Dal nord dell'Albania in Macedonia e poi Spagna e Messico, sino infine arrivare negli Stati Uniti. Le autorità albanesi, in collaborazione con quelle statunitensi, hanno individuato una rete di trafficanti di esseri umani. "Ma finché c'è la povertà, il traffico continuerà", dice uno di loro. Un'inchiesta di BIRN
(Articolo orginariamente pubblicato da BalkanInsight il 19 marzo 2015, titolo originale Gangs Grow Rich on Smuggling Albanians to New York )
A Bajza, cittadina nella regione albanese di Malsia e Madhe, la casa a tre piani della famiglia Malaj è quasi vuota. Il proprietario, Paloke Malaj, padre di sei figli, vive in una delle stanze con la moglie e il figlio adolescente. Il resto della famiglia è emigrato negli Stati Uniti o in Canada.
“Detroit, New York, Florida e Toronto, ecco dov'è la mia famiglia ora”, racconta Malaj. “Sono tutti emigrati illegalmente in cerca di una vita migliore”, aggiunge.
Malaj fa il contadino, passa i suoi giorni a curare la sua terra e ad aspettare notizie dall'America. Secondo i suoi calcoli, 124 dei 164 membri della sua famiglia allargata vivrebbero ora o negli Stati uniti o in Canada. Tra questi 4 delle sue figlie.
Malaj ha speso 80.000 dollari negli ultimi otto anni per spedire i figli al di là dell'oceano. L'unico a essere ancora con lui è il figlio adolescente, ma arriverà anche per lui il tempo di partire. “Vogliamo che prima termini la scuola ma lui desidera già partire per gli Stati Uniti”, racconta Malaj con rassegnazione.
Sono emigrati anche molti dei suoi vicini. Ed hanno chiuso a chiave le loro case ai piedi delle cosiddette Montagne maledette, le Alpi albanesi. “Tutti se ne vanno, nessuno tornerà mai indietro”, afferma Malaj. Ormai è da due decenni che l'emigrazione caratterizza questa regione molto povera del nord dell'Albania, al confine con il Montenegro, sin da quando il regime comunista è collassato e i confini del paese sono stati aperti.
Alcuni, come ad esempio lo zio di Paloke Malaj, se ne sono andati già durante il regime comunista, nonostante le minacce di rappresaglia nei confronti dei componenti della famiglia che rimanevano in patria. Negli ultimi anni però l'emigrazione dalla regione di Malsia e Madhe verso gli Stati Uniti è cresciuta esponenzialmente, facilitata dalle reti criminali che gestiscono il traffico di migranti.
In un documento dell'ambasciata Usa a Tirana, inviato alla polizia di stato albanese nel gennaio 2014, si affermava che il numero di migranti clandestini catturati al confine tra Stati Uniti e Messico è cresciuto di dieci volte, nel 2013, rispetto all'anno precedente. Documenti ufficiali ottenuti da BIRN testimoniano che il numero di migranti albanesi bloccati al confine Usa-Messico è stato, nel 2012, di 56. L'anno successivo si è saliti a 487.
Nonostante i cittadini albanesi siano solo una frazione dei migranti che tentano ogni anno di attraversare quel confine, la rotta da loro percorsa, che attraversa tutta l'America centrale, ha sollevato l'attenzione della autorità statunitensi.
Un report riservato della US Customs and Border Protection Agency rivela che centinaia di migranti albanesi avrebbero utilizzato questa strada per entrare negli Usa illegalmente tra il 2009 e il 2013.
Negli Usa via Spagna e Messico
A seguito del report dell'ambasciata Usa a Tirana, la Procura per crimini gravi albanese ha promosso un'inchiesta per identificare le organizzazioni di trafficanti che conducevano l'emigrazione clandestina verso gli Stati Uniti. Attraverso l'infiltrazione di un agente sotto copertura e l'uso di intercettazioni la procura è riuscita ad identificare le vie e gli intermediari che rendevano possibile trafficare centinaia di persone dalla regione della Malsia e Madhe fino agli Stati Uniti.
Nel maggio 2014 la polizia ha arrestato 15 sospettati di essere membri dell'organizzazione che utilizzava documenti falsi per favorire l'immigrazione negli Usa.
Il viaggio iniziava in Albania, diretto in Macedonia, Bulgaria, Austria e Spagna, paesi verso i quali si può viaggiare liberamente con passaporto albanese, grazie all'abolizione dell'obbligo del visto concordata con le istituzioni europee.
Dalla Spagna poi i migranti volavano in Messico, con falsi passaporti bulgari, documenti che venivano poi restituiti ai trafficanti una volta che i migranti mettevano piede in America.
Altre due vie del traffico passano dal Guatemala, dal quale poi i migranti viaggiano per settimane in autobus e treno per raggiungere il confine Messico-Usa. Le indagini della procura albanese evidenziano che i trafficanti utilizzano anche punti d'appoggio nel Centro America. Nell'autunno del 2012 tre cittadini albanesi originari del comune montano di Kelmend, sempre nella regione della Malsia e Madhe sono stati bloccati all'aeroporto di El Salvador, con passaporti bulgari falsificati. I tre sono stati fatti ritornare in Bulgaria. Il 22 dicembre del 2012 erano però negli Stati Uniti, dove hanno depositato la loro richiesta di asilo.
Secondo le testimonianze che hanno rilasciato al US Homeland Security Deparement, nel loro secondo tentativo hanno viaggiato dall'Albania alla Bulgaria e poi in Spagna dalla quale hanno volato verso il Costa Rica e poi l'Honduras. “In Honduras abbiamo preso un autobus e abbiamo attraversato il Guatemala e siamo arrivati in Messico 17 gironi dopo aver lasciato l'Albania”, ha raccontato uno dei migranti. “Abbiamo attraversato il confine tra Messico e Stati Uniti a piedi”, ha aggiunto.
I tre vivono ora nel Bronx, con domande d'asilo pendenti e postano spesso aggiornamenti sulle loro vite a New York su Facebook.
Tanti soldi per i trafficanti
La procura albanese ha incriminato sei persone, tra le quali anche un cittadino macedone, accusandoli di far parte del traffico e di aver contribuito all'emigrazione clandestina verso gli Usa di centinaia di persone, originarie della regione della Malsia e Madhe, tra il 2012 e il 2013.
Uno dei trafficanti, che ha parlato a BIRN sotto condizione di anonimato, ha affermato che ogni migrante pagava per il viaggio circa 25.000 dollari. I migranti in viaggio illegalmente verso gli Usa e identificati dalle autorità hanno quindi generato, nel solo 2013, entrate per la rete di trafficanti per 12 milioni di dollari.
“Molti dei migranti hanno parenti e familiari negli Stati Uniti, sono loro a pagare il conto”, ha spiegato il trafficante. “Una volta negli Stati Uniti lavorano duro per un anno o due per ripagare il loro debito”, ha aggiunto.
Lo schema crea un effetto domino: dopo aver ripagato il loro debito i nuovi arrivati finanziano il viaggio ad altri membri della famiglia.
Tornando a Bajza, Paloke Malaj ha confermato a BIRN di aver pagato ai trafficanti 25.000 dollari appena ricevuta la telefonata della figlia che confermava il suo arrivo negli Stai Uniti e che tutto era andato per il meglio. La procura albanese ritiene che, oltre ai trafficanti, giochino un ruolo cruciale anche gli intermediari che garantiscono che i soldi verranno pagati una volta che i migranti arrivano negli Usa.
Nonostante le azioni volte a contrastare il traffico di migranti il trafficante ha affermato a BIRN che a suo avviso tutto andrà avanti come prima e che cittadini albanesi originari delle regioni povere del nord continueranno a migrare illegalmente verso gli Usa. “Il desiderio di andarsene è alto, ci sarà sempre qualcuno pronto a facilitarlo”, ha affermato.
Paloke concorda, argomentando che la cosa più difficile è procurarsi i soldi: “La cosa importante è avere i soldi, dopodiché tutto il resto è fattibile”.
Viktor Popaj, sindaco del comune di Kastrat, nella regione della Malsia e Madhe, accusa il governo albanese per l'esodo: “La gente se ne va perché non ci sono prospettive lavorative. Sono le politiche scadenti del governo albanese che obbligano molti a lasciare le loro case”.
New York meglio del Texas
Il Pew Research Center stima che siano stati 11.2 milioni i clandestini presenti negli Stati Uniti nel 2012, la maggior parte dei quali originari del Messico e dell'America Centrale.
Molti tra gli albanesi che riescono ad entrare illegalmente negli Stati Uniti cercano di ottenere diritto alla residenza tramite le richieste di asilo. Lo US Homeland Security Department ha vari criteri che vengono seguiti nel concedere lo status di asilo. Spetta nell'ordine ad un funzionario dell'immigrazione, ad una commissione d'appello e a un giudice decidere se il richiedente rientra nella categoria di rifugiato.
Quest'ultimo è chi “non è in grado o non vuole ritornare al proprio paese a causa di persecuzioni o una fondata paura di persecuzioni quale conseguenza della razza, religione, nazionalità, appartenenza ad uno specifico gruppo sociale o a causa di una specifica opinione politica”.
Se il richiedente si presenta volontariamente davanti ad un funzionario dell'immigrazione, dopo essere entrato illegalmente negli Stati Uniti, può consegnare una richiesta di asilo cosiddetta “affermativa”; se invece sono le autorità a catturarlo deve presentare una memoria difensiva per non essere espulso.
Dati dell'US Office of Immigration Statistics dimostrano che tra il 2004 e il 2013 le autorità Usa hanno garantito 3.782 richieste d'asilo a cittadini albanesi. Di queste 3.422 erano “affermative”, 486 “difensive”.
Un traduttore che lavora presso la Federal Immigration Court, che ha parlato a BIRN sotto condizione di anonimato, ha raccontato che i migranti albanesi, se entrati nel paese illegalmente, si rivolgono al Department of Homeland Security, spesso nello stato di New York, e consegnano la loro richiesta di asilo.
“Gli albanesi temono i giudici del Texas, mentre le corti di New York sono percepite come più liberali nei confronti delle richieste di asilo", ha chiarito. Secondo il traduttore molti albanesi originari della regione della Malsia e Madhe, tradizionale roccaforte dei partiti di centro-destra, spesso giocano la carta della repressione politica nelle loro richieste d'asilo.
“L'assassinio nel 2009 del responsabile per la regione Malsia e Madhe dei Cristianodemocratici, Aleks Keka, sta ancora producendo, oltre oceano, tante carte verdi", sottolinea. “Altri elementi giuridici o extragiuridici utilizzati nelle richieste riguardano il cosiddetto codice tradizionale della vendetta", ha aggiunto.