La Duma russa

Il rifiuto russo blocca l'entrata in vigore del Protocollo 14 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo e le libertà fondamentali. Il difficile equilibrio di Strasburgo tra politica e diritti umani. Un attivista scrive all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa

20/02/2007 -  Maddalena Parolin

Mosca ha respinto il progetto di legge sulla ratifica del Protocollo 14 alla Convenzione europea dei diritti umani, che contiene modifiche volte a rendere più veloce ed efficiente il meccanismo di ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Il Protocollo è stato ratificato da tutti i Paesi Membri (46), tranne dalla Russia, la cui mancata adesione ha bloccato l'entrata in vigore delle riforme. Nel dicembre scorso, la Duma ha respinto il progetto di legge con 27 deputati a favore della ratifica e 138 contrari.

All'indomani del voto nel Parlamento russo, la reazione delusa del Consiglio d'Europa è stata espressa chiaramente dal Segretario Generale Terry Davis: "Ritardare il corso della giustizia significa rifiutare il diritto alla giustizia: per questo motivo sono profondamente deluso dall'annuncio del voto della Duma di Stato contro la ratifica del Protocollo n.14 alla Convenzione europea dei diritti umani. Questa decisione ostacola l'indispensabile e, oltremodo rinviata, riforma della Corte europea dei diritti umani."

Durante il dibattito a Mosca, il vicepresidente della Duma Sergey Baburin - oltre ad opporsi alla ratifica - ha proposto di valutare la possibilità di ridurre l'impegno economico russo per l'adesione al Consiglio d'Europa. "Il protocollo è contrario ad alcuni importanti principi di giustizia ed inoltre la nostra ingente quota partecipativa viene usata dal Consiglio d'Europa per attacchi verso il nostro paese", ha affermato Baburin. Se gli osservatori occidentali sempre più spesso criticano l'aggressiva politica estera russa, a partire dalle questioni energetiche, dalla Russia le accuse sono ribaltate percependosi minacciati da un'ampia "campagna antirussa", di cui le condanne della Corte Europea sono ritenute parte.

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo giudica le denunce presentate da individui contro gli Stati Membri, in riferimento all Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Si tratta di un organo a cui i singoli cittadini dei paesi aderenti possono rivolgersi quando non ottengono giustizia presso i tribunali nazionali. In questo senso, la Corte si trova anche ad esprimere, direttamente od indirettamente, una valutazione nei confronti dei sistemi giudiziari nazionali. Nel caso dell'Italia, ad esempio, le migliaia di ricorsi e le migliaia di condanne del Governo italiano in casi riguardanti l'eccessiva durata dei processi davanti ai giudici nazionali, hanno costituito uno strumento politico eccezionale di denuncia, al fine di richiamare l'attenzione dell'Europa sulle disfunzioni della giustizia in Italia.

Per quanto riguarda la Federazione Russa, accanto all'inadeguatezza del sistema giudiziario, è la situazione in Cecenia ad apparire sempre più come il nodo critico e il teatro delle più gravi violazioni dei diritti umani. Di 89.000 denunce esaminate dalla Corte Europea nel 2006, un quinto di esse proviene dalla Russia. Tra queste, i casi riguardanti cittadini ceceni o del Caucaso settentrionale sono centinaia. Sempre più spesso, la Corte Europea è percepita come l'unica possibilità di giustizia per una parte dei cittadini russi. Questo nonostante i rischi per coloro che presentano le denunce: sono molti i casi registrati di minacce ed intimidazioni, ma anche di sparizioni, come in un caso recentemente giudicato (1). Dal febbraio 2005 in poi, la Russia è stata condannata in diversi procedimenti riguardanti cittadini ceceni, inclusi episodi di sparizioni, omicidi extragiudiziali, bombardamenti su civili e torture. Pur avendo sempre rispettato gli obblighi economici delle sentenze (che sono vincolanti per gli stati aderenti), e versando i risarcimenti richiesti, l'altro aspetto dei giudizi non è altrettanto seguito: riaprire i procedimenti, portare i colpevoli di fronte alla giustizia ed impegnarsi a mettere fine alle violazioni.

Nel tentativo di uscire dal vicolo cieco che impedisce l'entrata in vigore di riforme necessarie al funzionamento della Corte, tutta l'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa sta operando un forte pressing sulla Russia ed anche il Comitato dei Ministri (in pratica il "governo" della più antica delle istituzioni europee) ha messo al primo posto tra le priorità l'approvazione e l'applicazione del Protocollo 14. Lo ha detto a chiare lettere il neo-presidente del Comitato, il ministro degli Esteri di San Marino, Fiorenzo Stolfi, nel suo intervento davanti all'emiciclo di Strasburgo durante la sessione di gennaio. Pochi giorni prima, proprio in contemporanea alla visita a Mosca del presidente dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, Rene van der Linden, il presidente russo Vladimir Putin aveva accusato la Corte Europea di emettere "sentenze politiche".

Altrettanto "politiche" sarebbero però secondo diversi osservatori le misure che la nuova legge sulle organizzazioni non governative (ONG) ha introdotto in Russia. Il 23 gennaio, una decisione della Corte suprema russa ha respinto l'appello contro la chiusura della Societa' per l'amicizia russo-cecena (RCFS). L'RCFS, che svolgeva un'opera di monitoraggio e d'informazione sulla situazione dei diritti umani in Cecenia e in altre zone del Caucaso settentrionale, era stata chiusa lo scorso ottobre, prevalentemente sulla base delle nuove leggi "contro l'estremismo e sulle organizzazioni non governative". Sempre secondo la stessa legislazione, le autorità hanno negato già due volte la registrazione a Mosca alla Russian Justice Initiative (RJI), organizzazione di base olandese che offre aiuto legale per rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti Umani, a causa di presunti errori nella presentazione della domanda.

Con una lettera aperta all'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, l'attivista ceceno SaidEmin Ibragimov (2), che da anni lavora per portare l'attenzione del Consiglio d'Europa sulla questione cecena, analizza la posizione della Russia in seno all'istituzione europea, e in particolare della Corte, chiedendo risposte da parte del Consiglio e l'appoggio della società civile, rispetto a quella che è la peggiore situazione di violazione dei diritti umani in Europa.

"L'insieme degli eventi degli ultimi tempi dimostra chiaramente che le forze militari e politiche russe tentano di sottrarsi alla responsabilità dei crimini accaduti e che non gradiscono che le organizzazioni internazionali, in qualche misura, inizino ad agire in conformità ai loro obblighi internazionali e alle norme di diritto internazionale universalmente riconosciute", scrive Ibragimov, la cui campagna mira ora a far includere una discussione sulla situazione in Cecenia nella prossima sessione del Consiglio, che si terrà ad aprile (3).

1 - v. il caso "Imakaeva vs Russian Federation", 9 novembre 2006. Dopo la denuncia alla Corte Europea per la sparizione del figlio, Said-Magomed Imakaev viene arrestato e scompare. La madre, Marzet Imakaeva, dopo aver ottenuto asilo politico all'estero, termina il procedimento nel quale la Russia viene condannata.
2 - v. Una vita per i diritti umani, Osservatorio sui Balcani, 2 ottobre 2006
3 - v. Il comunicato di SaidEmin Ibragimov , Strasburgo, 18 gennaio 2007