Tre sono i paesi non riconosciuti, o solo parzialmente riconosciuti, nel Caucaso del Sud: l’Abkhazia, l’Ossezia del Sud, il Nagorno-Karabakh. Per tutti, il 2017, è anno di elezioni. Una rassegna
Nel Caucaso del Sud ha aperto le danze del voto dei territori non riconosciuti l’Abkhazia, il 12 marzo sorso. Si è votato per il rinnovo del parlamento, l’Assemblea Popolare, composto da 35 deputati che rappresentano 240 mila abitanti, circa la metà di quanti risiedevano nel territorio prima della guerra dei primi anni ’90 che ha portato alla secessione non riconosciuta dalla Georgia. Dopo la guerra del 2008 il paese è riconosciuto come tale da Russia, Nicaragua, Venezuela e Nauro. Tuvalu e Vanuatu hanno ritrattato l’iniziale riconoscimento. Per il resto del mondo quindi le elezioni tenutesi in marzo sono illegittime.
L’Assemblea Popolare è eletta con sistema maggioritario, sono 33 le circoscrizioni elettorali. Dopo il primo turno, si è dovuto ricorrere al ballottaggio per 22 seggi. Il secondo turno si è tenuto il 26 marzo. I più votati sono stati i candidati indipendenti, presentati da liste civiche.
Solo 8 candidati uscenti dalla precedente legislatura sono stati rieletti. Una sola donna si è aggiudicata un posto in parlamento e per quanto riguarda le minoranze, sono presenti 3 armeni.
Il mero resoconto non rende però l’idea di cosa stia accadendo in Abkhazia. Molti sono stati i casi di intimidazione registrati fra le due tornate elettorali: la macchina di Batal Ayba (candidato a Sukhumi) è stata data alle fiamme, mentre colpi sono stati sparati contro la macchina di Kakha Pertaya (candidato a Gali, l’area popolata dalla minoranza georgiana dei mingreli, quanto rimane dei circa 250 mila georgiani che vivevano in Abkhazia). Un’altra vettura che nello stesso periodo è stata data alle fiamme è quella del Presidente della Corte Suprema, Temur Sonia, posteggiata presso la corte stessa. Il presidente Raul Khadjimba si è espresso conto questo clima di destabilizzazione, anche se lui stesso nel 2014 giunse al potere dopo un colpo di mano della piazza che aveva costretto alle dimissioni il precedente presidente Alexander Ankvab.
Nei giorni in cui la Georgia festeggia l’accordo sulla facilitazione dei visti con l’UE, l’Abkhazia pare ancora più isolata, travagliata da una vita politica dai tratti criminali e sempre più chiusa al vicino georgiano. Desta preoccupazione la chiusura di due ulteriori passaggi lungo la linea amministrativa. Con la chiusura di Nabakevi-Khurcha and Meore Otobaia-Orsantia, rimangono solo due gli attraversamenti ufficiali, il che renderà ancora più gravosa la situazione di quanti mantengono vivo il transito e il contatto diretto fra i due territori, fra le due comunità georgiana e abkhaza.
L’Ossezia del Sud
Per un'elezione fatta, una campagna elettorale in pieno svolgimento. In Ossezia del Sud sono previste le elezioni presidenziali il prossimo 9 aprile. Come in Abkhazia c’è un’intricata vicenda politica legata all’ex presidente: Eduard Kokoity, presidente dal 2001 al 2011 ha già svolto due mandati consecutivi e la sue candidatura è stata bocciata dalla magistratura locale. Kokoity, accusato in passato di essersi intascato e aver mal gestito i fondi russi per la Repubblica ed entrato per questo in rapporti spinosi con Mosca non ha accettato il verdetto della Corte ed ha organizzato una protesta con 300 suoi sostenitori. L'attuale presidente Leonid Tibilov sostenuto da Mosca per un secondo mandato, ha affermato non si ha bisogno di "rivoluzioni colorate" perché "abbiamo visto dove portano".
I candidati alla presidenza provengono tutti dagli attuali quadri dirigenti: oltre al Presidente in carica Tibilov concorrono il Presidente del Parlamento Antoly Bibilov e Alan Gagloev, dalle fila del KGB locale. Circa 33.000 i votanti, mentre erano 68.000 i residenti prima della guerra degli anni ’90.
Contestualmente alle elezioni si terrà un referendum per rinominare l’Ossezia del Sud che dovrebbe prendere il nome di Alania. Da notare che la confinante Repubblica dell’Ossezia del Nord in Russia porta già il doppio nome, il che fa supporre che si stia mettendo un altro mattoncino verso l’annessione, anche se ufficialmente Mosca non preme in questa direzione. Vero è che in seguito a un accordo di pochi giorni fa 150 militari ossetini verranno scorporati dall’esercito locale per essere integrati nell’esercito russo, primo importante passo di cessione di sovranità, seppur de facto.
Il Nagorno-Karabakh
Ha già invece cambiato nome il Nagorno-Karabakh. Il 20 febbraio un referendum (80 mila voti su 104 mila aventi diritto) ha sancito che il territorio, controllato dagli armeni dal cessate il fuoco del 1994, sia ora chiamato ufficialmente anche con il toponimo armeno Artsakh. Nagorno Karabakh è il nome con cui l’Azerbaijan definisce l’area, ed è anche quello che viene usato internazionalmente per definire la precedente regione autonoma che si è dichiarata indipendente e i territori limitrofi conquistati durante il conflitto tra Armenia e Azerbaijan e che ad oggi rimangono al di fuori del controllo di Baku. La maggior parte dei 600.000 sfollati che vivono ad oggi in Azerbaijan provengono da quest’ultima area.
Il referendum ha anche avuto importanti ripercussioni istituzionali che rischiano di aumentare il livello di conflittualità lungo la linea del fuoco. E’ stato abolito l’ufficio del Primo Ministro, e la catena di comando si è così snellita a favore del Presidente: una costituzione da tempi di guerra. Dopo gli scontri dello scorso aprile e le regolari violazioni del cessate il fuoco, ci si attende una nuova recrudescenza del conflitto in primavera o in estate.
Quest’anno inoltre si dovrebbe votare per un nuovo presidente. Bako Sahakyan è al secondo e ultimo mandato ma, come previsto dall’articolo 66 della costituzione, potrebbe prolungare la durata della carica nel caso venisse dichiarato lo stato d'emergenza.