo stesso anno. Ambedue i piani urbanistici testimoniano il dibattito precedente alla definitiva decisione in merito al sito. Ambedue infatti risentono dello spirito di edificare la nuova città quasi fosse un'emanazione di quella già esistente, nella (allora) alquanto improbabile speranza di una futura riunione tra i due territori, improvvisamente separati dalla frontiera. Una aspettativa in particolare modo evidente nel secondo progetto, che basa la sua griglia strutturale con esclusivo riferimento all'asse obliquo della via San Gabriele, raccordata alla piazza principale del nuovo capoluogo Isontino-Sloveno.
Oltre a questa connotazione psicologicamente dipendente dalla vecchia Gorizia, in tutti e due i piani si nota una disposizione strutturale della città, quasi appendice dei paesi vicino ai quali veniva a situarsi, incapace di collocarsi autonomamente nello spazio e caratterizzata da uno spirito in certo qual modo infantile, pur essendo modernamente dotata di blocchi da appartamenti e di una griglia fortemente geometrizzata.
Singolare poi il fatto che nella prima versione, quella tra San Pietro e Vertoiba, non sia stata in alcun modo prevista una zona industriale, a probabile motivo dell'economia essenzialmente agricola dei due paesi, mentre nella seconda versione, quella a sud di Salcano, veniva prevista una fascia produttiva limitata e sottile, stretta tra la strada regionale e la linea ferroviaria che corre a fianco del confine di stato, recependo di fatto quella zona industriale già esistente a fianco della ferrata e pregiudicando così qualsiasi possibilità di futuri ampliamenti produttivi.
Ma già pochi mesi dopo, nel settembre del '47, con l'annessione del Litorale alla nuova Federazione Jugoslava, le competenze decisionali circa la costruzione della nuova città passano al Governo Centrale e al Ministero per la Costruzione della Repubblica di Slovenia, che si rivelò elemento decisivo nella scelta dell'assetto urbanistico del nuovo capoluogo, svolgendo un ruolo determinante ed esclusivo sia per la determinazione del sito, sia per la individuazione del progettista.
La nuova città doveva esser costruita a ridosso del confine italiano e doveva esercitare un ruolo particolarmente importante per l'immagine politica della nuova Repubblica Socialista, gravandosi del ruolo di strumento di propaganda politica. Con il nuovo progetto dell'architetto Edo Ravnikar, redatto nel '49 in adattamento ad una sua prima ipotesi di quello stesso anno, vengono così a delinearsi quegli elementi principali che tutt'oggi caratterizzano la struttura urbana di Nova Gorica.
Edvard Ravnikar nasce nel 1907 a Novo Mesto, città della Slovenia a pochi chilometri da Zagabria.
Nel "Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica" (Istituto Editoriale Romano, 1969) è considerato un rappresentante della corrente funzionalista dell'architettura. La sua biografia riporta: "residente a Lubiana. Studiò presso la facoltà di Ingegneria di Lubiana e con Le Corbusier a Parigi. Opere: Lubiana, galleria d'arte moderna e centro studentesco; Skopje, facoltà di Scienze naturali; Nova Gorica, blocco di abitazioni; progetti per la sistemazione urbanistica di Lubiana e per la sistemazione dell'isola di Ruissalo in Finlandia." Non del tutto esatto. Dopo la laurea al politecnico di Vienna e studi con Plečnik a Ljubljana, lavora per sei anni col grande architetto sloveno e nel 1939 per sei mesi nello studio di Le Corbusier in Francia, a progettare la nuova Algeri. Muore a Lubiana nel 1993.
Il Piano di Ravnikar, redatto secondo i principi dell'urbanistica moderna (comunque disatteso nella realizzazione in molte delle sue fondamentali previsioni e presupposti) rimane peraltro a tutt'oggi un punto di riferimento essenziale, quale prodotto di una razionale e chiara impostazione:
"... Nova Gorica non è nata come le altre città "moderne", non è nata come una città satellite, oppure come una città che potrebbe alleggerire l'esplosione urbana della città storica. Non è nata come conseguenza della rivoluzione urbana o della rivoluzione industriale, è nata con un taglio, una frattura, un confine. E' nata come surrogato di qualcosa che è stato perduto: una città artificiale ma dotata della medesima funzione di altre città poste al centro di una regione." (V. Torkar, 1987).
Strategica quindi la scelta dell'architetto Ravnikar per la stesura del piano di costruzione: oltre ad essere il maggiore tra gli architetti sloveni (Plecnik nato nel 1872 era ormai anziano), aveva collaborato con Le Corbusier (1887-1965) a Parigi nell'atelier al 35 di rue de Sèvres (dove "Corbu" tesseva le fila del Movimento dell'architettura moderna) e conosceva perciò le nuove e razionali teorie dell'Urbanistica. La nuova città venne quindi progettata come un "modello", così descritto dalle parole dello stesso Ravnikar:
"Era stato deciso che si voleva costruire qualcosa di grande, di bello, di altero, qualcosa che brillasse oltre il confine; tutti, dal contadino ai più alti rappresentati politici, ci entusiasmammo per questa iniziativa. L'urbanistica moderna divenne così per noi anche un'arma per la lotta nazionale e politica ... L'idea di una simile impresa doveva irradiare una certa magnanimità, una concezione in senso più largo, senza errori di scala, doveva esprimere la bellezza senza il vacuo gigantismo delle masse costruttive e doveva soprattutto prevedere una più estesa superficie riservata alla vegetazione e alle piante caratteristiche della regione ... Le note caratteristiche naturali dell'ambiente di Gorizia sembravano create apposta per l'ideazione di una città, come se questa fosse sotto il cielo della Provenza..."
Sciaguratamente tutta la documentazione di questo progetto è andata perduta, conservandosi però alcune fotografie tali da rendere un'idea sufficientemente definita di quella che era l'organizzazione urbana: la struttura riflette il principio della "croce stradale" di Le Corbusier, con la distribuzione delle quattro principali funzioni cittadine nelle quattro parti corrispondenti e spartite dalla croce: a nord amministrazione e servizi (destra e sinistra) a sud industrie e residenza (dx e sx).
Contrariamente a quanto sempre avvenuto tradizionalmente nella costruzione di una città nuova fin dai tempi antichi, il centro non viene collocato in posizione baricentrica quale foro, bensì allungato su uno dei lati verticali di questa "croce", lungo l'asse portante della struttura urbana che era l'arteria principale, la magistrale (Magistrala) sulla quale: "...viene a crearsi così un centro di tipo mediterraneo lungo la strada diritta, lunga circa due chilometri, con una densa piantagione di platani e con la costruzione al suo margine di edifici pubblici, uffici e negozi aperti verso il marciapiede..." (E. Ravnikar).
Nella concezione di questo viale cittadino di considerevole lunghezza, con quattro filari di alberi sotto i quali avrebbero dovuto svolgersi le principali attività cittadine, aveva profondamente influito l'assetto mediterraneo del Cours Mirabeau, voluto dalla reggente Maria dei Medici intorno al 1650 (se promener en carrosse aux hereus les plus fraîches de l'aprèsdîner) ad Aix-en-Provence, visitata dal Ravnikar negli anni giovanili. Uno schema stradale che, ripreso dal Cours La Reine di Parigi del 1616, ha fortemente condizionato la struttura dei viali da passeggio (promenade) realizzati successivamente, come anche il Corso di Gorizia, appunto con quattro filari di platani a formare un cielo verde e ombroso sopra il viale centrale e su quelli laterali percorsi dai passanti.
(Nella nostra città purtroppo, vista la micragnosa strettezza della sede stradale progettata all'epoca, due di questi filari sono stati ben presto demoliti, permanendo un relitto costituito da tre enormi platani che ancora fino a tre anni fa vegetavano pacificamente di fronte al parco della Rimembranza: un'unica pianta è sopravvissuta. Del trittico maestoso, due sono state demolite e sconsideratamente sostituite, in posizione diversa dall'origine, da due alberi poveracci, coi rami potati secondo una dissennata struttura "a crocifisso").
Per motivi economici, a Nova Gorica i platani non saranno mai piantati e il grande vialone verrà ad assumere quell'aspetto vuoto, che parte dal nulla e arriva nel nulla e che sempre ha fatto pensare a una pista di atterraggio per Tupolev, spersa nella landa.
L'arteria magistrale dotata di larghi marciapiedi, strade di servizio, palazzi d'abitazione, uffici ed affari, dalla larghezza complessiva di circa 80 metri, è stata realizzata ad 800 metri dai binari della ferrovia (adiacente alla linea del confine) in posizione parallela a questa, mentre gli edifici rimanevano vincolati alla distanza di 500 metri dalla frontiera, a formare una fascia di tutela militare tipo Berlino. Doveva essere l'asse portante di tutta la struttura urbana fino all'incontro con l'altopiano del Panovec, che rappresentava il limite naturale di sviluppo della nuova città. L'altipiano avrebbe poi dovuto essere valicato attraverso una galleria di notevoli dimensioni, da realizzarsi sul prolungamento della strada principale, pensata però senza tenere conto degli alti costi derivanti dalla lunghezza del traforo. L'attraversamento della montagna e quindi, di conseguenza, il posizionamento della Magistrale, è stato concepito del tutto indifferentemente dalla condizione orografica del sito e dalle risorse disponibili.
Non è però del tutto ignorata la situazione preesistente. La vecchia via del Camposanto (che poi si chiamerà Erjavčeva ulica) con la sua diversa inclinazione rispetto alla rigida ortogonalità del tessuto cittadino, penetra profondamente nel cuore della nuova città e la sua conclusione diventa il perno su cui si situano gli edifici più rappresentativi, prospettanti sulla piazza principale mantenuta a prato, fors'anche a memoria della piazza Vittoria di Gorizia che in sloveno è chiamata Travnik, per l'appunto Prato. Viene così conservato un collegamento tra la città madre Gorizia e la nuova città, anche se non del tutto in armonia con quanto propugnato dalle tesi politiche di allora, che volevano il nuovo assetto urbano completamente separato e avulso dal vecchio capoluogo.
La costruzione prosegue comunque a rilento, le condizioni economiche della neonata repubblica non consentono grossi investimenti. La gran parte del lavoro viene svolto dai volontari delle Brigate Popolari dei Lavoratori e della Gioventù Comunista (Brigate del Fronte), uomini e donne provenienti da tutta la Jugoslavia. Sorgono così lungo la Magistrale-Kidričeva, sulla scorta del progetto originario del Ravnikar, i primi grossi edifici, i cosiddetti "Ruski Bloki" o blocchi russi.
Queste costruzioni a cinque piani e 24 appartamenti, disposte parallelamente in un giusto e misurato rapporto tra di loro, si integrano tutt'oggi perfettamente con il verde nel quale sono immersi, rendendo bene cosa si intenda per la "città nel parco" di Le Corbusier. Delimitano al loro interno uno spazio definito, intimo ed attraente, dove trova posto la zona per il gioco collettivo e infantile: "Quasi non potremmo trovare un caso più eloquente di come sia l'architettura che genera la struttura urbana e di come la morfologia della città dipenda dalla scelta precedente, della tipologia degli edifici che le
danno la forma." (V.Torkar). Essenziale nella concezione della città moderna era il rapporto tra i pieni ei vuoti, tra l'ampia superficie libera e il volume edificato a creare la forma dello spazio cittadino.
Era comunque una tipologia edificiale poco apprezzata. Malgrado la buona volontà e lo spirito collettivo con cui la popolazione si apprestava alla costruzione della città, gli abitanti erano infatti ancora ancorati all'obsoleto concetto della casa unifamiliare e mal si disponevano all'abitare in grandi condomini.
Nella primavera del 1950 Ravnikar consegna il progetto definitivo, che già nell'autunno dello stesso anno, da parte del Comitato Popolare di Nova Gorica, al posto dei grandi blocchi viene invece decisa la costruzione di una nuova tipologia di edifici più piccoli, da 6 a 9 appartamenti, nonché la possibilità per i privati di costruire abitazioni singole e bifamiliari. Che oggi, del tutto incongruamente, vengono a trovarsi nel pieno del centro cittadino (a sud della vecchia via Camposanto), il quale a tratti prende così carattere di periferia per l'arbitrarietà colla quale questi edifici singoli sono stati collocati, senza logica urbana, senza definire in alcun modo lo spazio verde, disperdendo la coerenza dell'ortogonalità
della maglia stradale. Realizzati tramite piani attuativi da tecnici del luogo che, forse per carenza culturale, forse per inquadramento psicologico, non erano allora in grado di commisurarsi con le idee rivoluzionarie espresse dal Piano Regolatore Generale.
Le motivazioni del mancato esito positivo del piano urbanistico per la Nuova Gorizia, al di là dei buoni propositi del costruire una città che brillasse oltre il confine, sono da individuarsi in quelli che erano i problemi economici della nuova Repubblica slovena: mancando il contributo statale mancò pure l'indirizzo e la direzione, proprio quando la decentralizzazione amministrativa e urbanistica, propugnata da Kardelj, destinò la città a svilupparsi con le sole proprie possibilità. Che in definitiva erano quelle dei cittadini che si accollarono l'onere della costruzione, ovviamente però a proprio uso e gusto personale, contribuendo così a quel disordine urbanistico perfettamente leggibile in certe zone anche oggi, a più di quarant'anni di distanza.
Lo stesso attraversamento del Panovec in galleria, viene realizzato nel 1950 secondo un nuovo tracciato esterno alla città e parallelo all'asse principale cittadino costituito dalla Magistrale, a proseguimento di una strada di circonvallazione e in una posizione tale da permettere un traforo dalla sezione di dimensioni ridotte, in lunghezza e larghezza per economia dell'opera, privando però la Magistrale del suo giusto rapporto di continuità e scollegando definitivamente per sempre la Nuova Gorizia da San Pietro che oggi, insieme a Salcano, rappresenta con la nuova città un unico organismo urbano.
Nel terzo millennio, demolito il Muro di Berlino, cessata la contrapposizione tra i due Blocchi, scomparsa l'ideologia socialista nella sua originaria austerità, oltre il confine brillano le luci del Casinò della Hit, il più frequentato d'Europa, che ha trasformato la Nuova Gorizia in una piccola nuova Las Vegas: del progetto originale è rimasta quella orgogliosa vegetazione, tanti alberi e tanto verde tra gli edifici senza recinti, a donare alla città quell'aria mediterranea insieme a quell'odore del mare non lontano.