Dalla difficile soluzione del conflitto in Nagorno-Karabakh, nasce in Armenia e in Azerbaijan una preoccupante "immagine del nemico"
Di Harountiun Khachatrian*, Yerevan, per Caucaz Europenews, 7 ottobre 2007 (titolo originale: "The Nagorno-Karabakh Conflict: Perspective of a Year-Long Deadlock")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Chiara Sighele
I recenti sforzi dei mediatori e delle parti coinvolte nel conflitto del Karabakh hanno fallito l'obiettivo di produrre un qualche progresso nella soluzione di uno dei più datati conflitti etnici dell'ex Unione Sovietica. La situazione politica in Armenia e in Azerbaijan può sfociare in un'impasse del processo di negoziazione per minimo un anno.
Parti del conflitto
Gli ultimi tre mesi sono stati probabilmente tra i periodi meno promettenti nel cammino per trovare una via d'uscita al conflitto sul Nagorno-Karabakh. Le negoziazioni sono cominciate poco dopo aver stabilito il cessate il fuoco nel maggio 1994. Durante il processo, mediato dal cosiddetto gruppo di Minsk - un ente speciale creato dall'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) - furono presentate molte opzioni sui principi per la regolazione e sui dettagli del processo, ma alla fine vennero sempre rigettate dai diversi soggetti coinvolti.
Le parti coinvolte nel conflitto sono l'Azerbaijan, l'Armenia e il Nagorno-Karabakh, uno stato autoproclamatosi sovrano, non riconosciuto da alcun altro paese, compresa l'Armenia. Le posizioni delle controparti sono rimaste immutate; l'Azerbaijan reclama il Nagorno-Karabakh come sua "parte inalienabile", mentre le autorità del Karabakh rivendicano il fatto che la regione fu accorpata all'Azerbaijan da una decisione illegale di Stalin, e presenta i risutlati di un referendum tenuto nel 1991 come base legale per l'indipendenza dell'enclave a maggioranza armena. Quanto all'Armenia, di fatto essa sostiene le posizioni delle autorità del Nagorno-Karabakh, affermando che il diritto all'autodeterminazione della regione "non può essere negato".
L'ultima volta che parti e mediatori esterni hanno espresso ottimismo sul progresso verso una soluzione è stata nel giugno 2006, quando i co-presidenti del gruppo di Minsk USA, Russia e Francia annunciarono che si era raggiunto un accordo sui principi tra i due contendenti, Armenia e Azerbaijan. Le autorità del Nagorno-Karabakh non hanno partecipato ai colloqui a partire dal 1997. Si prevedevano i seguenti passaggi: il rientro dei rifugiati azeri del Nagorno-Karabakh e dei territori circostanti e l'indizione di un referendum in Nagorno-Karabakh sullo status dell'enclave, i risultati del quale devono essere riconosciuti da tutte le parti.
Durante la guerra, l'esercito karabakho sostenuto dall'Armenia occupò sette regioni azere limitrofe alla Regione autonoma del Nagorno-Karabakh di epoca sovietica. Tuttavia, i successivi incontri tra i presidenti dell'Azerbaijan e dell'Armenia, Ilham Aliyev e Robert Kocharian, non riuscirono a portare a un accordo finale. Dopo l'ultimo di questi incontri tenuto a San Pietroburgo, il 12 giugno scorso sembra che l'apatia regni sovrana sull'umore dei negoziatori. La maggioranza degli esperti ritiene che non si possa organizzare alcun summit armeno-azero di successo prima della fine delle elezioni presidenziali previste per il 2008 in entrambi i paesi. In particolare, in una recente intervista alla APA Agency, Novruz Mamedov, un funzionario d'alto rango dello staff del presidente azero, diceva che un incontro presidenziale tra Aliyev e Kocharian è possibile durante il summit del Commonwealth of Independent States (CIS) di ottobre a Dunshanbe. "Ma non so quale possa essere il fine di un simile incontro" concludeva Mamedov.
Questo significa che l'ostilità tra Azerbaijan e Armenia rimarrà tale e, anzi, probabilmente crescerà. Cosa più allarmante, le uccisioni di persone lungo il confine, tanto militari quanto civili, proseguiranno. Ogni anno si contano dozzine di morti, nonostante il formale cessate il fuoco.
I mediatori
Durante gran parte del periodo di dopoguerra tre "superpotenze", gli USA, la Francia e la Russia, hanno svolto il ruolo di mediatori per la soluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh. Una caratteristica unica di questo conflitto è che finora è stato neutrale rispetto agli interessi delle "superpotenze". Pur essendo in disaccordo su molte cose altrove, i tre hanno finora espresso comunione d'intenti adoperandosi in qualità di mediatori leali, intendendo con questo che essi avrebbero sottoscritto qualsiasi soluzione concordata tra Armeni e Azeri. Questa situazione, ad esempio, è in chiaro contrasto con quando accade in Kosovo, dove i paesi occidentali sostengono l'indipendenza del Kosovo, mentre la Russia la rifiuta. In una recente intervista con il quotidiano di Mosca Vremia Novestei, il vice sottosegretario di Stato statunitense Matthew Bryza, che attualmente è co-presidente del gruppo di Minks, ha dichiarato:
"Esistono tre grandi principi, che influenzeranno i colloqui sulla soluzione del conflitto sul Nagorno-Karabakh: il rifiuto di usare la forza, il riconoscimento dell'integrità territoriale degli stati e il diritto dei paesi all'autodeterminazione nazionale. Penso che in qualsiasi conflitto, che sia in Georgia, in Moldova o nel Caucaso, se le persone stanno cercando una soluzione pacifica, è possibile trovare un compromesso tra questi principi... In qualità di mediatore, non posso determinare quale status si raggiungerà alla fine (...) I rappresentanti delle nazioni decideranno forse in futuro che sarà meglio per il Nagorno-Karabakh essere indipendente? che la regione disputata dovrà essere parte dell'Azerbaijan con un alto grado di autonomia? In ogni caso, questo non è il mio compito..."
Quest'affermazione del diplomatico americano non è stata smentita né dalla Francia né dalla Russia, in linea con la pratica precedente, quando il rappresentante di uno di questi paesi co-presidenti poteva fare affermazioni a nome di tutti e tre. Ovviamente, l'intervista che riconosce la possibilità dell'indipendenza del Karabakh è stata elogiata da parte armena e criticata da quella azera.
Tale posizione da parte dei mediatori in realtà non è sorprendente, nonostante l'attuale competizione tra i tre paesi, in quanto essi sono in primo luogo interessati a mantenere la pace nella regione, dove coltivano i loro svariati interessi (e non solo il trasporto del petrolio in Occidente, un interesse ovviamente prioritario dei paesi occidentali). Questo spiega perché essi agiscono sempre di comune accordo per ridurre la possibilità di una ripresa delle ostilità.
L'Azerbaijan è stato criticato perché intraprende passi concreti per aumentare il proprio potenziale militare. In particolare, lo scorso anno il presidente Aliyev ha reso pubblico il suo piano per avere un budget militare pari all'intero bilancio di stato dell'Armenia. Le enormi entrate derivate dalle esportazioni di petrolio rendono questa prospettiva piuttosto realistica, forse già entro il prossimo anno. Il vice segretario di stato statunitense Daniel Fried nell'agosto scorso ha dichiarato al servizio stampa azero di Radio Free Europe / Radio Liberty "la guerra diventerà una catastrofe per il futuro dell'Azerbaijan." A settembre 2007 il primo ministro armeno Serzh Sargsyan ha dichiarato in un discorso al parlamento che l'Azerbaijan non è riuscito ad avere un bilancio militare pari a 1 mld dollari, ma il suo governo l'anno prossimo avrà un bilancio molto maggiore e "ha preso ulteriori provvedimenti per mantenere l'equilibrio militare."
In tempi recenti più organizzazioni internazionali hanno dichiarato la propria disponibilità a contribuire alla soluzione pacifica del conflitto, sebbene l'OSCE sia riconosciuta da tutti come maggiore organo di riferimento. Tra gli interessati anche l'UE, il cui rappresentante speciale, Peter Semneby, ha reso nota la sua intenzione di visitare il Nagorno-Karabakh in autunno.
La società
Forse, la conseguenza più allarmante del permanente "congelamento" del conflitto risiede nel crescente rafforzarsi dell'"immagine del nemico" nelle società armena e azera. Su entrambi i fronti i media, tanto pubblici quanto privati, fanno a gara per presentare la controparte come il peggior popolo al mondo. Vengono spese enormi somme di denaro per informare la "comunità internazionale" delle uccisioni commesse dall'altra parte la parola "genocidio" viene usata diffusamente del patrimonio culturale distrutto e persino di canti rubati, per non parlare della competizione tra gli scienziati, ciascuno cercando di dimostrare che l'opposta nazionalità non esisteva sui territori in cui vivono ora.
In questo senso è stato altrettanto improduttivo il risultato del viaggio, il 28 giugno scorso, di una delegazione congiunta di intellettuali armeni e azeri a Stepanakert, Yerevan e Baku. Questa manifestazione organizzata dagli ambasciatori a Mosca dei due paesi e non aveva precedenti, dal momento che in precedenza l'Azerbaijan aveva proibito qualsiasi contatto tra i suoi cittadini e l'Armenia, estendendo così il blocco economico. Questo evento decisamente sensazionale è avvenuto poco dopo il fallimento del meeting di San Pietroburgo.
Tuttavia, sono state finora vane le speranze iniziali che la visita potesse preparare il terreno almeno per diminuire la reciproca diffidenza. La società armena ha per lo più ignorato questo evento, che non ha sollevato alcuna reazione. Mentre in Azerbaijan la reazione consisteva soprattutto nella preoccupazione che "potessero essere fatte delle concessioni agli aggressori armeni." Inoltre, sembra che non ci sia alcun segno che nel futuro sarà preparato un evento simile.
Questo mostra come la società civile in entrambi i paesi sia, purtroppo, più disposta a vivere in perdurante inimicizia piuttosto che intraprendere sforzi volti alla riconciliazione. Gli azeri continueranno a ricordare il "Giorno del genocidio degli azeri", una festività stabilita per decreto presidenziale nel marzo 1998 che sostiene come gli azeri siano stati sottoposti a genocidio da parte degli armeni già dal 1828. Gli armeni continueranno a celebrare il "Giorno di Sumgait" collegato alle violenze del febbraio 1998. Questo "anniversario" non era mai stato ricordato in Armenia prima dell'inizio del 2000, e rappresenta così un segno del crescente umore anti-azero tanto tra le autorità, quanto nella popolazione.
Gli esperti si preoccupano del fatto che coltivare l'immagine del nemico in entrambe le società renderà ancora più difficile nel futuro il compromesso tra leader politici. Con ogni probabilità i politici stanno per cadere in ostaggio della loro stessa propaganda.
*Harountiun Khachatrian è redattore capo di Noyan Tapan Highlights. Coautore con il collega azero Ali Abasovdi del libro sul conflitto nel Nagorno-Karabakh "Karabakh Conflict. Variants of Settlement: Concepts and Reality"