Un racconto sulla tragedia delle faide in Albania. L'autrice fa parte di Operazione Colomba, che da anni è al fianco delle vittime di questo fenomeno ed opera con competenza per favorire una soluzione
(Quest'articolo è stato originariamente pubblicato sul portale di Operazione Colomba)
Hanno gli stessi piedi: alluce grande, dita regolari, caviglia robusta. I talloni sono leggermente screpolati, le unghie hanno una patina opaca, polverosa, di chi cammina scalzo sul pavimento di una casa di contadini. Sono piedi solidi, ben piantati a terra, concreti. Passo dopo passo, Vittoria, Viola e Veronica, tre sorelle, fanno fatica ad alzarli sulla terra del cimitero assolato di giugno. Sono piedi pesanti, che portano il peso delle fatiche quotidiane, e di un lutto ingiusto.
In un pomeriggio di inizio estate, le tre sorelle si sono incontrate per ricordare l’anniversario della morte di una ragazza, uccisa da una faida senza senso. Vittoria – il nome altero a richiamare involontariamente le asperità del carattere – cerca di nascondere il dolore sotto la durezza della vita: manca il lavoro, mancano le possibilità economiche. Non lascia spazio nemmeno alle lacrime, anche se un paio sfuggono al suo controllo. In piedi, su quei piedi così uguali agli altri, resta immobile davanti alla lapide, salda, ripetendo all’infinito alla sorella di alzarsi.
I piedi di Viola, infatti, non hanno retto. Siede accasciata sulla tomba della figlia, i piedi infilati in vecchie ciabatte consunte, nere, come tutto il resto del suo guardaroba ormai. I singhiozzi le scuotono il corpo, mentre la mano destra accarezza senza sosta la grande pietra bianca. Dall’alto della fotografia accanto alle date di nascita e morte, la figlia pare osservare il dolore della sua famiglia con aria assente e distaccata. Veronica, la più giovane delle tre sorelle, si scioglie in pianto davanti all’intensità delle sofferenze. Viola non si dà pace: mille volte chiede perché, mille volte trova risposta nel pianto convulso. Si rivolge alla figlia, dicendole che non doveva tornare così, ma con un figlio in braccio. Il caldo è immobile e assordante. Veronica scuote dolcemente Viola, la fa tornare al mondo dei viventi.
Inizia una preghiera per i defunti, ma la voce piano piano si spegne in un bisbiglio. Le labbra si muovono appena, non esce nessun suono. Solo Vittoria resiste e scandisce i versi della litania. Ad ogni singulto di Viola, le intima di alzarsi in piedi. Hanno proprio gli stessi piedi: alluce grande, dita regolari, caviglia robusta. La carnagione è leggermente dorata, di chi vive all’aperto per lavorare la terra. Veronica sposta il peso da un piede all’altro, con l’indecisione di chi non sa se deve intervenire o se è meglio lasciar sfogare la sorella. Calza ballerine a punta nere, vezzose, molto consumate dall’uso; sono le scarpe di chi deve tornare a lavorare al bancone del bar, e, nonostante il dolore di un cimitero, deve essere sempre in ordine e sorridente per servire il caffè. Consola la sorella, poi si ritrae nei suoi pensieri, ondeggia sulle sue ballerine, le guarda, guarda per terra.
Quei piedi sono proprio uguali: alluce grande, dita regolari, caviglia robusta. Le unghie sono larghe e lisce, mostrano la terra accumulata giorno dopo giorno nell’orto. Veronica trae dal sacchetto le bottiglie e versa da bere agli ospiti. Si fa così, si beve un bicchiere sulla tomba dei defunti. Si alza sulle punte ammaccate delle sue ballerine nere e versa qualche goccia di raki sulla lapide, estrae dal sacchetto un paio di arance e le depone accanto ai ceri, proprio sotto il grande cuore di marmo che sovrasta la pietra tombale. Poco più in là, ha adagiato un mazzo di oleandri freschi raccolti al mattino nel giardino di casa. Profumano d’estate, gli oleandri. Viola riesce a staccarsi dal marmo, la preghiera è finita, il dolore si è acquietato. Le tre sorelle disegnano con il dito una croce sulla tomba della ragazza, a conclusione della visita. I piedi di Vittoria, Viola e Veronica si rimettono in cammino. Vittoria tiene la schiena dritta e scandisce i passi; Viola trascina i piedi sulla ghiaia, appesantita dal fardello del lutto; Veronica procede veloce, non vuole trattenersi un minuto di più. Camminano con ritmi diversi, ma hanno gli stessi piedi: alluce grande, dita regolari, caviglia robusta. Sono i piedi di chi si rialza, e riprende a vivere.
* Sara Ianovitz è una volontaria di Operazione Colomba