Per i Ceceni la musica è un modo di fare i conti con il proprio passato, ma anche un'espressione di sfida. Michael Church ha registrato i loro canti e per questo è stato arrestato. Il suo racconto
Di Michael Church da Guardian 2007
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Marzia Bona
I Ceceni non hanno molti motivi per cui festeggiare, di questi tempi, ma quando lo fanno cantano e ballano come chiunque altro al mondo.
Le canzoni e le danze giocano un ruolo più importante nella vita cecena rispetto a quello che hanno nella maggior parte della nazioni: i Ceceni intonano lamenti e canti di lavoro, marce nuziali e funerarie, cori religiosi e sui fantasmi; hanno persino una canzone con cui attirare le api selvatiche verso gli alveari. Una aiuta i bambini ad imparare a camminare, mentre un'altra segna i loro primi passi indipendenti. E non c'è distinzione fra principianti e professionisti: in questa regione del mondo, schiacciata fra la Russia a nord e la Georgia e l'Azerbaijan a sud, è una cosa che unisce proprio tutti.
Una delle prime testimonianze fotografiche dal nord del Caucaso mostra un intero villaggio che balla in cerchio, a simboleggiare uno spazio protetto dal caos e dalle minacce esterne. Questa minaccia è stata a lungo rappresentata più dagli invasori stranieri che dalle tribù rivali: da quando Caterina la Grande si spinse fino a raggiungere gli alleati cristiani in Georgia, i mussulmani del Caucaso settentrionale sono sempre stati vittime di una guerra coloniale e genocida, e la loro musica tumultuosa è divenuta la loro espressione di resistenza.
La musica di questa regione ha avuto in passato i suoi rappresentanti ed estimatori illustri: Balakirev, affascinato da ciò che aveva ascoltato durante una vacanza in quei luoghi, reagì scrivendo la sua fantasia per piano, Islamey, in omaggio alla danza locale chiamata in questo modo. Rimsky-Korsakov rimase innamorato dell'esotismo delle melodie del Caucaso. Prokofiev, che nel 1942 fu a Nalchik, la capitale della Repubblica di Kabardino-Balkaria, si ispirò alla musica popolare kabardina per la composizione del suo secondo quartetto d'archi, imitando i suoni del locale shichepshin (un violino acuto).
Nonostante la ricchezza della cultura musicale di questa zona, gli studiosi di musica l'hanno visitata solo raramente. Il Britain's National Sound Archive (l'Archivio Nazionale Britannico del Suono) ha solo due registrazioni datate 1910, più una manciata di LP sovietici destinati al turismo locale negli anni '70, quando i viaggi verso le montagne del sud erano uno svago molto ricercato dai lavoratori.
Dal momento che non esistevano CD con questa musica, ho deciso di produrne uno, senza immaginarmi quanto sarebbe stato difficile, fra il continuo rischio di rapimenti, un arresto e labirintiche ricerche geografiche.
Iniziai il progetto per caso diversi anni fa, quando mi si presentò l'occasione di ascoltare e registrare il cantante ceceno Sahab Mezhidov, che si esibiva a Londra con una compagnia di danza di Grozny. Accompagnandosi alla balalaika, Mezhidov interpretò due brani con un timbro alto e forte, un volume di voce capace di librarsi fra le cime delle montagne. Le due tracce successive vennero prese da una giovane cantante circassiana di nome Cherim Nakhushev, la cui intonazione, solida come la roccia, su note alte tenute per tempi incredibilmente lunghi, esprimeva tutta la fragilità umana.
Registrai altri musicisti l'anno scorso a Mosca, dove avevano ottenuto rifugio politico ed economico e dove la cosa peggiore con cui dovevano scontrarsi era il razzismo moscovita (ceceni, circassi e daghestani vengono considerati "neri").
L'esilio ha rinvigorito la loro cultura. Registrai un complesso che con un accordo, una batteria, battiti e grida, scatenava una tale energia da sembrare che fossimo nel mezzo di una folla enorme, e non di fronte a quattro giovani in uno studio di registrazione sotterraneo. Quando il cantante daghestano - che è anche autore delle canzoni- Shirvani Chalaev si rese conto dello spazio ristretto in cui lo stavo portando, mi chiese se era lì per essere torturato. Le sue canzoni senza accompagnamento erano evocazioni di un mondo tribale in cui la sfida fra uomini è di rigore - con un'intensità ancora maggiore nel caso in cui si affronti la morte.
Nel suo stile ruvido ed intransigente ci sembra di avvertire il suono delle montagne, e si tratta si una scelta deliberata. "Le montagne non amano le risate rumorose", spiega lui. "Quando sei in mezzo a loro, devi comportarti con rispetto. Per ciò che si trova intorno a te, e per ciò che si è trovato lì prima di te."
Ma queste session sono tutto fuorché tristi: la cantante di Karachai Lydia Bachaeva, simile ad un uccello esotico avvolta nella sua lana coloratissima, incise un pezzo sfrenato, scritto da lei su una giovane che domina a tal punto il proprio amante da trasformarlo in una goccia d'acqua e poi berselo.
La Cecenia è di per sé un'area proibitiva per incidere. L'Ossezia del Nord conserva ancora oggi una tradizione polifonica molto viva: venuto a sapere di un coro che stava per incidere in un villaggio a poche miglia sulla strada per Beslan, andai ad incontrare il Batu Dzugaev People's Choir of North Ossetian (Alanian) Heroic Song - insistevano particolarmente su questo nome, parentesi e tutto - e si lanciarono in un brindisi cantato con tanto di bicchieri spumeggianti. Essendo riuscito a registrare soltanto gli ultimi 30 secondi di quella singolare esplosione musicale, gli chiesi se avrebbero potuto ripeterla, ma loro rifiutarono dicendo che si trattava di una performance, e in quanto tale non poteva che scaturire dal cuore. Dopodiché si lanciarono in una serie di brani nei quali la voce solista si stagliava su melodie più monotone. Gli eroi morti dell'Ossezia - e i bambini uccisi di Beslan - erano il soggetto del canto, che comunque si concludeva in maniera gioiosa, celebrando la bellezza della loro terra. Fu a quel punto che entrò il maggiore con tre uomini della polizia, ed io venni arrestato.
Il mio interrogatorio andò avanti per ore, con un ufficiale dei servizi segreti che faceva notare che ero stato visto registrare anche a Vladikavkaz. Alla fine, mi fu spiegato che incidere senza permesso era considerato un reato. Le proteste dei membri del coro - desiderosi che la loro musica venisse ascoltata in occidente - non servirono a molto. Venni multato e mi fu ordinato di lasciare il paese, ma almeno non mi sequestrarono il nastro con la registrazione.
La tappa successiva fu a Nalchik, verde capitale della vicina Repubblica di Kabardino - Balkaria. Ci vive la cantante più popolare fra i ceceni, Tamara Dadasheva, dopo essere scampata al bombardamento che tre anni fa uccise il presidente Akhmad Kadyrov. Dopo una giornata passata a seguirla per tutta la città, riuscimmo ad incontrarci in un ufficio, dove lei registrò una delle più delicate canzoni d'amore che io abbia mai ascoltato. Dopo 12 minuti la mia giuda locale mi strappò via, dicendo che non poteva garantire la mia incolumità una volta sceso il buio.
Il più memorabile dei miei incontri avvenne nella vicina Georgia, in cui la tribù d'origine degli Aznach Ensemble ha vissuto fino alla deportazione del XIX secolo. Aznach propone la musica cecena nella sua veste più pura ed elettrizzante. Il gruppo è formato da quattro donne, fra le quali una madre e le sue due figlie, accompagnate da una balalaika e un accordeon - lo strumento preferito dei Ceceni. Quando Tamta Khangoshvili - vent'anni e modi discreti, aspirante insegnante - apre la bocca per cantare, sembra che sia posseduta. Il suo timbro solitamente carezzevole divampa in un grido gutturale quando si lancia nell'esecuzione dell'inno non ufficiale dei Ceceni, con il ritornello di sfida a cui si unisce anche il resto del gruppo: "C'è un solo dio, ed il suo nome è Allah". Quando lo canta di fronte a Ceceni, dice la madre orgogliosa, l'auditorium si riempie di lacrime. La loro musica potrà non essere calibrata alla perfezione, ma il loro carisma artistico la arricchisce in maniera delicata.
Durante la scelta dei brani per il CD, pensavo che la selezione si attenesse a criteri strettamente musicali. Ascoltandolo nell'insieme invece appare chiaro l'elemento politico, nella successione di brani che parlano di eroi uccisi, speranze frustrate, terribili memorie condivise ed una religiosità intensa.
Come possono i Ceceni non commuoversi quando una cantante come Tamta Khangoshvili canta i loro inni? Come possono dimenticare la loro storia, quando viene loro ripetuta quotidianamente? Loro cantano, e vogliono che noi li ascoltiamo.