Nel 2017 il mercato delle cripto valute era stato individuato come un'opportunità unica per lo sviluppo dell'Abkhazia. Il forte consumo legato al mining, però, ha messo in crisi il suo fragile sistema energetico, e Sukhumi ha dovuto imporre una moratoria su tutto il territorio dello stato de facto
La storia delle cripto valute in Abkhazia ha ormai diversi anni: correva il 2017 quando l'allora ministro dell'Economia della Repubblica de facto ha espresso interesse ad entrare nell'economia digitale e nel mercato delle cripto valute.
Il ministro ha fatto allora notare che la Georgia aveva già una notevole attività in questo settore, che poteva rivelarsi una grande possibilità anche per la piccola Repubblica secessionista. La scelta era strategica, ma rispondeva anche all’accettazione supina del fatto che in Abkhazia il mining, la produzione di cripto valute e i processi per garantire le transizioni, aveva ormai preso piede e fermare le attività che stavano sorgendo come funghi risultava pressoché impossibile.
Lo Repubblica de facto ha quindi deciso di controllare il processo, in modo da creare un ambiente favorevole alla creazione del mining. Il vantaggio competitivo che veniva allora identificato era che il flusso del Bitcoin e delle monete digitali non era regolato da organizzazioni internazionali, come il Fondo monetario Internazionale o la Banca Mondiale.
Questo per i paesi riconosciuti poteva essere un problema, ma non per l’Abkhazia, che è già un'economia non regolata dalle norme internazionali. Lo scopo era quindi di sfruttare a proprio vantaggio una condizione di deficienza e attirare investitori internazionali. Il settore è stato identificato dal ministro come una grande occasione, di quelle che capitano ogni cento anni. Per questo aveva preso contatti con specialisti stranieri - presumibilmente russi – per fare dell'Abkhazia un mercato pionieristico in questo settore.
Le cose non sono andate però come sperato, e nel giro di un anno la questione del mining è diventata problematica: è infatti un’attività ad altissimo consumo energetico, e già nel 2018 un decreto del governo abkhazo ha limitato l'uso di elettricità utilizzata nel settore.
Contro questo decreto, che limitava la potenza elettrica disponibile a chi era attivo nel mining, ha preso posizione il parlamento di Sukhumi, che ha accusato a sua volta l'agenzia elettrica nazionale di stare scaricando sul mining le responsabilità legate al suo malfunzionamento.
Stando ai dati denunciati nel 2019 dal direttore dell’Agenzia elettrica nazionale "Chernomorenergo", nel 2018 solo il 58% degli utenti hanno pagato la bolletta. Di fatto l'elettricità è utilizzata gratuitamente da una parte della popolazione e anche da diversi soggetti entrati nel mercato delle valute digitali.
A causa dell'elevato numero di non paganti, nel 2019 la compagnia aveva accumulato un debito di circa 250 milioni di rubli, che con il cambio dell'epoca equivalevano a circa 3.4 milioni di euro. Per evitare danni erariali, la compagnia aveva disconnesso già diverse utenze che facevano il mining illegalmente, tutti consumatori intensivi. Il governo de facto ha quindi collaborato con Mosca per ricevere una maggiore fornitura elettrica. Il problema si è però protratto negli anni ed ha portato a tragiche conseguenze nel 2024.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso
Di fatto l’Abkhazia ha chiesto alla Russia di includere nei pacchetti di aiuti economici anche somme per pagare forniture elettriche alla Russia stessa, che è la principale fornitrice della Repubblica secessionista.
Circa il 40% dell’elettricità consumata proviene dalla centrale idroelettrica di Inguri, che viene gestita tra Abkhazia e Georgia, ma il resto viene importato dalla Russia. Il settore energetico è in grande sofferenza nella Repubblica secessionista, anche perché dalla guerra dei primi anni ’90 non c’è più fornitura di gas.
Il gas era legato all’erogazione georgiana e con lo scoppio della guerra tutta la Georgia occidentale, Abkhazia inclusa, si è trovata senza gas. Il ripristino non è stato possibile per via della secessione, e quindi anche le utenze domestiche per il riscaldamento poggiano oggi sul sistema elettrico. La rete è obsoleta, le tariffe scollate dagli effettivi consumi e - appunto - pagate da pochi.
L’intero sistema era già in crisi quando si è affacciato sul mercato un settore ad altissimo consumo come il mining di cripto valute. La grande occasione si è trasformata in un fenomeno ingestibile, che ha mandato in sovraccarico il fragile sistema.
Nel 2020 il consiglio dei ministri abkhazo ha adottato tre normative per la regolamentazione del cripto-mining. In particolare, è stata vietata l'importazione dell'hardware per produrlo per un periodo di due mesi, periodo che poi è stato prolungato e è stata richiesta al ministero dell'Economia la creazione di una legge che mettesse uno stop almeno provvisorio al settore del mining.
Di fatto, però, il mining aveva preso così piede in una scala così intensa che arrestare questo processo si è dimostrato impossibile. Nel 2021 l'amministrazione presidenziale ha tenuto un incontro con gli amministratori locali per quella che è diventata una vera e propria "guerra contro il mining".
Il mercato della produzione di cripto valute si è differenziato: ci sono grossi centri di produzione, ma ci sono anche piccole "fattorie" difficilmente identificabili in alberghi o in case private, dove con un supporto hardware limitato si riesce comunque a mettere in piedi una certa capacità produttiva.
Questo tipo di attività è difficilmente identificabile: per questo la presidenza si era rivolta agli amministratori locali facendo affidamento sul fatto che, essendo la Repubblica molto piccola, si potesse risalire a chi effettivamente si era dato a questo tipo di attività.
Blackout
La situazione energetica in Abkhazia è però peggiorata progressivamente, e nel 2021 sono state inasprite ulteriormente le pene per chi si dava аl mining. L’approccio repressivo è andato intensificandosi, con il ministero degli Interni che ha continuato a produrre report di nuovi sequestri di hardware in tutto il paese, con utenze che consumavano decine di megawatt.
Nel gennaio del 2021 il presidente abkhazo ha parlato di emergenza energetica con una crisi ormai a tutti i livelli. Gli investimenti russi non coprivano più i bisogni di ammodernamento dell'infrastruttura energetica del paese, con misurazione dei consumi e tariffe ancora precarie, e un numero di utenze effettivamente pagate ancora basse.
L’Abkhazia ha cominciato quindi a essere sottoposta a blackout periodici, legati all’eccessivo consumo e all'incapacità della rete di sostenerlo: il mining è stato quindi vietato su tutto il territorio nazionale. Le macchine per il mining verrebbero però ancora fatte arrivare, anche attraverso la Georgia, e solo nell'estate scorsa sono stati rivelati qualcosa come una ventina di tentativi di portare all'interno dell’Abkhazia hardware per generare cripto valute.
La situazione è ormai cronicizzata con periodici e ricorrenti blackout. Dalle stelle al buio.