Dopo una campagna elettorale ricca di colpi di scena, fra avvelenamenti, proteste di piazza, rinvii ed emendamenti costituzionali ad hoc, finalmente l’8 settembre si è svolto il secondo turno delle presidenziali in Abkhazia
La storia infinita quanto intricata delle elezioni in Abkhazia comincia a primavera, quando l’aspirante presidente Aslan Bzhania ha accusato un grave malessere. È stato ospedalizzato e poi trasferito per un trattamento a Mosca. A inizi giugno da Mosca è stato poi ricoverato per le cure in Germania. Fin dai primi giorni è stato detto che la causa del grave stato di salute potesse essere un avvelenamento, ipotesi che poi si è dimostrata fondata: analisi di laboratorio condotte in Polonia hanno confermato che sia lui che la sua guardia del corpo erano stati avvelenati.
L’avvelenamento ha avuto sul decorso della campagna elettorale per le presidenziali una larga eco che trascende la vicenda politica di Bzhania. Le elezioni erano infatti in programma per il 21 luglio scorso. Quando è stata resa nota la vicenda del candidato dell’opposizione, il mondo politico e l’elettorato sono entrati in subbuglio. Il 22 maggio il presidente in carica, nonché candidato al rinnovo di mandato Raul Khadjimba si è dichiarato disponibile a posticipare le elezioni per concedere il rientro in corsa di Bzhania, nonché ha dato il suo assenso affinché quest’ultimo venisse registrato come candidato in absentia. Il Movimento Nazionale per la Protezione della Sovranità Abkhaza, che ne aveva sostenuto la candidatura, ha accettato la proposta e ha fatto rientrare la proteste che erano in corso.
Per rendere possibile uno slittamento di date è stato però necessario emendare la costituzione. La costituzione abkhaza prevede infatti che le elezioni presidenziali si tengano almeno due mesi prima dello scadere del mandato del presidente in carica. Raul Khadjimba rimarrà in carica con il proprio primo mandato fino a ottobre, motivo per cui le elezioni erano state fissate per luglio. Con un emendamento votato il 28 maggio scorso dal parlamento abkhazo, ora le elezioni presidenziali si possono tenere a un mese dalla fine del mandato.
Il 14 luglio la candidatura di Bzhania è stata però ritirata a causa delle sue condizioni fisiche ancora critiche e del trattamento cui è sottoposto, protratosi più del previsto. Il Movimento Nazionale per la Protezione della Sovranità Abkhaza ha quindi invitato i propri elettori a spostare il voto a favore di Alkhas Kvitsinia.
I protagonisti
I protagonisti di questa campagna elettorale ricca di colpi di scena, fra avvelenamenti, proteste di piazza, emendamenti costituzionali ad hoc, sono stati soprattutto tre candidati, quelli che avevano più possibilità di ricoprire l’incarico di presidente della piccola regione secessionista d’Abkhazia: Raul Khadjimba, Aslan Bzhania, Alkhas Kvitsinia.
Raul Khadjimba è il presidente uscente. Per quattro volte si è presentato alle urne e – fino al 2014 – senza successo. In quell’anno finiva la presidenza di Alexander Ankvab, che fu costretto a rifugiarsi in una caserma e a rassegnare le dimissioni dopo violente proteste di piazza contro di lui. Khadjimba è un uomo di Mosca, la sua candidatura in passato è stata sostenuta direttamente dalla leadership russa. Ma il suo primo mandato non ha riscosso successo fra gli investitori russi, che lamentano la troppa corruzione e criminalità nella regione. Lamentano la sparizione dei fondi provenienti dalla Federazione Russa, la scarsa tutela dei diritti di proprietà e il rischio di essere taglieggiati se non direttamente rapiti. Ed episodi di rapimento a fine di estorsione si sono ripetuti negli ultimi anni.
Aslan Bzhania era stato candidato alle elezioni nel 2014, ed aveva ottenuto il 39% dei voti. Ha quattro anni in meno di Khadjimba, cioè 56, e come lui ha un passato negli organi di sicurezza abkhazi. Poi la politica e cinque anni fra i banchi dell’opposizione. Ha firmato una proposta di riforma degli organi dello stato. Secondo Bzhania, l’attuale crisi di fiducia verso le istituzioni abkhaze fomenta la crescita di gruppi criminali che sopperiscono alle funzioni dello stato, quindi serve una decisiva riforma, anche costituzionale. L’avvelenamento lo ha allontanato solo momentaneamente dalla politica, stando al portavoce del Movimento Nazionale per la Protezione della Sovranità Abkhaza, per cui in futuro il suo nome potrebbe tornare fra quelli che contano.
Alkhas Kvitsinia è stato catapultato dagli eventi nel ruolo di leader dell’opposizione unificata. Si è espresso a suo favore anche il presidente deposto Alexander Ankvab, considerato un uomo di grande influenza. L’accordo sembra fosse che con Kvitsinia presidente, Ankvab sarebbe divenuto primo ministro.
Un voto, anzi due, anzi no
Una campagna presidenziale che sembra non aver mai fine. Il primo turno, lo scorso 25 agosto, non ha infatti deciso un vincitore. Si è andati al secondo turno con uno spareggio fra Kvitsinia e Khadjimba.
L’8 settembre è quindi arrivato il giorno per designare il nuovo presidente, mentre lo scadere del mandato si avvicinava sempre di più. Sono stati aperti per 12 ore 152 seggi elettorali in Abkhazia, uno a Mosca e uno a Cherkessk per gli abkhazi all’estero, circa 4000 in Russia. 127.000 gli elettori, per rendere il voto valido l’affluenza ai seggi doveva essere almeno del 25% dell’elettorato.
La tornata si è conclusa con un duro testa a testa: 47,38% per Khadjimba mentre Kvitsinia si è fermato al vicinissimo 46,19%. Un pugno di voti ha separato i due, per l’esattezza 999.
Non poteva però mancare l'ennesimo colpo di scena: la scheda elettorale prevedeva la voce “Voto contro tutti” – che ha raccolto 3.154 voti - come spesso figura nello spazio ex sovietico, voti che vengono assegnati a chi ne ha presi meno, cosa che non risulta dal 46,19% delle preferenze, o almeno così sostiene Kvitsinia.
Alkas Kvitsinia rifiuta ora di riconoscere l’esito elettorale e sta dando avvio ad una nuova mobilitazione politica per portare il proprio elettorato in piazza a Sukhumi. In attesa di novità non si può non notare come le elezioni nell’autoproclamata Repubblica di Abkhazia non siano considerate legittime internazionalmente se non dai cinque stati che ne riconoscono l’indipendenza. Questa volta le elezioni paiono non essere considerate legittime nemmeno da un gran numero tra gli stessi elettori.