Da una parte l'apertura sul fronte dei visti, dall'altra la bocciatura della candidatura per l'ingresso nell'Ue. In questi giorni sull'asse Bruxelles-Tirana messaggi contrastanti. Sullo sfondo l'impasse politica albanese, che sembra ancora lontana dal risolversi
La carota
Come previsto lo scorso 8 novembre, a Bruxelles, i ministri degli Interni e della Giustizia dei paesi Ue hanno votato all'unanimità in favore della liberalizzazione dei visti per i cittadini di Bosnia Ezegovina e Albania. La decisione, che entrerà in vigore il prossimo 15 dicembre, è stata accolta in Albania con grande entusiasmo: si è arrivati ad installare nelle strade della capitale insegne stradali (a discapito del traffico cittadino) che indicano la direzione verso diverse capitali dello spazio Schengen e la loro distanza da Tirana. Tutto per sottolineare che finalmente le barriere sono state abbattute e l'Albania si è effettivamente avvicinata all'Unione europea.
“This is a miracle of freedom” ha commentato in inglese il premier Berisha, riciclando un suo slogan elettorale utilizzato nella campagna elettorale delle elezioni politiche nel 2009. “We won the race” è stato l'altro slogan, riferito alla sua promessa elettorale durante la summenzionata campagna elettorale.
Da parte sua l'opposizione ha continuato a sminuire il merito del governo Berisha, basandosi sul fatto che gli albanesi sono gli ultimi a vedersi aprire le porte dell'Ue – e solo per brevi periodi di permanenza - e ricordando quanto affermato dal commissario europeo per l'Allargamento Stefan Fuele: “La liberalizzazione dei visti non è un voto positivo ai politici albanesi, bensì una concessione fatta ai cittadini dell'Albania”.
Il premier ha inoltre organizzato un concerto nel centro della capitale, previsto per lo scorso 9 novembre, poi però posticipato a causa del lutto nazionale a seguito di un tragico incidente che ha coinvolto un autobus diretto ad Atene, in cui hanno perso la vita 9 persone e altre 40 sono risultate gravemente ferite. L'incidente, che ha avuto luogo lungo uno degli assi internazionali principali del paese, che connette l'Albania alla Grecia, ha decisamente sminuito l'entusiasmo per la liberalizzazione dei visti, riportando alla luce la situazione penosa di una strada abbandonata a se stessa e molto pericolosa, via su cui passano gli scambi commerciali via terra più rilevanti tra l'Albania e i suoi vicini.
Molte le autorità di Bruxelles che si sono recate in Albania in questi giorni. Per congratularsi con il paese balcanico ma anche per ricordare che il regime dei visti liberalizzati è revocabile, se i cittadini ne abuseranno recandosi nei paesi Schengen per rimanervi più dei 90 giorni ogni 6 mesi consentiti. E' stato più volte ribadito che la liberalizzazione non è una via di fuga per motivi economici o familiari e che non saranno accolte eventuali richieste d'asilo poiché l'Albania non presenta una situazione di violazione dei diritti umani tanto grave da poterle giustificare. Inoltre è stato spiegato più volte che molto sarà lasciato alla discrezione delle polizie di frontiera, che avranno il diritto di respingere i cittadini sospetti. Gli albanesi dovranno, prima di partire, aver prenotato anche il biglietto di ritorno e dovranno dimostrare di disporre di una somma di denaro sufficiente per affrontare le spese di vitto e alloggio durante la permanenza in un paese Schengen.
A sgonfiare l'entusiasmo degli albanesi, ricordando che rimarranno comunque dei cittadini di serie B, è stato il caso di una coppia di macedoni rimasti bloccati all'aeroporto di Bruxelles per circa una settimana. La coppia di anziani, originari di Zelina, nei pressi di Tetovo, si era recata in Belgio per visitare il proprio figlio, residente permanente nella capitale belga. Le autorità di frontiera però hanno impedito loro di uscire dall'aeroporto poiché non disponevano del biglietto di ritorno e poiché avevano in tasca una somma di denaro inferiore a quella necessaria. Mancavano loro solo 52 euro per raggiungere tale ammontare e le garanzie finanziarie date in un secondo momento dal figlio non hanno cambiato la situazione. La corte di primo grado a Bruxelles ha dato ragione ai cittadini macedoni, dando loro il diritto di muoversi liberamente nello spazio belga. Ma gli anziani, una volta vinta la causa, offesi ed esausti, hanno preferito rimpatriare annullando così anche gli effetti del risarcimento deliberato dal tribunale.
Secondo le stime degli esperti di turismo in Albania, si prevede che circa il 20-30% degli albanesi usufruirà dei diritti del regime dei visti liberalizzati nelle prossime festività natalizie. Edvin Kepi, direttore della compagnia aerea low cost Belle Air, prevede un aumento dei voli in partenza da Tirana: “Per le feste di fine anno, per la prima volta ci sarà più gente in partenza da Tirana, che gente che rientra per trascorrervi le festività, come è avvenuto finora”.
Non sarà comunque tutto rose e fiori. Secondo molti economisti del paese, il fatto che vi saranno più scambi con lo spazio Schengen implica che gli albanesi spenderanno di più all'estero, invece di spendere in casa propria come avveniva tutti gli anni nei periodi festivi. Non solo: la conversione della moneta nazionale in euro farà sì che il lek continui a svalutarsi rispetto all'euro, già molto forte nel mercato albanese. Di conseguenza i prezzi aumenteranno in più settori, causando più o meno gli stessi effetti negativi che si erano paventati nell'ipotesi di qualche anno fa dell'introdurre l'euro in Albania.
Il governo prevede invece più scambi reciproci tra gli albanesi e i paesi Schengen e anche più investimenti in Albania.
Il bastone
Il 9 novembre, all'indomani della liberalizzazione dei visti, da Bruxelles è arrivata però una doccia fredda. La richiesta dell'Albania di acquisire lo status di paese candidato è stata bocciata. E' stata invece accolta quella del Montenegro. Tra i motivi del rifiuto, risultano inadempiuti i criteri di Copenaghen. Traduzione di Pierre Mirel, direttore della DG allargamento che si occupa di Balcani occidentali: mancanza di stabilità istituzionale; problemi nel rispetto dell'indipendenza della magistratura.
Buoni voti invece sulla crescita economica, ma problematico il debito pubblico che risulta molto alto. Non costituiscono una novità invece corruzione, arbitrarietà politica nell'amministrazione pubblica e la mancata riforma elettorale in vista delle prossime amministrative. Tra i punti che hanno colto l'attenzione di alcuni giornalisti sono state le sottolineature fatte sui diritti delle minoranze e anche la stigmatizzazione dei pessimi rapporti con i vicini balcanici, entrambi settori ritenuti come un punto forte di tutti i governi albanesi nell'ambito del principio “l'Albania, fattore di stabilità nei Balcani”.
In realtà nessuno si aspettava un esito positivo alla richiesta di candidatura dell'Albania. Nemmeno Berisha che commentando la questione durante il talkshow Opinion su TV Klan ha affermato di non aver mai promesso la candidatura dell'Albania all'Ue durante la campagna elettorale del 2009.
Il rifiuto della candidatura dipende soprattutto dalla profonda crisi politica che regna nel paese balcanico dal giugno 2009. Alla base il conflitto tra la maggioranza di Berisha e l'opposizione con a capo Edi Rama. Quest'ultima boicotta i lavori parlamentari contestando la legittimità delle politiche del 2009 e richiedendo il riconteggio di parte dei voti.
Nel corso di circa un anno e mezzo, l'Albania è diventato un paese in cui per mancanza di una vera e propria dialettica parlamentare maggioranza-opposizione molte leggi finiscono per essere emanate sotto forma di delibere dell'esecutivo. Il Partito socialista di Edi Rama e i suoi alleati hanno seguito un corso politico incostante, boicottando il parlamento, rientrandovi, organizzando varie manifestazioni e non è mancato uno sciopero della fame. Tutto avvenuto in maniera tanto incoerente da rendere di difficile comprensione i veri obiettivi dell'intransigenza sul riconteggio delle urne contese.
Della paralisi politica albanese si sono accorti di recente anche a livello internazionale. Come nei famigerati anni '90, un gruppo di eurodeputati tra cui Doris Pack, si è fatto carico del difficile compito di negoziare tra le parti. Il risultato è stato un totale fallimento, finito con scene di isteria, mai viste prima sugli schermi albanesi: eurodeputati che abbandonavano i negoziati, con irritazione, dicendosi delusi, lasciando le parti a bollire nel proprio brodo.
L'opposizione annuncia nuove manifestazioni. A Orikum, nel sud del paese, hanno avuto luogo diversi scontri tra i cittadini e le forze speciali della polizia, nel corso di una manifestazione contro il governo e il modo arbitrario con cui sono stati gestiti i terreni turistici, in una delle zone più belle del paese. Spartak Ngjela, portavoce dell'opposizione, afferma che ciò che sta avvenendo a Orikum è il modello che verrà seguito anche nel resto del paese, con l'obiettivo di mandare a casa Berisha.
Nonostante la determinazione palesata dall'opposizione negli ultimi giorni, il leader del Partito socialista Edi Rama ha stupito tutti rinunciando all'apertura delle urne e pretendendo questa volta solo la presa in esame del materiale elettorale. Rama ha anche partecipato ad un incontro con Berisha sulla riforma elettorale. Difficile dire se la moderazione manifestata da Rama sia un risultato della doccia fredda arrivata da Bruxelles o semplicemente la punta dell'iceberg dei soliti compromessi pre-elettorali in vista delle prossime amministrative. Allo stesso tempo Rama ha affermato di voler presentare una mozione di sfiducia al governo Berisha, dando in tal modo ragione agli analisti che leggono nel suo comportamento politico l'ambizione a diventare premier.
L'ex artista di recente ha “reinventato” molti aspetti della sua immagine pubblica: all'insegna della moderazione. In ottobre il politico sessualmente più libero del paese si è visto organizzare un matrimonio maestoso e tradizionale con la donna con cui convive da tre anni. Fatto interpretato da molti come mossa elettorale: puntare sulla carta della “normalità” per conquistare l'elettorato rurale e conservatore fuori Tirana, con cui Rama dovrà fare i conti se sceglie di voler governare il paese.
Comunque sia, la crisi istituzionale attuale lascia poco spazio all'ottimismo. E da Bruxelles, per il futuro, non si attendono buone notizie.