Rapporti tesi tra la Nato e Mosca. È quanto emerge dal vertice straordinario dell'Alleanza tenutosi a seguito della crisi georgiana. Nato critica verso il Cremlino, mentre ribadisce il sostegno alla Georgia
Il conflitto in Ossezia del Sud sta facendo tornare indietro di anni le lancette dell'orologio nelle relazioni tra la NATO e il Cremlino: è questa la conclusione che emerge del vertice straordinario dei ministri degli Esteri dell'Alleanza atlantica tenutosi il 19 agosto a Bruxelles, su richiesta degli Stati Uniti. Anche se formalmente i canali di comunicazione restano aperti - e nessuna delle parti sembra intenzionata a volerli chiudere - nei fatti l'Alleanza ha congelato i lavori del Consiglio NATO-Russia (NRC), il tavolo di lavoro istituito il 28 marzo di sei anni fa a Roma per trattare questioni di interesse comune. "Non si può continuare con il business as usual", recita la dichiarazione finale del vertice, facendo appello alla Russia affinché dimostri - con le parole e con i fatti - di essere ancora legata ai principi su cui si basa la relazione con la NATO.
Il documento finale dei 26 non usa la parola "condanna", ma definisce l'uso della forza da parte russa sproporzionato e incoerente con il ruolo di mantenimento della pace assunto da Mosca. Non vi sono critiche esplicite alle operazioni delle forze armate di Tblisi, ma un richiamo a tutte le parti a rispettare i principi di risoluzione pacifica delle controversie. Il conflitto - si legge ancora nel documento - ha compromesso la stabilità e la sicurezza non solo della Georgia, ma di tutta la regione. Il governo russo lo ha immediatamente denunciato le conclusioni del vertice come poco
oggettive ed ha precisato, senza entrare nei dettagli, che vi saranno delle conseguenze.
Gli alleati hanno gettato tutto il loro peso a sostegno del piano di cessazione delle ostilità negoziato il 12 agosto dal presidente francese Nicolas Sarkozy con i suoi omologhi Medvedev e Saakashvili: il rispetto dei sei punti di cui si compone è il minimo per poter riprendere il dialogo. Tuttavia, la ridda di notizie contraddittorie che giungono dal terreno ha spinto tutti a non farsi illusioni. Persino il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, in conferenza stampa, è parso dubitare seriamente delle intenzioni di Mosca quanto al ritiro delle proprie truppe dalle zone conquistate ed ha aggiunto che - se non fosse stato per l'intervento della comunità internazionale - le truppe russe sarebbero probabilmente arrivate a Tblisi.
L'unica nota positiva della giornata è stato l'annuncio della disponibilità russa ad autorizzare il dispiegamento di altri venti osservatori dell'OSCE. L'Italia - ha annunciato il ministro degli Esteri Frattini - farà la sua parte mettendone a disposizione cinque.
Se verso la Russia è prevalso il biasimo, la Georgia ha incassato al contrario le espressioni di sostegno più esplicite mai ricevute fino ad ora: la dichiarazione finale del vertice la definisce "un partner apprezzato e di lungo periodo". I paesi NATO si sono impegnati a sostenere Tblisi in numerosi campi (economico, militare, umanitario), alcuni anche con azioni bilaterali, ma soprattutto hanno riaffermato le conclusioni del vertice di Bucarest dell'aprile scorso, che lasciava la porta aperta ad un'eventuale adesione. Nel frattempo verrà creata una commissione - sul modello di quella già esistente con l'Ucraina - che avrà il compito di supervisionare i processi messi in moto a Bucarest. Nei fatti è un colpo di acceleratore per le aspirazioni euroatlantiche di Saakashvili, anche se il calendario non è stato toccato e le decisioni su un eventuale invito ad aderire restano in agenda per il mese di dicembre.
"Se vuole fare entrare Saakashvili, la NATO farebbe bene ad invitare anche Hitler e Saddam Hussein", ha risposto l'ambasciatore russo presso l'Alleanza Dimitry Rogozin ai giornalisti che gli chiedevano se la Georgia dovesse ringraziare Mosca per questo ulteriore avvicinamento alla NATO. "Criminale non è solo chi commette un crimine ma anche chi lo aiuta a coprirlo", ha precisato l'inviato del Cremino, facendo toccare un nuovo picco alla retorica bellicosa che regna tra Mosca e le capitali occidentali. Nessuno vuole parlare di ritorno alla guerra fredda, ma i toni di questi giorni sono paragonabili a poco altro.