Sonja Biserko

Il recente attacco condotto sulle pagine di un giornale belgradese contro Sonja Biserko, direttrice del Comitato di Helsinki per i diritti umani di Belgrado, riporta in primo piano la questione del rispetto delle minoranze

23/09/2005 -  Jelena Bjelica Belgrado

Se la storia dovesse giudicare i serbi secondo il loro contributo alla cultura degli altri popoli, allora quel giudizio aprirebbe nei libri di storia un nuovo grande oscuro capitolo sul loro conto.

"Occorre essere realisti e chiedersi come sono gli standard in Serbia e se si possono assumere gli standard di sicurezza del Kosovo come condizione dello status del Kosovo. Ed inoltre se sono necessari tali standard anche per la Serbia", ha detto Latinka Perovic, storica di professione, a seguito del recente attacco contro la direttrice dell'Helsinki Committee per i diritti umani in Serbia, Sonja Biserko, nonché una delle candidate per il Nobel per la pace nell'ambito del progetto 100 donne per la pace.

Lo scorso 8 settembre Sonja Biserko è stata definita dal giornale "Tabloid" una spia croata. Nonostante non sia niente di nuovo per quanto concerne la produzione di Milovan Brkic, caporedattore responsabile di suddetta pubblicazione, tra le oscure mezze frasi gettate nel testo, che preferiamo non riportare per ragioni di carattere etico, si trovano anche alcuni dati, che secondo l'avvocato che difende la Biserko, non rappresentano solo una violazione della privacy, ma anche una violazione dell'articolo 67 del Codice Penale serbo, riguardante la minaccia della sicurezza di una persona. "Tabloid" ha pubblicato l'indirizzo (via, numero e numero dell'appartamento) di Sonja Biserko che ripetute volte è stata insultata e attaccata fisicamente, proprio nel suo domicilio.

Secondo le parole del legale Nikola Baranovic, in base all'articolo 67 la procedura penale può essere condotta a seguito di una denuncia privata, ma può essere avanzata anche per dovere d'ufficio. Ossia, "chi commette un siffatto atto penale nei confronti di più persone, oppure ha suscitato l'irrequietezza dei cittadini, oppure ancora se ha prodotto gravi conseguenze", può essere perseguito per dovere d'ufficio. Per questo tipo di reato è prevista una pena da sei mesi a cinque anni di reclusione.

Ad ogni modo la Biserko ha denunciato l'autore del testo e il caporedattore responsabile. "Io e la mia famiglia abbiamo esposto la denuncia per il testo pubblicato che, per quanto mi riguarda, è uno dei peggiori mai visti. Il titolo è il meno importante, ma si mettono sotto accusa i miei 'lavori criminali', 'l'invio di serbi in Croazia'. E questo viene ascritto a tutta la mia famiglia", ribadisce Biserko.

"Tutto ciò dimostra la loro debolezza e paura che si diffonda un punto di vista alternativo. È indicativa la loro intenzione di criminalizzarci, demonizzarci e deumanizzarci. Ci attendiamo delle reazioni da parte della magistratura, ma si sa che lo fanno quando la loro parte è nella situazione di doversi difendere dalle accuse che provengono dal nostro versante. Lo Stato è responsabile, perché non conduce una politica attiva nel combattere gli inviti al linciaggio e il linguaggio dell'odio. Quando solleviamo un'accusa, la procura e il potere giudiziario recalcitrano", aggiunge Sonja Biserko.

Questo è solo uno della serie di inviti pubblici al linciaggio di un cittadino serbo di nazionalità croata. Nel dicembre dello scorso anno il giornale "Internacional" aveva pubblicato un testo dal titolo "Branka Prpa concede l'amnistia agli assassini della NATO" in cui si nominavano i cittadini serbi di nazionalità croata che ricoprono importanti funzioni pubbliche, tra i quali anche il ministro dell'agricoltura Ivana Dulic-Markovic. Il pubblico ministero non aveva avviato alcuna inchiesta contro i giornalisti e il caporedattore responsabile di "Internacional". Branka Prpa dice che è stato confermato anche che il giornalista che aveva firmato l'articolo non è mai esistito.

Durante il regime di Milosevic, il leader dei radicali Vojislav Seselj aveva il primato per gli attacchi contro i cittadini serbi appartenenti alle comunità delle minoranze. Seselj sulla base delle accuse del Tribunale dell'Aia del 14 febbraio 2003 è imputato di crimini contro l'umanità e violazione delle leggi e dei costumi di guerra. L'accusa in 15 punti incolpa Seselj per azioni criminali commesse in Croazia, Bosnia Erzegovina e Vojvodina. La procura accusa Seselj di essere penalmente responsabile del "reclutamento, formazione, finanziamento, rifornimento, appoggio e orientamento dei volontari serbi che erano in relazione con il Partito radicale serbo, noti come Cetnici o Seseljevci". Così come i suoi discorsi comparsi sui media, negli incontri pubblici e durante la visita ai volontari e alle altre unità serbe in Croazia e Bosnia Erzegovina hanno esortato queste formazioni a commettere crimini di guerra. Tra le varie accuse il tribunale dell'Aia incolpa Seselj anche di aver incoraggiato la creazione di una "grande Serbia", e che dopo la sua ultima visita nella località multietnica di Hrtkovci, in Vojvodina, si è giunti all'espulsione degli abitanti di nazionalità croata. In questa ottica il recente attacco contro Sonja Biserko ricorda da vicino le azioni condotte dalle leve del regime di Milosevic.

"Credo che le minacce siano organizzate e che provengano da un unico centro che fa capo a vari servizi. Nel testo di 'Tabloid' si dice che siamo contrari al rientro dei profughi, ma il Comitato di Helsinki ha promosso l'iniziativa 'Voglio andare a casa', l'unica di questo genere. È probabile che questi attacchi siano intrecciati con una qualche lobby criminale di profughi" afferma Sonja Biserko.

La direttrice del Comitato di Helsinki serbo dice di essere preoccupata per la sua incolumità, ma non ha fatto nulla per far fronte a ciò, né può farlo. È stato sospeso, come afferma la stessa Biserko, il servizio di sicurezza della polizia davanti all'ingresso del suo appartamento, attivata lo scorso luglio, dopo che qualcuno si era introdotto nel suo appartamento.

"Questo è il tentativo di dimostrare che in Serbia non esiste nessun altro oltre a loro, che non ci sia un'altra opzione. Il governo, come al tempo di Milosevic, teme il sopravvento dei radicali di Seselj, e noi siamo l'altro versante radicale. Milosevic non ci temeva quanto ci teme oggi l'attuale governo. Questa è la loro debolezza. Per un tale modo di governare l'unico responsabile è il governo serbo", conclude Biserko e aggiunge che i dati resi noti nel testo provengono dal dossier dei servizi di sicurezza o da qualche altro servizio che li ha a disposizione. La Biserko afferma di non aver letto il dossier che la riguarda quando era possibile.

"Non volevo appesantirmi, ma nemmeno i nostri amici più intimi sono a conoscenza dei dati pubblicati nel testo", ribadisce Sonja Biserko. A seguito dell'attacco alla presidentessa, i collaboratori e il consiglio del Comitato di Helsinki per i diritti umani hanno inviato una lettera ai funzionari della Serbia. Nella lettera c'è scritto che il Consiglio e i collaboratori ritengono obbligatorio avvertire l'opinione pubblica che la campagna contro le organizzazioni non governative e i loro responsabili, iniziata già al tempo del regime di Milosevic, continua tuttora, persino con un'intensità superiore. Questa lettera è stata inoltrata anche alla Federazione internazionale di Helsinki, all'Ufficio del Consiglio d'Europa, alla Delegazione della Commissione europea, alla Missione dell'OSCE a Belgrado e alle ambasciate degli USA, della Germania e della Gran Bretagna.

Il caporedattore responsabile di 'Tabloid', Milovan Brkic, alcuni anni fa, era stato escluso dal NUNS (Associazione dei giornalisti indipendenti della Serbia) dopo aver recato ingenti danni alla associazione. Brkic lo aveva fatto a più riprese, motivo per cui si era chiesto al Giudice d'onore dell'Associazione di reagire, ma siccome lo stesso non aveva fatto nulla per risolvere la questione, il Comitato esecutivo del NUNS, in accordo con lo statuto dell'Associazione, aveva assunto la funzione del Giudice d'onore.

Tuttavia Brkic è solo un esempio, che innanzitutto viola gli standard professionali del suo lavoro. La questione piuttosto è cosa fare con le altre migliaia di persone che in Serbia ogni giorno nello scrivere sugli appartenenti delle minoranze, soprattutto albanesi, utilizzano il linguaggio dell'odio, proprio come se questo sentimento fosse la premessa dell'appartenenza etnica del loro pubblico e di loro stessi.