Sloveno, italiano, goriziano...europeo. Riflessione su minoranze nazionali e processi identitari a Gorizia-Nova Gorica (Tratto da Isonzo-Soča n.59, ottobre-novembre 2004)
di Marianna Kosič
Siamo collocati in una regione che viene considerata una sorta di laboratorio naturale per lo studio delle dinamiche tra gruppi etnici diversi. Con l'adesione della Slovenia all'Unione Europea e la possibile nascita di una nuova entità multiculturale composta da Gorizia e Nova Gorica, la situazione è diventata ancora più interessante.
Sappiamo difatti, che ciò che avviene ad un macrolivello influenza il singolo individuo, portandolo a modificare il proprio mondo interno, il modo di percepire se stesso e gli altri, per rispondere alla variazione avvenuta nell'ambiente circostante. Questa considerazione ha dato il via alla mia ricerca in psicologia sociale. L' obiettivo di questo articolo non è fornirne il riassunto dei risultati, ma offrire spunti di riflessione.
Nella ricerca focalizzo l'attenzione su determinate componenti identitarie, partendo dal presupposto di cui sopra, chiedendomi come questi macro/micro mutamenti si rifletteranno sul sentimento d'appartenenza etnico?territoriale dei soggetti e sui rapporti tra i diversi gruppi etnici a ridosso del confine.
È sicuramente troppo presto per dare una risposta, poiché i processi identitari si evolvono gradualmente e perché, per il momento, il confine è aperto solo per lo scambio di merci. Possiamo però immaginare le ripercussioni possibili o auspicabili per la nostra zona.
Nella nuova UE, le minoranze nazionali avranno più probabilità di essere riconosciute dagli altri a livello paritetico e considerate come una ricchezza, visto che nella grande Europa tutti saranno in qualche modo minoranza. Una nuova integrazione dei gruppi poi, sarà stimolata dalle maggiori probabilità di interazione e di contatto dovute alla caduta dei confini. Ciò potrebbe portare a decategorizzare e ricategorizzare i gruppi sociali esistenti e a percepire gli "altri" come compagni di un nuovo eventuale gruppo comune. Se ciò accadesse sarebbe forse possibile eliminare i confini mentali che dividono, ma sta anche ad ognuno di noi creare le condizioni affinché ciò un giorno si realizzi.
Qual è la situazione attuale? I risultati della ricerca ne offrono un assaggio. Uno degli obiettivi era indagare le percezioni sulle appartenenze etnico ? territoriali degli adolescenti (tra i 16 e i 19 anni) della minoranza slovena e confrontarle con quelle dei coetanei italiani e sloveni al fine di rilevare in che modo queste si riflettano sulle relazioni tra i gruppi residenti proprio a ridosso del confine delle due città.
Quant'è saliente tra la minoranza la componente etnica dell'identità? In media abbastanza. Ho in mente le risposte e i commenti che venivano forniti dagli studenti della minoranza alla domanda: "Con che gruppo etnico ti identifichi?" "Sloveno... come i connazionali d'oltreconfine..." Italiano ... come i concittadini..." "Non mi sento del tutto né italiano né sloveno." "Sento di avere elementi in comune ad entrambi.""Assomiglio poco alla maggior parte degli sloveni della Slovenia." "Zamejec" (sloveno al di qua del confine)." "In certi contesti e/o occasioni mi posso sentire semplicemente italiano". O "semplicemente sloveno". O "Goriziano". O "Europeo".
Prevalgono le risposte ''Sento di appartenere alla minoranza slovena come cittadino italiano''.
Tali identificazioni sono etichette linguistiche in perenne ridefinizione, punti di vista da cui guardare e interpretare ciò che ci circonda dinamici e che potrebbero essere un modo per risolvere l'incertezza nel definire se stessi, offrendo un adeguato equilibrio tra inclusività ed esclusione. Oppure sono un meccanismo di difesa, un tentativo di differenziare minoranza e sloveni d'oltreconfine per espellere gran parte delle caratteristiche negative che la maggioranza italiana attribuisce indistintamente agli sloveni in generale a quelli d'oltreconfine e introiettare solo quelle positive, come pensa chi segue un'interpretazione psicoanalitica? Forse. Forse quest'avere molteplici possibilità dì identificazione, il disporre di un sé più complesso, è una sorta di jolly che offre la possibilità di manifestarsi in un determinato contesto sicuri di dare di sé un'immagine il più positiva possibile.
Ampliando la visione, vediamo anche che i giovani di tutti e tre i gruppi dichiarano, chi più chi meno, di essere disposti ad un rapporto d'amicizia con tutti gli "altri". Gli appartenenti della minoranza si dichiarano disposti in larga misura anche al massimo grado d'intimità, rappresentato dall'unione coniugale, nei confronti degli italiani ai quali si sentono molto simili, ma non è altrettanto vero nei confronti dei connazionali d'oltreconfine ai quali dicono di somigliare poco. Le risposte degli altri due gruppi ci permettono di affermare che nelle nostre relazioni preferiamo, oltre chi condivide le nostre stesse appartenenze, chi riteniamo ci somigli di più, chi abbiamo più opportunità di frequentare e di conseguenza chi conosciamo meglio. Per quanto riguarda le relazioni effettive tra i tre gruppi, gli studenti della minoranza si differenziano dai propri coetanei italiani e sloveni, poiché hanno di fatto amicizie e condividono attività con entrambi gli altri gruppi. Ciò è sicuramente dovuto al fatto che gli appartenenti della minoranza sono bilingui e quindi possono liberamente interagire con tutti i gruppi a ridosso del confine.
La domanda che sorge a questo punto è: ci sarà maggior contatto tra i gruppi con la caduta del confine? Visto che mi piace pensare che la lingua sia un ponte tra noi e l'altro, sono convinta che la caduta della barriera linguistica, il conoscere la lingua del vicino sarebbe forse già un passo consistente in questa direzione. In fondo il punto di vista, il mondo dell'altro può arricchire anche noi, rendendoci più complessi, offrendoci ulteriori jolly. Ma c'è sufficiente motivazione per uscire dal nostro guscio e scoprire cosa ha l'altro da offrirci? A parole sembra di sì. A fatti forse anche, ma sicuramente in misura minore.
Mi rendo conto che per un migliore e più concreto contatto tra i gruppi della nostra zona, molti siano i fattori in gioco. Molte ancore le barriere interne. I fantasmi del passato. Le paure, le sensazioni di minaccia. Come risulta dalle loro parole, tutti i gruppi vivono con sufficiente tranquillità i recenti cambiamenti e dicono di sentirsi giusto un po' preoccupati e disorientati. Ciò riguarda in misura maggiore gli studenti italiani, mentre negli studenti sloveni, sia al di qua che al di là del confine, prevale, all'idea dell'abbattimento del confine, una sensazione di felicità.
Una domanda sorge spontanea. Che ne sarà del bisogno di distanziarsi/differenziarsi da chi risiede oltre il confine? E quando il confine non c'è più?
Mi viene in mente per concludere queste riflessioni il motto scolpito sul tempio dì Delfì: "Conosci te stesso." "Chi sono io?" Posso esprimermi più o meno consapevolmente con infinite sfaccettature, ma l'essenza ultima del mio essere si manifesta nel fluire della quotidianità della vita, estranea ad ognuna delle possibili etichette con cui di volta in volta mi identifico. Io sono, in ogni circostanza, luogo e tempo. Io sono. Risuona l'eco di antiche saggezze.
Andiamo incontro ad un estremo localismo e particolarismo o ad un estremo universalismo e globalismo? Analisi o sintesi? O trascendiamo questo aut aut per accettare che siamo contemporaneamente tutte le cose ed apprezzare la ricchezza di "ogni uno", l'"unità molteplice" senza cadere nella disgiunzione per cui o è l'uno o è l'altro?