La storia di frontiera, il dialogo tra italiani e sloveni, due popoli conviventi su uno stesso territorio e non più divisi da un confine. La necessità di ridefinire la propria identità all'interno dell'Europa

01/04/2008 -  Anita Clara

Un manuale di storia italo-sloveno in comune, un testo unico per l'insegnamento scolastico che permetta di rileggere il passato attraverso due lingue diverse ma con la stessa prospettiva europea. È il progetto auspicato dal Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Pace "Irene" dell'Università di Udine e anticipato mercoledì 12 marzo a Gorizia da Fulvio Salimbeni, docente di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, durante l'ultimo dei 5 incontri dedicati al tema "Sconfinamenti - Tra storia e letteratura - Tra Italia e Slovenia", tenutosi a Palazzo Attems Petzenstein.

Nel corso del ciclo di appuntamenti, ospitati presso la sala convegni della Fondazione Carigo e promossi dalla Provincia di Gorizia e dal Consolato di Slovenia, erano state presentate le più recenti pubblicazioni di carattere storico e letterario di studiosi e specialisti sloveni: da Il confine degli altri. La questione giuliana e la memoria slovena di Marta Verginella a La dissoluzione del potere. Il partito comunista sloveno e il processo di democratizzazione della repubblica di Stefano Lusa; da Le lettere slovene dalle origini all'età contemporanea di Tatjana Rojc a Slovenica. Peripli letterari italo-sloveni di Miran Košuta.

Un'iniziativa di respiro transfrontaliero, coordinata da Fulvio Salimbeni con la partecipazione di Gianpaolo Carbonetto del Messaggero Veneto, e che ha voluto onorare l'aspetto culturale della definitiva scomparsa dei confini tra Italia e Slovenia e l'ingresso dell'ex repubblica jugoslava nell'area Schengen, fornendo preziosi spunti ai lettori italiani per favorire la conoscenza dei vicini sloveni, e coinvolgendo ognuno degli autori -venuti da Trieste, Lubiana e Capodistria- in un interessante dibattito con il pubblico.

La tavola rotonda conclusiva, prendendo spunto dal libro dello storico Branko Marušič Il vicino come amico - realtà o utopia? La convivenza lungo il confine italo-sloveno, già presentato lo scorso autunno presso la sede della Provincia di Gorizia, è stata intitolata Sconfinare per dialogare, dialogare per sconfinare: il vicino come amico dall'utopia alla realtà, togliendo così coraggiosamente il punto interrogativo sulla possibilità di riuscire a confrontarsi sulla storia di frontiera, costruire nuovi rapporti di condivisione, superare le barriere fino a poco tempo fa fisicamente esistenti, e avventurarsi oltre i propri limiti mentali.

"Un territorio senza confini stimola il dialogo e crea le premesse affinché il vicino possa essere anche amico", ha esordito Branko Marušič nel suo intervento, ricordando che il 2008 è stato dichiarato anno europeo del dialogo interculturale. Lo studioso di Salcano (Nova Gorica) ha osservato che «nella seconda metà del Novecento, il dialogo tra gli sloveni e gli italiani della zona di confine non è ricominciato a dicembre scorso, bensì risale alla stipulazione dell'accordo di Udine del 1955, che in certo modo aprì il confine fino allora quasi ermeticamente chiuso.

"Quello a cui abbiamo assistito dopo il 21 dicembre 2007 - ha proseguito Branko Marušič - è un ulteriore passo compiuto nello sviluppo delle relazioni iniziate più di 50 anni fa da persone di buona volontà facenti parte di ambedue le nazioni e appoggiato dai membri della comunità slovena d'Italia. Che non hanno vissuto la perdita di Gorizia come un ostacolo ma, richiamandosi al loro senso di appartenenza al territorio, hanno ribadito al cospetto dell'Europa l'idea che un'identità goriziana plurima era già esistita in passato e che nelle nuove circostanze andava risvegliata e arricchita, attingendo alle esperienze di vita di un tempo".

Confessando che avrebbe voluto potersi rivolgere all'uditorio nella sua madrelingua ed essere compreso da tutti i presenti, Branko Marušič ha espresso la necessità, da qui in avanti, di «raggiungere il più alto livello di rispetto reciproco all'interno di una sovrastruttura di coesistenza, conservare il passato nel bene e nel male, e cercare di creare una nuova entità locale, basata sull'uguaglianza totale dal punto di vista linguistico. È ora infatti che la lingua slovena, ormai lingua parlata al Parlamento Europeo, raggiunga una simile posizione anche nelle zone dove si incontrano sloveni e italiani».

Seguendo lo stesso pensiero, il presidente del Centro Interdipartimentale per la Ricerca sulla Pace "Irene" e docente di Germanistica presso l'Università di Udine, Luigi Reitani, ha espresso il suo rammarico per il "modo scandaloso in cui la cultura italiana ha finora ignorato la letteratura slovena. Tanto che è un evento eccezionale che in questi giorni un autore di lingua slovena sia in testa alla classifica dei libri più letti in Italia", ha aggiunto il cattedratico riferendosi a Necropoli del triestino Boris Pahor: un capolavoro della letteratura europea, che finalmente un editore nazionale ha avuto il coraggio di ripubblicare e che ha ottenuto la massima notorietà grazie alla partecipazione dell'autore alla trasmissione televisiva di RaiTre "Che tempo che fa".

Eppure Necropoli è un libro del 1964: quanto tempo ci è voluto? Mentre ci sono state traduzioni in francese, inglese e tedesco, da noi circolava soltanto in un'edizione regionale (quella del Consorzio culturale del Monfalconese). "Un altro esempio - ha ricordato Luigi Reitani - è Drago Jančar: ci è voluta una recensione di Claudio Magris sul Corriere della Sera per far capire che si tratta di un grande autore da tradurre e diffondere. Così adesso abbiamo due libri di Drago Jančar da leggere in italiano. Ma è ancora molto poco. Continuiamo a pensare che la letteratura slovena sia trascurabile: nelle mappe immaginarie che abbiamo dell'Europa, persiste un confine invisibile e, al di là di esso, uno spazio bianco dove manca solo che si scriva, come facevano i romani, hic sunt leones".

"È vergognoso - osservava inoltre Luigi Reitani - che nella nostra regione lo sloveno sia considerato una lingua assolutamente marginale, mentre invece conoscere la lingua del vicino è quasi un obbligo morale. In Friuli Venezia Giulia, che sta diventando sempre più una regione internazionale, sarebbe giusto possedere almeno una conoscenza passiva dello sloveno, perché ci si può sì scambiare informazioni attraverso l'inglese, ma la vera comunicazione va oltre lo scambio di informazioni, e la conoscenza dell'altro parte proprio dalla lingua. La lingua dev'essere comprensione, emozione, arricchimento. Solo così si arriva all'avvicinamento verso l'altro inteso non più come nemico, allo spostamento dei confini mentali, e alla pace, che è fatta di cose concrete e di gente che si parla. Per gli sloveni, lo studio e la fruizione della lingua e cultura italiana sono un percorso stimolante di crescita. Per noi, invece, questo passo nei loro confronti è ancora da fare".

La testimonianza personale dell'antropologa triestina Vesna Cunja Rossi, così come la proposta di un'ottica sovranazionale ribadita da Claudio Cressati dell'Accademia Europeista del Friuli Venezia Giulia, anch'essi intervenuti alla conferenza, hanno messo l'accento sulla futura dimensione europea della convivenza e dello scambio culturale che - come sottolineato dal professor Fulvio Salimbeni - era già realtà ai tempi dell'impero asburgico, quando "gli intellettuali sloveni di Lubiana e Trieste si muovevano tra Vienna, Praga, Venezia e Parigi; conoscevano tre, quattro o cinque lingue; ed erano quindi tutt'altro che un popolo di rozzi contadini che doveva aspettare la superiore civiltà italiana, come proclamava la retorica fascista".

Tracciando un bilancio finale, si è riconosciuto che comunque a livello locale il lavoro in comune tra storici sloveni e storici italiani ha permesso negli ultimi anni di raggiungere i primi importanti risultati dal punto di vista scientifico. È stata quindi richiamata l'attenzione sulle responsabilità delle istituzioni e della Regione Friuli Venezia Giulia riguardo all'esigenza, attualissima, di una maggiore traduzione e diffusione della cultura slovena al di qua di quel confine ormai sparito.