Una TV, nata in Albania due anni fa per mano di un imprenditore italiano. E che ora ha deciso di trasmettere anche in Italia. Un commento
Gianni Amelio, sbarcato nell’Albania dei primi anni Novanta per girarci “Lamerica”, ha scattato con quel film almeno due fotografie immortali dell’Albania in uscita dal comunismo enveriano. La prima ritrae una folla di albanesi accalcata in un miserando bar di chissà quale periferia: in TV scorre “Ok il prezzo è giusto” di Iva Zanicchi, programma simbolo del capitalismo italianissimo. Oggetti per la casa e prezzi, ricchezza. Tutt’intorno è povertà, silenzio, ipnosi. La seconda cartolina da prendere e portare a casa è il celebre dialogo tra l’imprenditore italiano e la prestanome albanese, uno scambio che descrive molto bene il mix di disparità e illegalità che vigeva (l’imperfetto è ottimista) nelle relazioni economiche tra i lavoratori albanesi e gli investitori italiani.
«Signora a lei piace la scarpa italiana? Il cuoio morbido, la confezione moderna, il piede che poggia in un velluto?»
«Le ho viste in TV. Le scarpe italiane sono le migliori del mondo».
«Noi dobbiamo dare ad ogni albanese un paio di scarpe nuove. Nella fabbrica ci sarà soltanto mano d’opera locale. Utilizzeremo pellame albanese di primissima qualità. Lei signora sarà Presidente della Società “Alba Calzature”. È contenta? Me lo fa un bel sorriso?».
La promessa degli anni Novanta era quella dell’abbondanza: dal primo mondo vi porteremo lavoro, qualità, status sociale, sarà un nuovo inizio. In questi vent’anni, si è perso il conto delle albe occidentali promesse all’Albania e che in questo piccolo paese balcanico hanno suonato più vere che mai.
Oggi il paese procede, caotico e disorientato ma pare andare avanti: chi torna a Tirana dopo qualche anno osserva soddisfatto come la capitale si sia trasformata, come il paese abbia cambiato pelle. Per contro, il sogno italiano – che a ragion veduta, per la sua forza immaginifica, è stato accostato al mito dell’America diffuso tra gli italiani – si affievolisce di giorno in giorno.
Tuttavia l’ingenuità di fronte alla finzione televisiva rimane una delle debolezze caratterizzanti la società albanese. E la nuova alba, che in albanese si dice "agon", questa volta si è addirittura fatta canale televisivo: Agon Channel.
Un canale italo-albanese
Agon Channel nasce a Tirana nell’estate del 2013. Fondatore, patron e proprietario è l’italiano Francesco Becchetti, imprenditore romano presente in Albania sin dagli anni Novanta e amministratore delegato della Beg Becchetti Energy Group, un’azienda con sede legale a Roma e Tirana che stando a quanto scrive Il Sole 24 Ore non aveva mai operato nel settore radiotelevisivo, avendo come core business “la realizzazione di impianti idroelettrici e di centri integrati per il trattamento e la valorizzazione dei rifiuti solidi urbani”.
Becchetti però conosce il paese, ha ben presente la penetrazione linguistica operata da Rai e Mediaset sulle generazioni di albanesi che oggi hanno tra i 20 e i 40 anni, e decide di buttarsi. Stanzia i suoi capannoni appena fuori Tirana, lungo l’autostrada che conduce all’aeroporto, impiega qualche centinaio di giovani albanesi di quelli con la “voglia di mettersi in gioco” e coinvolge volti noti delle varie TV locali, personaggi già affermati in patria ma ben lieti di farsi arruolare in un progetto a etichetta italiana che per giunta stacca assegni in euro.
Verso il pubblico albanese, la formula di Agon Channel sarà sempre la stessa: rielaborare e trasmettere format che in Italia hanno avuto successo (“Striscia la Notizia”, “Le Iene”, “Che tempo che fa”…) invitando di tanto in tanto qualche “big” dall’Italia (Enzo Iacchetti, Barbara d’Urso…).
Per dare un minimo di continuità, Agon Channel aveva però bisogno di un volto italiano permanente: Becchetti lo individua in Alessio Vinci, cui affida la direzione editoriale della rete. Con una discreta esperienza all’estero, Vinci è in realtà un giornalista quasi sconosciuto allo stesso pubblico italiano, almeno fino a quando, nel 2009, Berlusconi non gli affida la conduzione di Matrix su Canale 5. Dopo il flop di ascolti a “Domenica Live” - versione 2012 del classico contenitore domenicale - Vinci lascia il programma all’amica Barbara d’Urso e dopo qualche mese di TG5 s’invola finalmente per l’Albania.
“Inutile che vi dica come è stato raccontato in Italia il mio andare in Albania – confiderà ai microfoni di La7 – sembrava che fossi sbarcato da un gommone: battute sulla caduta agli inferi, dalla CNN a Mediaset per finire poi all’Albania. Qui c’è un’energia e un attivismo che io in Italia non ho mai riscontrato. Non sto dicendo che qua è il bengodi, che tutti i giovani lavorano e guadagnano tanto, dico che qui, ancora oggi, per chi ha voglia di fare e di mettersi in gioco, per chi ha un sogno, ecco, questo sogno lo si può ancora realizzare…”.
“Voglia di fare”, “mettersi in gioco” e “sogno” sono tre parole d’ordine per tingere di rosa la dolorosa transizione albanese: non vi è imprenditore straniero che non tessa le lodi dei volonterosi sottopagati d’Albania, disponibili, a differenza dei loro coetanei europei, ad accettare qualsiasi non-condizione lavorativa.
La vendetta di Fadil
Alla pari di altre storie italo-albanesi, anche quella di Agon Channel sarebbe rimasta sconosciuta alla maggior parte degli italiani. Ma perché non trasmettere, a questi stessi costi di lavorazione, anche in Italia? Dopo un’estate di frenetici casting in giro per il Bel Paese, il 1° dicembre 2014 l’alba è sorta una seconda volta, sul canale 33 del digitale terrestre italiano.
Quattro giorni prima, il 26 novembre, dal The Mall di Milano era andata in onda la serata di gala inaugurale (per chi vuole farsi un’idea c’è su Youtube). In un’atmosfera da discount, e di fronte a Nicole Kidman, Simona Ventura aveva presentato entusiasta lo squadrone italiano della nuova rete italiana: Pupo ai game-shows, Sabrina Ferilli al talk-show di punta, Antonio Caprarica all’informazione, Giancarlo Padovan alla testata sportiva. A tal proposito va ricordato che giusto qualche mese prima Becchetti aveva comprato il Leyton Orient, una squadra londinese di terza categoria ma con un discreto blasone storico; è attorno a questa che è stato costruito l’omonimo “talent-show” di Agon Channel: conduce Simona Ventura, ospiti fissi, s’intende, Nicola Berti, Fabio Galante e Fulvio Collovati.
Eccezion fatta per i volti, ad Agon Channel Italia tutto ma proprio tutto è albanese: gli studi, il personale, i format sono prodotti nei capannoni di Tirana. Lo ha spiegato molto bene lo stesso Antonio Caprarica, quando, a sole due settimane dall’inizio dei lavori, si è dimesso dalla direzione del TG di rete: “Mi avevano promesso una struttura rispondente agli standard internazionali e mi sono ritrovato a montare i servizi nei container, con una redazione di nove persone che doveva realizzare tutti i TG, due ore di programma del mattino e un’ora di approfondimento serale. Più che la TV del futuro è la TV delle repliche... Mi sono dimesso per giusta causa, per la mancanza assoluta delle strutture e del personale minimi per mandare in onda e confezionare un TG. Se questa è la TV del futuro, io non intendo starci….”.
Un futuro proposto all'Albania, ma, dal primo dicembre anche all'Italia. Passando davanti ai container di Agon Channel, Fadil, coetaneo, tassista e politologo di fiducia, si è concesso il piacere della vendetta: “Con tutto lo schifo che ci avete messo in testa, finalmente qualcosa vi torna indietro! Vi piace?”.
Tv e rifiuti
Su Agon Channel e sugli investimenti che lo tengono in piedi non è ancora stato fatto un serio lavoro d’inchiesta giornalistica. Secondo Riccardo Pelliccetti, che con un articolo apparso su “Il Giornale” nel dicembre scorso ha gettato il sasso nello stagno, nel 2013 la rete avrebbe registrato ricavi per circa 35.000 euro e perdite per quasi 4 milioni, mettendo sul piatto altri 8 milioni di investimenti.
Due anni fa, ai tempi di Alessio Vinci – che nel frattempo ha lasciato – il fenomeno italo-albanese era stato seguito con allegra curiosità dai media nazionali. Oggi la temperie giornalistica è decisamente diversa ed in molti hanno tenuto a sottolineare che Becchetti in Italia è anzitutto noto per essere il nipote di Manlio Cerroni, “il Supremo” proprietario della discussa discarica di Malagrotta (infine chiusa dal sindaco Marino nel settembre 2013) che circa un anno fa venne arrestato nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione dei rifiuti del Lazio. Complice l’estetica “anni Ottanta” del canale – che presta facilmente il fianco alle più feroci ironie giornalistiche – sul web e sulla carta stampata i paralleli tra i rifiuti dello zio e la TV del nipote si sono via via moltiplicati.
Il patron Becchetti sulla questione è però chiaro. In una recente intervista a Il Fatto Quotidiano sottolinea che gli attacchi sarebbero partiti non appena si è capito che Agon Channel poteva ritagliarsi anche in Italia una fetta del mercato.
Un altro scambio è possibile
Camminando sul tappeto rosso dell’inaugurazione, patron Becchetti, imbeccato dall’ex “Grande Fratello” albanese che lo intervistava, ha dichiarato: “C’è tanta Albania in questa televisione, nasce una televisione europea, una dedica grande va anche al popolo albanese”. Questa frase è un’impostura morale. Agon Channel è infatti più banalmente il passato di un paese che era ricco spacciato per futuro in un paese ancora povero.
Occorre confrontarsi col fatto che in Albania l'Europa venga impugnata per promuovere questo genere d’impresa economica. È certo vero che grazie ad Agon Channel qualche centinaio di ragazzi lavora. Ma questo tipo di relazione economica, che scaturisce da interessi immediati, non va camuffata da investimento, perché non implica alcuna strategia, alcun rapporto, alcuna progettualità di lungo periodo. Per com’è stato concepito, Agon Channel è infatti un cerchio chiuso fine a se stesso: il basso costo della manodopera albanese servirà sempre e solo a siglare contratti stellari con vetuste star italiane.
A vent’anni suonati dal film di Amelio, i due paesi avrebbero l’occasione di lavorare insieme ad un altro scambio italo-albanese: l’Italia in Albania avrebbe tutto lo spazio per ritagliarsi un sano primato culturale ed economico, e l’Albania, che ha sì bisogno di investimenti e di esperienza estera, nel 2015 deve semplicemente smetterla di credere che il benessere e il lavoro arrivino da fuori e dovrà smetterla di mendicare senza distinzione capitali esteri, canticchiando ai quattro venti “niente tasse e sindacati in Albania”. Il fenomeno Agon Channel è anche il risultato di questa non-politica.