Ha fatto parte di Mjaft, principale ONG albanese, ma è ormai molto critico verso i movimenti della società civile. Ed ha deciso di darsi alla politica. Arbër Zaimi è tra i fondatori dei "Radicali di sinistra", movimento che si propone la lotta al fianco degli oppressi e l'unione di tutti gli albanesi. Nostra intervista
Lei è tra i cofondatori dei Radicali di Sinistra, dopo un passato di militanza in Mjaft, la principale ONG del Paese. Ci può raccontare il suo percorso?
Ho studiato scienze politiche all’Università di Tirana e dal 2000 ho lavorato nel mondo delle ONG albanesi. Ero pieno di buoni propositi quando ho iniziato, speravo che la transizione finisse e la realtà delle cose cambiasse. Invece ho scoperto un mondo dove molti degli attivisti della società civile erano legati al potere. Nonostante la società civile in Albania esista da vent’anni non ha contribuito a cambiare nulla. Le sue élite spesso sono corrotte, ma anche nel caso in cui non lo sono, non rendono effettivo il cambiamento. Questo non vuol dire che non sappiano quali siano i problemi di questa società e come agire, ma si autocensurano, per non dare fastidio a nessuno. E' una società civile che non mira al cambiamento qualitativo ma a quello quantitativo.
Cosa significa cambiamento quantitativo?
Il modo di ragionare è basato esclusivamente sul numero di persone che vengono aiutate. Un ragionamento su piccola scala. Ma questo non aiuta, i problemi rimangono. È un po’ come gli aiuti umanitari: se si mandano aiuti a Scutari tutte le volte che c’è un’alluvione, si risolve il problema solo temporaneamente. E questo si ripresenterà ciclicamente la prossima volta, e quella dopo ancora.
Bisogna invece colpire le cause che provocano il problema. Su questo la società civile albanese è divisa. C’è chi la pensa come me e ci sono altri che ritengono che in realtà la società civile non può cambiare nulla ma che deve agire in piccolo. Spesso infatti i politici dicono: “ Vabbeh ma voi criticate solo... e perché non proponete qualcosa?” Noi radicali invece pensiamo che criticare sia un buon inizio per proporre qualcosa di diverso.
Però anche voi siete parte di questa società civile…
Innanzitutto bisogna rivedere il termine società civile. Non dev’essere una concezione esclusiva. Anche noi, mentre siamo svolgendo quest’intervista, in qualche modo stiamo costruendo "società civile".
Tornando ai Radicali, noi siamo qui perché abbiamo idee in comune e non perché ci ha unito il finanziamento di una fondazione straniera... Abbiamo fondato l’Istituto Gramsci, che propone un taglio critico, accademico e cerchiamo di attivare un dibattito sui temi importanti della società albanese. Nel frattempo abbiamo fondato un settimanale gratuito, titolato Gazeta. Siamo anche in rapporti molto stretti con Vetëvendosje. Non siamo un’ONG ma non siamo neanche un partito politico, piuttosto siamo un gruppo politico. Noi facciamo politica. Non escludo che in futuro diventeremo un partito. Per il momento siamo impegnati con la base, con la diffusione del pensiero critico.
Com’è nato tutto ciò?
Abbiamo creato l’istituito un anno fa, e anche il giornale Gazeta. Eravamo un gruppo di ragazzi, alcuni venivano dalla società civile, da Mjaft, altri venivano dai partiti politici, altri erano esperti di vari settori. In realtà abbiamo dei background molto diversi. Ma ci unisce la delusione dalle nostre esperienze precedenti, le idee comuni e la fiducia che si può fare qualcosa.
Perché ha lasciato Mjaft?
Ho fatto parte di Mjaft fino al 2008. Poi ho smesso di farne parte per impegni di lavoro, avevo iniziato a lavorare come giornalista per diversi media albanesi. Però sono molto critico nei confronti di Mjaft. Non voglio certo criticare tutto, perché alcune cose sono state fatte bene. Ma quello che mi fa prendere le distanze è che Mjaft non ha causato alcun cambiamento nella società albanese. In qualche modo ha fallito.
A cosa si deve questo fallimento?
Perché si è occupata dell’apparenza dei problemi, non delle cause. Per esempio: vogliamo parlare dell’inquinamento, parliamo di cosa lo causa, non del fatto che qui è tutto inquinato e noi cerchiamo di rimediare con delle campagne di pulizia collettiva, mobilitando dei volontari. La denuncia deve andare alla politica che ha permesso l’apertura di una fabbrica inquinante. Una volta costruita la fabbrica non ha molto senso mettersi a pulire e denunciare l’inquinamento.
Cosa pensa del processo penale a carico di Erjon Veliaj, leader pluriennale di Mjaft, accusato di aver mal gestito le risorse dell’ONG?
Non sono in grado di dare un giudizio su questo. Non ho seguito la questione. Ma sicuramente corruzione e mancanza di trasparenza non sono nulla di nuovo nella società civile. Ma non credo che Mjaft sia tra le organizzazioni corrotte perché è stata molto monitorata dai suoi finanziatori internazionali che non permettono giochi di questo tipo. Non penso che la società civile sia un paradiso per chi se ne vuole approfittare. Piuttosto le mie riserve nei confronti di Veliaj riguardano la mancanza di visione. Veliaj è approdato nella società civile come qualcosa di assolutamente nuovo, ma poi non è riuscito a cambiare nulla.
Questo perché si era detto che i giovani come Veliaj erano la nuova élite di cui aveva bisogno il Paese? Quel tipo di élite una volta entrata nella società civile o in politica ha fallito?
No, non sono d’accordo con questo. Che si tratti di giovani o di meno giovani, è il modo di rapportarsi con la gente che non ha funzionato. Quello che noi vogliamo introdurre come novità è che la gente si faccia avanti con i suoi problemi. L’unico modo è quindi farsi avanti con dei movimenti comunitari. Rappresentare le categorie sociali, gli operai, gli studenti. Non solo i businessmen e gli uomini al potere. I partiti non rappresentano questi interessi.
Voi vi definite di sinistra radicale. Come viene percepito questo in Albania?
C’è una tendenza a voler denigrare la sinistra radicale. Ed è una tendenza non solo in Albania ma anche nell’Europa occidentale. Si tende a identificare il comunismo con lo stalinismo. Mentre lo stalinismo è solo un dettaglio, una piccola parte di questo.
Potevamo anche utilizzare un altro termine, ad esempio farci chiamare semplicemente “Centro sociale”, o qualcos’altro, ma sarebbe stato un inganno. Invece bisogna spiegare alla gente che la sinistra non è solo questo. Bisogna avvicinare alla gente i teorici, i filosofi di sinistra.
Noi siamo critici nei confronti del sistema di Enver Hoxha perché in realtà era un sistema di capitalismo corporativo. Non ci scandalizza che fosse contro la proprietà privata ma piuttosto che abbia comunque creato una borghesia esattamente come avviene in un tipo di capitalismo cooperativo.
Non pensiamo di fare la rivoluzione, la storia non si ripete. Quello che bisogna fare deve essere contestualizzato nello spazio e nel tempo, quindi nella società, rispettando le sue esigenze attuali. C’è bisogno di rivoluzionare il modo di fare politica ad esempio, il modo in cui si agisce nella società civile. E noi su questo siamo radicali. Non vogliamo scendere a compromessi.
Quanta gente aderisce al vostro movimento?
Non abbiamo tessere ma vediamo che c’è molto interesse. Vediamo quanta gente legge la Gazeta e quanta gente partecipa alle nostre attività. Siamo presenti anche in altre città oltre a Tirana, abbiamo i nostri legami nelle università. Molti dei nostri attivisti insegnano in università sia private che statali.
Quali sono i vostri mezzi di finanziamento?
Affidiamo tutto esclusivamente a contributi personali. Ad esempio per il settimanale scriviamo tutti gratis e paghiamo la pubblicazione. C’è un gruppo di circa 200 persone che contribuisce mensilmente.
Quali sono i vostri rapporti con Vetëvendosje di Albin Kurti?
Albin è un caro amico. Una parte dei nostri attivisti fa parte del RrOSh, di cui è parte anche Vetëvendosje. È stato lì che ci siamo conosciuti, abbiamo stretto un rapporto molto intimo e abbiamo esteso questo tipo di legame anche a un altro gruppo in Macedonia. Siamo tutti parte del RrOSh anche grazie all’interesse che abbiamo per le vicende che riguardano gli albanesi in tutte le terre albanesi.
Che tipo di vicende?
Siamo un'unica nazione, parliamo la stessa lingua, condividiamo gli stessi problemi, siamo repressi dalle élite al potere, così in Albania quanto in Kosovo e in Macedonia. La repressione è un fattore molto importante di questo sentire comune. Se necessario collaboreremmo anche con serbi, greci o altri che condividano gli stessi punti di vista e gli stessi problemi. Non crediamo infatti alle divisioni nazionaliste. Siamo per la liberazione degli oppressi.
Un po’ come sta avvenendo col Kosovo che è in qualche modo oppresso dalle missioni internazionali, che limitano la sovranità del popolo kosovaro. Consente solo a un minimo gruppo di persone di guidare il Paese in maniera autoritaria. Persone con background molto discutibili, ma irremovibili dalle loro posizioni poiché sono servi degli internazionali che perseguono i propri interessi. Questo è un problema che abbiamo ovunque. Quindi noi siamo per la solidarietà degli oppressi. E per questo stiamo cercando di mobilitare più gente possibile. Siamo inoltre in contatto anche con gli albanesi migrati all'estero.
Vetevendsoje e RrOSh mirano all’unificazione di tutti i territori dove vivono gli albanesi nei Balcani. Voi cosa ne pensate?
Condividiamo il punto di vista di Vetëvendosje: il popolo deve essere sovrano. Il popolo si deve esprimere. E ora sta avvenendo il contrario. Quindi gli albanesi devono decidere da soli se vogliono vivere o meno sotto lo stesso stato. E la stragrande maggioranza degli albanesi lo vuole. Tra l’altro questo è un progetto politico iniziato sin dai tempi della Rilindja, dai padri della nazione, e finché non sarà messo in atto l’Albania non sarà una nazione compiuta. Sparsi in questo modo, l’Albania e gli albanesi, oltre a non riuscire ad avere una propria stabilità politica, saranno sempre uno strumento in mano a chi vorrà intervenire per approfittarsene. È una missione iniziata circa 100 anni fa. Quello che ci interessa raggiungere in questo modo è lo sviluppo economico, che renderebbe l’Albania più importante a livello internazionale. Ora invece siamo troppo piccoli.
Si dice contro i nazionalismi ma il suo si potrebbe definire un discorso nazionalista...
No, non è nazionalista. È un discorso di sinistra, è per l’emancipazione dei popoli. Quelli che hanno liberato l’Algeria dalla Francia non possono essere chiamati dei nazionalisti. Neanche i bolivaristi. Se si tratta di repressione è legittimo ribellarsi.
Escludete che possa avere delle conseguenze disastrose per i Balcani? Le guerre in Jugoslavia sono iniziate proprio perché i popoli si volevano emancipare e mettersi ciascuno sotto lo stato etnico “compiuto” secondo i canoni dello stato-nazione …
Non è la stessa cosa. Gli equilibri dei Balcani, i confini come si è detto, con l’indipendenza del Kosovo sono già stati rimessi in discussione. Quindi è normale che si vada verso nuovi equilibri e verso questo tipo di unione.
Finora si è parlato pubblicamente del Kosovo e dell’Albania. Ma come la mettiamo con la Macedonia? E' una questione complessa, rischierebbe di implodere, si scatenerebbe nuova violenza...
In Macedonia la situazione è diversa sia rispetto al Kosovo che all’Albania. I partiti albanesi in Macedonia sono i partiti peggiori, sono dei traditori della comunità. Non si parla di destra o di sinistra. Si interessano solo del potere, infatti sono i primi a scendere a patti ogni volta che si forma un nuovo governo. Questo fa sì che gli albanesi in Macedonia siano i più repressi di tutti.
È difficile dire cosa succederà con la Macedonia, perché sin da ora è chiaro che si è creata una specie di egemonia dei macedoni sugli albanesi. Gli Accordi di Ohrid non sono soddisfacenti. In Macedonia si sta andando verso lo scontro. E' naturale che la comunità albanese verrà verso di noi. Perché è gente i cui diritti sono continuamente calpestati. È come nel caso del Kosovo, se la Serbia avesse reso possibile il rispetto dell’identità e della lingua albanese ai kosovari, sono sicuro che il Kosovo non aveva nessun motivo per separarsi dalla Serbia. La stessa dinamica sta avvenendo in Macedonia.