E' da poco passato l'anniversario del 24 marzo, giorno nel quale, sei anni fa, la NATO avviò la propria campagna militare contro la Serbia di Milosevic. La vicenda del Kosovo ha rappresentato uno spartiacque non solo nel contesto del diritto internazionale ma anche per le ONG che vi hanno operato. Una tesi di laurea
Di Anna Notari
A cinque anni di distanza dalla fine della guerra in Kosovo, sembrano ormai essere tutti concordi, sul fatto che questa regione, nel 1999, rappresentò un importante punto di svolta nella politica internazionale, nelle relazioni fra Stati e nel ruolo dei grandi organismi.
Il cambiamento di coordinate e la generale confusione giuridica che caratterizzò questi momenti, finì per coinvolgere anche l'attività di attori internazionali, molto meno influenti a livello mondiale, che però hanno una grande importanza come rappresentanti diretti della società civile, le "organizzazioni non governative", che si occupano di varie problematiche legate soprattutto ai problemi di politica estera, portando le proprie richieste e proposte presso i governi nazionali.
Lo scopo di questo studio è stato quello di comprendere come le ONG affrontarono il problema del Kosovo e come si modificò il significato del loro lavoro, dai primissimi anni '90, quando incominciarono a diffondersi le prime notizie sulla drammatica situazione che la popolazione albanese stava subendo nella regione, fino alla guerra della NATO, nel 1999.
Per fare questo è stato indispensabile fornire un quadro storico della "questione kosovara", in cui è stato particolarmente interessante esaminare la straordinaria esperienza della resistenza nonviolenta, adottata dalla popolazione albanese per più di dieci anni, per fronteggiare il governo serbo. Proprio la scelta di questo tipo di resistenza, infatti, sarà la molla che condurrà molte ONG, in particolare quelle italiane ad occuparsi dei problemi della regione.
Per capire che cosa siano le ONG abbiamo tracciato una storia delle ONG, dalla loro nascita, nel secondo dopoguerra agli anni '90. Ci siamo riferiti in particolare alla realtà italiana e all'evoluzione delle correnti di pensiero e dei movimenti che stavano alla base del lavoro delle ONG. Già i conflitti in Croazia e Bosnia, avevano posto al movimento pacifista, diversi quesiti, scaturiti dal traumatizzante incontro con la realtà di quattro anni di un terribile conflitto etnico a pochi chilometri da casa, di fronte al quale emerse la necessità dell'abbandono di posizioni "dogmatiche" e "tifose", in favore di un "pacifismo concreto", come aveva affermato Alex Langer, figura emblematica di queste riflessioni.
Alcune ONG incominciarono ad interessarsi del problema del Kosovo, già dal 1991, quando in seguito all'esplodere del conflitto in Jugoslavia, vennero a conoscenza del regime di apartheid che la popolazione albanese stava subendo, in seguito alla revoca dell'autonomia del 1989.
Una svolta importante fu dal 1996, all'indomani degli accordi di Dayton, quando la situazione divenne più critica e si fece concreta l'ipotesi di una vera guerra civile. Le iniziative per prevenire il conflitto si moltiplicarono e si fecero articolate, varie ONG si impegnarono in vari settori, raccogliendo e denunciando le violazioni dei diritti umani, ma, soprattutto, agendo in quella che è stata definita "diplomazia parallela", "diplomazia di secondo livello" o "non ufficiale", attività sempre più diffusa e importante, in cui le ONG si impegnavano nel elaborare proposte per trovare e mantenere la pace attraverso il dialogo e la mediazione. Il loro lavoro si basava in larga parte sullo studio della realtà del Kosovo, riguardo il suo stato giuridico e riguardo la situazione della convivenza dei serbi e albanesi, tramite anche un contatto diretto con le comunità. Le motivazioni che stavano alla base dell'azione di queste ONG, in particolare in quelle italiane, si potevano rintracciare in larga parte nell'adesione ad ideali pacifisti e nonviolenti.
Come sappiamo la situazione precipitò ben presto fino ad arrivare ai bombardamenti della NATO nella primavera del 1999, l'intervento delle ONG si fece, così, necessariamente "umanitario". Sull'operato delle ONG in Kosovo nel 1999 sono state usate parole molto critiche, si è parlato perfino di "morte delle ONG" come enti indipendenti e rappresentativi della società civile, indubbiamente l' "intervento umanitario" della NATO ha posto importanti e inquietanti quesiti al mondo "non governativo". Oltre ai problemi tipici di tutti gli interventi di "emergenza", come quelli legati agli aiuti materiali veri e propri, la riduzione delle persone assistite alle loro necessità biologiche e la semplificazione delle condizioni culturali e sociali della terra in cui operavano, quello che in Kosovo costituì un interessante precedente fu la stretta collaborazione tra eserciti e ONG, che pose le stesse in una posizione ambigua, dal momento che appartenevano, per la maggior parte, agli stessi Stati che stavano conducendo gli attacchi. In questo senso si parlò di perdita di indipendenza delle ONG e di conseguenza dell'aspetto politico delle loro azioni, fondamentale motore delle loro nascita e diffusione al di fuori di schemi e obiettivi governativi.