Opera di Maka Batiashvili

A un anno dalla morte di Anna Politkovskaja nel Caucaso del Nord la situazione è come sempre critica. Dmitrij Gruškin traccia una panoramica di quanto sta succedendo. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

19/10/2007 -  Anonymous User

Da Mosca, scrive Dmitrij Gruškin,
Associazione in difesa dei diritti dell'uomo Memorial
Traduzione di: Ilaria Cotrone - Claudia Redigolo - Daniela Venturini

Esattamente un anno fa, il proiettile di un assassino ha stroncato la vita della giornalista di "Novaja gazeta", Anna Politkovskaja. Anna è morta nella lotta per la verità: far luce su qualsiasi fatto, senza badare alle conseguenze, era il suo principio guida professionale. Percepiva il dolore e la sofferenza degli abitanti del Caucaso del Nord come fossero suoi. Solo i proiettili l'hanno potuta fermare. Ma potranno fermare la sua opera?
E' passato un anno intero, nel Caucaso del Nord la situazione è come sempre critica. Le questioni che Anna ha sollevato nei suoi articoli e nei suoi libri continuano ad essere attuali tutt'oggi. I rastrellamenti, i sequestri e gli assassini di civili sono cose ormai ben note non solo in Cecenia, ma anche nelle altre Repubbliche del Caucaso del Nord. Riporterò solo alcuni fatti accaduti quest'anno. Tutte le informazioni sono state raccolte dai colleghi dell'Associazione in difesa dei diritti dell'uomo Memorial.

Cecenia, distretto Šatojskij: donne ferite da militari russi

La mattina del 24 marzo 2007 nelle vicinanze del villaggio Urdjucha, distretto Šatoiskij, nella Repubblica Cecena, i militari del comando locale hanno aperto il fuoco su tre donne del posto. Una di loro, Chaldat Mutakova, classe 1969, viene uccisa sul posto. Le altre due, Zalpa Mutakova, classe 1967, e la nuora Zaira Kasumova, classe 1980, hanno ricevono gravi ferite da arma da fuoco. Alle 8.30 le tre donne si erano dirette al bosco vicino per raccogliere delle erbe aromatiche. Avevano proseguito per circa 500 mt. dalle ultime abitazioni, avevano raggiunto la piccola radura vicino al lago Azzurro (conosciuto anche come Jaks-am) e si erano incamminate verso il bosco, quando all'improvviso da quella direzione hanno aperto il fuoco dei mitra contro di loro. Zaira e Chaldat sono state ferite subito.

Zalpa si è buttata a terra e ha iniziato ad urlare, scongiurando di cessare il fuoco. La raffica non si è arrestata e un proiettile l'ha colpita alla spalla. Zalpa ha chiesto a Zaira di chiamare col cellulare i parenti. E' riuscita a chiamare il cugino del marito e gli ha detto che si trovano vicino al lago, che stavano sparando su di loro, che erano state ferite e avevano bisogno di soccorso.
Presto gli spari cessano. Zalpa temendo che la possano uccidere, ordina a Zaira di spegnere il telefono e di fingersi morta. Poco dopo sente chiaramente dei passi, qualcuno si avvicina, poi se ne va. I soldati parlottano tra di loro. All'improvviso a Zalpa viene in mente che all'arrivo degli aiuti dal villaggio, i soldati avrebbero potuto aprire il fuoco contro quelle persone. Per questo si alza e inizia a parlare. I soldati si siedono attorno a loro con le armi cariche. Zalpa domanda perché hanno sparato su di loro. I soldati rispondono che vedevano male per la nebbia, ma che prima di aprire il fuoco, avevano dato l'avviso. Tuttavia, Zalpa non aveva sentito nessun grido prima degli spari, mentre aveva sentito distintamente togliere la sicura del mitra. A parte questo, quel giorno non c'era nebbia, solo un po' di umidità, e i soldati erano dotati di i binocoli. Le donne indossavano dei pantaloni, ma in testa avevano i foulard, Chaldat indossava una maglia a colori, con una giacca allacciata ai fianchi. Zalpa temendo che le uccidano per non lasciare testimoni, dice di aver chiamato dei parenti a soccorrerle. Il più anziano del gruppo risponde: " Perché li avete chiamati? Ora ci toccherà ammazzarci gli uni con gli altri".

All'arrivo degli abitanti del posto insieme al capo dell'amministrazione del villaggio, Chadim, si rischia il conflitto a fuoco, ma prevale la necessità di salvare le donne, che vengono portate all'ospedale. Durante il tragitto Chaldat muore (almeno 6 ferite, tutte profonde, una pallottola era rimasta conficcata nel vestito). Zaira viene sottoposta ad un intervento in poche ore.
Chaldat lascia una bambina. Subito dopo la nascita della figlia si era separata dal marito. Ha lasciato anche i suoi studenti: Chaldat era maestra alle elementari e insegnava geografia ai più grandi, poiché il numero di insegnanti non è sufficiente.

Uno dei casi di sequestro in Daghestan

Il 28 aprile 2007 verso le 8.00, Ramazan Zhamalovič Umarov, classe 1974, è stato rapito dal suo appartamento (a Machačkala in via Salavatov, 41) dagli agenti delle strutture di sicurezza. E' stato trattenuto insieme a M.R. Radžabov e S.M. Sultanbekov, dopo di che tutti e tre sono stati portati alla Sezione per la lotta contro il crimine organizzato, presso il Ministero degli Affari Interni della Repubblica del Daghestan. Radžabov e Sultanbekov sono stati messi sotto inchiesta, dove si trovi Umarov invece all'inizio di ottobre 2007 non è stato reso noto.
In precedenza Ramazan Umarov era già stato trattenuto dagli agenti delle strutture di sicurezza. Il 25 agosto del 2005, alle ore 21.00 era stato fermato presso un parcheggio dagli agenti della Sezione degli Affari Interni del distretto di Kirov, nella città di Machačkala. Lo hanno costretto a indossare un passamontagna, l'hanno colpito con il calcio del mitra e portato alla Sezione degli Affari Interni, dopo avergli messo indosso una pistola e tre cartucce. In seguito Umarov è stato detenuto tre mesi in isolamento temporaneo, picchiato e torturato, al fine di estorcere la confessione per crimini mai commessi. Il capo della Sezione degli Affari Interni A.M. Bataliev ha minacciato personalmente Umarov, promettendogli venti anni di galera o il trasferimento in Cecenia. Dopo un anno, al processo, Ramazan Umarov è stato completamente assolto, in accordo a tutte le leggi del codice penale russo. Sei mesi dopo la Corte Suprema ha confermato la sentenza. Tuttavia Umarov ha continuato a subire minacce da parte degli agenti della Sezione degli Affari Interni del distretto di Kirov, non soddisfatti della conclusione della vicenda. Il padre di Umarov afferma che Bataliev in persona ha minacciato di spedire suo figlio in prigione. Umarov non viveva a casa, poiché temeva le persecuzioni dei "siloviki" (ex ufficiali dei servizi segreti e dell'esercito N.d.T.) .
In risposta alla richiesta dell'Assemblea Popolare della Repubblica del Daghestan sulla scomparsa di Umarov, il f.f. Capo della direzione alla vigilanza sull'inchiesta di omicidio della Procura della Repubblica del Daghestan G.M. Chanamirov afferma che il 28 aprile 2007 R. Ž. Umarov era stato trattenuto "senza mandato dai membri degli organi di sicurezza della Repubblica e condotto nello stabile della Sezione alla lotta contro il crimine organizzato, presso il Ministero degli Affari Interni della Repubblica del Daghestan". Sul caso della scomparsa di Umarov si è fatto ricorso all'articolo n. 702789 alla pag. 126, parte seconda punto A del codice penale delle Federazione Russa.

La scomparsa di due ingusci nell'Ossezia del Nord

Il 7 luglio 2007, a Vladikavkaz nella Repubblica dell'Ossezia Settentrionale-Alania sono scomparse due persone di etnia inguscia, abitanti nel distretto di Prigorodnyj, nella Repubblica dell'Ossezia Settentrionale-Alania.
Di mattina Magomed Chadžibekarovič Taršchoev, classe 1940 (residente a Čermen, in via Revoljucija, 14) e Muchažir Sajupovič Gajsanov, classe 1945 (residente a Čermen in via Lenin, 110) si sono allontanati dal loro villaggio sulla macchina di proprietà di M. Taršchoev. Erano intenzionati a far visita ai parenti che vivono nel villaggio di Džejrach nella Repubblica Inguscia; la strada passava per la città di Vladikavkaz. Al mercato della città, tra le 10.00 e le 11.00, incontrano la sorella di Gajsanov, Ruket Uchazova. Dopo aver fatto compere, Taršchoev e Gajsanov si sono rimessi alla guida in direzione di Džejrach. Alle 11.00 i loro telefoni cellulari hanno smesso di funzionare. Alle 17.00 a Vladikavkaz in via Butyrin è stata ritrovata la macchina di Taršchoev con i documenti del suo conducente e quelli di M. Gajsanov.

Subito dopo aver ricevuto notizia della scomparsa di M. Taršchoev e M. Gajsanov gli agenti della polizia locale hanno iniziato le ricerche, tuttavia fino ad oggi non è stato identificato il luogo in cui si trovano le persone scomparse.
Il 7 luglio gli abitanti del villaggio di Čermen di etnia inguscia sono scesi a manifestare e hanno ripercorso la strada che passa attraverso il centro abitato. Hanno chiesto alle autorità della Repubblica di ritrovare gli scomparsi, di indagare su tutti i casi irrisolti di scomparse di uomini di etnia inguscia in territorio osseto, che si sono ripetuti regolarmente negli ultimi anni, di provvedere alla sicurezza dei cittadini. Lo stesso giorno il Procuratore della Repubblica e i Ministri degli Affari Interni di Ossezia e Inguscezia hanno incontrato i dimostranti. Hanno promesso di impiegare tutte le misure possibili per le ricerche di M. Taršchoev e M. Gajsanov. Hanno convinto i dimostranti a sospendere il blocco stradale. La strada è stata sgomberata, ma le proteste nel centro del villaggio sono andate avanti fino a sera inoltrata
.
L'8 luglio nel villaggio di Čermen il sit-in degli abitanti è continuato. Secondo le parole di un concittadino degli scomparsi, Magomed Taršchoev e Muchažir Gajsanov non hanno mai partecipato a nessuna azione mirata a fomentare tensioni interetniche, al contrario, da cittadini rispettosi hanno cercato con ogni mezzo di mantenere la pace e la stabilità nel distretto di Prigorodnyj. Inoltre, in seguito al conflitto del 1992, Magomed Taršchoev ha aiutato i suoi concittadini di origine osseta a rifugiarsi in un luogo sicuro. I dimostranti hanno affermato che i casi di scomparsa di persone di etnia inguscia nel distretto di Prigorodnyj e a Vladikavkaz hanno assunto carattere sistematico.

Giudice istruttore Presidente? Ovvero, dei nuovi "poteri" dei giudici istruttori ceceni

Verso la fine del luglio 2007 Imran Sagaev, abitante di Urus -Martan, Repubblica Cecena, ha ricevuto per posta una lettera. Alla felicità del pensionato non c'erano limiti. Attendeva una risposta al suo appello al Presidente della Federazione Russa, al quale si era rivolto due mesi prima. Dal settembre 2002 Sagaev cercava il figlio Il'jas e il nipote Junadi, scolaro di 16 anni. Militari "ignoti" li avevano portati via da casa a bordo di blindati, sempre nel 2002. Il primo giorno dopo l'arresto del nipote Imran si era rivolto al comandante militare del distretto di Urus-Martan N. G. Golovanov con la supplica di liberare Junadi. Ha spiegato al comandante che avevano arrestato uno scolaro della decima classe, nonché figlio unico. Il comandante aveva replicato che suo nipote faceva il "messaggero" per i guerriglieri; nondimeno aveva promesso il suo aiuto.

Aiuto che Imran ha atteso per oltre quattro anni. Neanche la Procura ha aiutato, nonostante abbia aperto due procedimenti penali per il rapimento di Il'jas e Junadi Sagaev. Alla fine, i due sono andati ad ingrossare il già di per sé consistente elenco di persone scomparse senza lasciare traccia in Cecenia.
Nel corso di questi anni Imran ha inviato un centinaio di richieste scritte alle diverse autorità competenti. Tutte le sue missive sono state inoltrate proprio alla Procura distrettuale della quale Sagaev ha sempre lamentato l'inefficienza. Sono state soprattutto l'indifferenza e l'inefficacia mostrata dai funzionari della Procura ad aver spinto Sagaev ad appellarsi a V.V. Putin per esortare il Presidente russo ad esercitare tutta l'autorità di cui dispone affinchè venga chiarito il destino dei suoi cari.

Ad Imran, che è analfabeta, è stata letta, questa breve ma esaustiva risposta (Prot. 16/126p-02 del 16 luglio 2007): "Con la presente Le comunico che la Procura del distretto di Urus-Martan della Repubblica Cecena, ha esaminato la Sua denuncia fattaci pervenire dall'Amministrazione del Presidente della della Federazione Russa. Il 16.07.07 è stata presa la decisione di non procedere all'adempimento della Sua richiesta. Qualora fosse in disaccordo con la decisione da me presa può fare ricorso alla Procura o al Tribunale distrettuale di Urus-Martan della Repubblica Cecena, secondo i termini previsti dalla legge". Seguiva la firma del giudice istruttore della Procura di Urus-Martan, A.A. Madaev.

Deportato durante gli anni staliniani, Sagaev ha potuto vedere molte cose durante i suoi 72 anni di vita. Ma questa è la prima volta che si imbatte in un inquirente della Procura che si permette di rispondere, e in quel modo, a nome del Presidente del Paese.

Ennesima esecuzione extragiudiziaria in Inguscezia

Il 2 settembre 2007, verso le 17.40 nella città di Karabulak (Repubblica di Inguscezia), è stato ucciso Apti Dolakov, residente in via Gradusova.
Le agenzie di stampa, citando fonti ufficiali, hanno riferito dell'uccisione di un bandito nel corso di un'operazione speciale. "E' stata condotta un'operazione speciale finalizzata all' arresto di due malviventi implicati in recenti crimini. Uno dei due è stato ucciso, l'altro è stato arrestato", - ha comunicato Mussa Medov Ministro degli Interni della Repubblica di Inguscezia. "La persona uccisa è un certo Apti Dolakov. Secondo quanto risulta dall'inchiesta, Apti Dolakov, sebbene appena ventenne, svolgeva già un ruolo attivo all'interno della banda. Egli aveva con sè una granata antiuomo F-1 di tipo difensivo. "Nella città di Karabulak, di fronte all'edificio del vecchio asilo "Rjabinka", Apti Dolakov, armato di una granata, ha opposto una resistenza armata in seguito alla quale è stato ucciso sul posto", - ha raccontato Pavel Beljakov, Vice Procuratore della Repubblica di Inguscezia. Il suo complice, il giovane Iliz Dolgiev, ha già reso le sue deposizioni presso il comando di polizia. Risulta implicato nel caso in quanto "membro di formazioni armate illegali" (Fonte: Vesti.Ru, 3.09.2007).

L'Associazione in difesa dei diritti dell'uomo Memorial ha condotto una propria indagine e ha interrogato i numerosi testimoni oculari del fatto in questione.
Dalle dichiarazioni raccolte è emerso che Apti Dolakov stava uscendo con un compagno dalla sala computer situata accanto alla scuola-ginnasio, quando accanto a loro si sono fermati due minibus "Gazel'", uno di colore bianco, l'altro di colore grigio scuro, senza targa e con i vetri scuri. Dai minibus sono scesi correndo degli uomini armati e mascherati, (circa una trentina ) di cui uno o due in borghese. Vistesi le armi puntate addosso, i giovani sono fuggiti attraverso i cortili di alcune edifici, dirigendosi verso via Džabagiev. Si sono uditi degli spari. Testimoni oculari affermano che gli sconosciuti hanno mirato in direzione dei fuggitivi facendo fuoco con armi automatiche. Dal momento che il fatto si è verificato di domenica, è un miracolo che le molte donne e i bambini presenti nei cortili non siano rimasti coinvolti.

Giunto in via Džabagiev, Apti Dolakov l'ha attraversata ed è poi entrato correndo all'interno del cortile dell'asilo «Rjabinka». Quì è stato raggiunto dai suoi due inseguitori, uno in tuta mimetica e mascherato, l'altro in borghese e a volto scoperto. Uno dei due uomini ha gridato ad una donna che li stava osservando di chiudere la finestra e subito dopo si sono uditi degli spari. Apti Dolakov è caduto con il volto rivolto verso terra. L'uomo in borghese è corso verso di lui, si è coperto il volto con la propria maglietta ed ha esploso alcuni colpi di pistola, tra i quali anche il "colpo di grazia" alla testa. In seguito, ha messo un oggetto in mano ad Apti Dolakov. Secondo i poliziotti locali, che hanno condotto in seguito delle indagini, tale "oggetto" è risultato essere una granata con la chiavetta strappata.
Richiamati dal rumore degli spari, i poliziotti ingusci si sono diretti verso l'asilo. Giunti sul posto essi hanno richiesto l'identità degli sconosciuti e hanno cercato di dirigersi verso il corpo di Apti Dolakov, ma sono stati minacciati. Puntando le armi contro i poliziotti e gli OMON, gli sconosciuti hanno gridato: "Non provate ad avvicinarvi o spariamo". Il confronto tra le due parti è durato poco: gli sconosciuti bloccati dai poliziotti hanno chiamato i soccorsi con i ricetrasmettitori.

All'asilo si è radunata una folla di cittadini indignati, che avrebbero voluto punire gli assassini. Solo grazie all'intervento decisivo dei militari ingusci si è riusciti a trattenere la folla. Nonostante il fatto che sul posto dell'omicidio fossero arrivati dei collaboratori delle strutture delle forze federali di sicurezza su piccoli fuoristrada e poi su blindati, dei militari locali avevano disarmato e portato al GOVD (Sezione Cittadina degli Affari Interni) i diretti colpevoli della morte di Apti Dolakov. Secondo le parole dei militari locali, gli arrestati si sono rifiutati di fornire le proprie generalità e spiegare i motivi delle loro azioni. Ma durante la perquisizione fra i loro documenti è stata rinvenuta una certificazione che li qualificava come collaboratori dell'FSB (Servizio Federale di Sicurezza). Uno degli arrestati (era persino in divisa, di nazionalità cecena) aveva con sé dei documenti dai quali emergeva che era l'«ex luogotenente Morzanašvili Mador Sergeevič». A quattro partecipanti all'uccisione di nazionalità russa sono stati trovati certificati con cognomi ingusci. Durante la perquisizione di un inguscio si è trovato un certificato di collaboratore dei servizi speciali con un cognome azero. Sui documenti degli altri dodici arrestati c'erano cognomi slavi, ma, probabilmente, anch'essi fittizi .
Presto all'OVD (Sezione degli Affari Interni) della città di Karabulak si sono presentati alcuni alti funzionari dell'UFSB (Direzione del Servizio Federale di Sicurezza) per l'Inguscezia. Hanno richiesto la liberazione degli arrestati, la cessazione di qualsiasi inchiesta nei loro riguardi, e, cosa più importante, hanno ordinato di portare i bossoli e la pistola con la quale era stato ucciso Apti Dolakov. Secondo i collaboratori della polizia inguscia, l'alto funzionario dell'FSB era preoccupato soprattutto da questa pistola e dall'uomo che aveva sparato con essa, sebbene alla vittima avessero estratto un intero arsenale e di un'altra arma: pistole «Stečkina», automatiche e mitragliatrici. Non è stata consentita la perizia su questa pistola, per verificare che fosse stata usata per compiere altre operazioni criminali clamorose. Nonostante l'opinione contraria degli ufficiali e dei collaboratori ordinari della polizia di Karabulak, verso la sera dello stesso giorno per ordine del Ministro degli Affari Interni dell'Inguscezia, gli assassini sono stati lasciati andare.

Si, la voce di Anna Politkovskaja, giornalista di talento e difensore dei diritti umani, è stata zittita, ma il suo ricordo resta nei nostri cuori. E, cosa più importante, di lei si ricorderanno a lungo non solo i politici, ma la gente semplice, gli abitanti del Caucaso - i protagonisti dei suoi articoli. Le persone che amava, e per le quali viveva. Con la sua morte è diminuita la corrente di informazione veridica e dolorosa per il potere, dai «punti caldi» caucasici, si è chiuso con fracasso un altro battente di una finestra che sta concludendo la «glasnost'» in Russia.