Il Senatore Giorgio Tonini è relatore della maggioranza per la riforma della cooperazione internazionale. Prevede per il 2008 l'approvazione in Senato della legge attesa da anni. Poi il passaggio alla Camera. Nostra intervista
Senatore Tonini, lei è relatore nella Commissione Affari Esteri del Senato sulla riforma della cooperazione allo sviluppo, ma ha anche presentato un suo disegno di legge che spicca tra le proposte attualmente sul tavolo per alcuni caratteri innovativi. Ce ne vuole parlare?
Premetto che il mio è solo un contributo al dibattito, che già vede diverse proposte in campo. La principale è quella del governo, il vero fatto nuovo perché è la prima volta in quindici anni di travagliati tentativi di riforma che un esecutivo avanza un proprio testo di legge. Va dato atto perciò al Ministro D'Alema e alla Viceministro Sentinelli di avere creato le condizioni giuste per essere moderatamente fiduciosi sulla riuscita.
Dentro questo quadro il mio disegno di legge, rispetto agli altri già presentati, cerca di affrontare due punti particolari.
In primo luogo, vuole tener conto del cambio di paradigma avvenuto attorno al mondo della cooperazione. La legge attuale risale al 1987, cioè al secolo scorso, e vent'anni sono un'enormità: di mezzo c'è stata la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda. Oggi il contesto è radicalmente cambiato, il bipolarismo est-ovest è superato e non c'è più nemmeno la netta distinzione tra nord e sud del mondo. Certo abbiamo ancora milioni di esseri umani in condizioni di povertà anche estrema, ma di contro assistiamo ad un dinamismo spettacolare di paesi che fino a vent'anni fa chiamavamo in via di sviluppo. Penso a giganti come Cina, India o Brasile, che si sono svegliati e stanno correndo lungo la via dello sviluppo.
D'altro canto, abbiamo fenomeni come l'allargamento europeo, che ha incluso nel cosiddetto primo mondo paesi con squilibri interni gravi, com'è il caso della Romania. Oppure c'è la Russia, che non è più quella dei tempi dell'Unione Sovietica e dal punto di vista del prodotto interno lordo è uscita dall'elenco OCSE-DAC dei possibili beneficiari di cooperazione, ma ha al suo interno enormi problemi di povertà. Fino ad arrivare all'area dei Balcani, assolutamente originale perché è difficile definirla in via di sviluppo nel senso tradizionale del termine, ma dove esistono ancora problemi di riconciliazione e ampi spazi di impegno per la cooperazione internazionale.
Ecco, il primo intento del mio disegno di legge è quello di tenere conto delle trasformazioni avvenute e ridefinire il paradigma stesso alla base della cooperazione, fondandolo su una relazione più paritaria tra paesi cooperanti e proponendo come centrale il modello del partenariato.
E il secondo punto?
L'altro tema che contraddistingue il mio disegno di legge è il rapporto tra livello centrale e autonomie locali nella compartecipazione allo sforzo di solidarietà internazionale del sistema italiano.
Il tema è molto delicato, perché al momento c'è una forte spinta alla ricentralizzazione anche in reazione ad abusi riscontrati in questi anni. Si sono viste alcune iniziative di politica estera delle regioni e degli enti locali che hanno superato i limiti di plausibilità, agendo per di più in ordine sparso. Bisogna tuttavia evitare che questa spinta alla razionalizzazione si traduca nella mortificazione delle iniziative dal basso, a parer mio da valorizzare ancorché riconducendole dentro un quadro di certezza normativa.
Veniamo al disegno di legge governativo che, par di capire, sarà il testo base per il lavoro della sua commissione. Ha un approccio decisamente più tradizionale alla cooperazione: che spazi vede per migliorarlo?
Intanto diciamo che il testo del governo è un contributo essenziale perché è la novità che consente di sperare in un buon esito, sempre che la legislatura duri a sufficienza.
Inoltre l'opposizione, almeno in commissione esteri, ha mostrato un atteggiamento costruttivo e intende contribuire nei contenuti all'approvazione del testo. Le due cose confliggono sulla richiesta governativa di una legge delega, perché l'opposizione non può - anche comprensibilmente - accettare tale delega. L'opposizione è disponibile ad una legge ordinaria, che valorizzi l'impostazione del governo ma non gli affidi una delega in bianco. A parti invertite, devo dire che probabilmente terrei la stessa posizione.
Il governo ha pensato alla delega per affrontare con altri strumenti una serie di questioni legate alla riorganizzazione materiale del Ministero degli Esteri e delle altre strutture centrali, che altrimenti potrebbero risultare di ostacolo al percorso di una legge ordinaria.
Io ho proposto una terza via: costruire insieme in commissione un testo unificato, dove riversare i contenuti organizzativi del governo, ed eventualmente prevedere alcune deleghe puntuali all'interno di una legge ordinaria. In questo contesto ho riscontrato nella commissione una certa resistenza ad assumere innovazioni considerate troppo avanzate o radicali.
Nel mio disegno di legge ad esempio parlo di "cooperazione e solidarietà internazionale" anziché di "cooperazione allo sviluppo", perché suggerisco di superare l'idea stessa di "aiuto allo sviluppo". Ma questa come altre innovazioni lascia perplessi molti colleghi. Non abbiamo ancora deciso, ma c'è una tendenza ad adottare i termini tradizionali anche per congruità con i linguaggi internazionali riconosciuti. Il mio sforzo è comunque di salvare alcuni contenuti innovativi, pur cedendo sulle definizioni, per mantenere la consapevolezza che stiamo facendo una legge per il nuovo secolo, e non per quello scorso. Su questo c'è una buona accoglienza in commissione, anche da parte di colleghi dell'opposizione.
Parliamo dell'iter: che tempi prevede per la riforma in Senato?
Il primo testo unificato, su cui stiamo lavorando all'interno di una sottocommissione ad hoc, dovrebbe essere pronto prima della pausa estiva, ossia ad inizio agosto. Se così fosse potremmo riprendere in settembre con un rapido giro di audizioni, convocando organismi governativi e non governativi per un loro parere sul testo. Sulla base delle osservazioni raccolte, potremmo avere una versione finale da approvare in commissione entro la fine dell'anno, e in aula ad inizio 2008. Un argomento come questo, che rientra in una materia meno confliggente come la politica estera, se ha l'accordo dell'opposizione può passare in aula con una giornata di lavoro. Poi toccherebbe alla Camera, ovviamente.
Il vero sforzo sta ora nel produrre un testo unificato che possa riprendere tutto il prezioso lavoro del governo sull'hardware. Mi riferisco alla creazione di un'apposita Agenzia, al rapporto tra Ministero degli Esteri e altri ministeri, tra governo centrale e autonomie locali...su questi aspetti il testo del governo ha già trovato l'intesa con tutte le parti coinvolte, intesa che non va assolutamente persa per strada. Il testo però può essere arricchito dal software che possiamo mettere come commissione, in termini di definizione ed innovazione culturale della cooperazione.
Nei tentativi di riforma passati ci sono state resistenze da più parti, sia dall'interno dell'amministrazione sia da componenti del mondo non governativo. Che sensazioni ha rispetto al percorso attuale?
Resistenze nell'amministrazione in questo momento non ci sono, perché come dicevo il testo del governo ha avuto il via libera del Ministero degli Esteri, passandone tutti i vagli interni con le varie componenti (ambasciatori, sindacati...), e degli altri ministeri. Colpi di coda sono sempre possibili, ma questa volta mi sento di dire che la riforma non è un'iniziativa velleitaria del parlamento. Il governo ha fatto il suo dovere e il parlamento può contribuire per la sua parte.
Il problema al momento è tradurre l'accordo istituzionale raggiunto dal governo in una legge ordinaria, per rispettare l'altra condizione ossia l'accordo con l'opposizione, altrimenti con i numeri attuali la riforma in Senato non passa. Con molta prudenza, io penso che ce la possiamo fare.
Vai al testo in formato pdf della proposta Tonini, presentata il 25 maggio 2007.