Sara, volontaria di Operazione Colomba in Albania, racconta della sua ultima visita a una coppia che conosce da tempo, colpita dal Kanun, la cosiddetta "vendetta di sangue", che ha portato via loro due familiari. Il capofamiglia non ha perdonato ma non ha nemmeno deciso di vendicare le due morti
(Originariamente pubblicato su Operazione Colomba il 31 luglio 2019)
“Madamadorè ha perso sei figlie
[...]
paga il riscatto con le borse degli occhi
piene di foto di sogni interrotti”
(Volta la carta - F. De André)
L’ultima volta che avevo incontrato Gjon e Vera risaliva ormai a qualche mese prima, ero stata a trovarli poco prima di Pasqua e li avevo visti con le loro solite espressioni tristi stampate sul volto. Lui faceva fatica ad alzare gli occhi dal suo bicchiere di raki, che si rigirava tra le mani, con i pensieri avvolti nella sua solita nebbia di malinconia. Lei era arrabbiata con la vita, che le ha riservato bocconi amari da digerire, tra cui una figlia uccisa per una vendetta assurda che si è presa anche i suoi ricordi più belli.
Sono tornata oggi, in una giornata torrida di luglio, con il volante che bolle tra le mani e l’acqua che luccica nel lago steso ad asciugare alla sinistra della strada deserta.
Li trovo sorridenti, ricevere visite li rallegra. Superato il momento dei convenevoli di Vera, ci ritroviamo come sempre occhi negli occhi con Gjon, che maschera la timidezza sigaretta dopo sigaretta. Conosciamo entrambi il sapore della sua vita: lavoro saltuario, una figlia e il padre uccisi in montagna, due fratelli in carcere per aver tentato di compiere la vendetta che avrebbe riabilitato il suo onore. Gjon indossa sul volto l’espressione dell’inadeguatezza.
Sa di non aver saputo proteggere la figlia, di non provvedere al sostentamento della sua famiglia come vorrebbe, di non essersi assunto la responsabilità di prendere una decisione chiara per la vendetta di sangue che affligge la sua famiglia; non ha deciso di perdonare gli omicidi, ma non ha nemmeno deciso di vendicare le due morti. Ha lasciato agli altri l’azione, pur avendo lui, da tradizione, l’ultima parola sulla decisione finale. Gjon si è tenuto discosto, assumendo il ruolo afflitto di chi si sente immancabilmente nel posto sbagliato.
Qualcuno rompe il silenzio e chiede di vedere il nuovo album delle fotografie che è stato regalato a Gjon e Vera. La figlia piccola subito corre a prenderlo e ce lo mostra fiera delle ultime foto aggiunte. Pagina dopo pagina, l’album racconta la storia della famiglia: battesimi, cresime, fotomontaggi dei defunti per migliorarne l’immagine. Ci sono anch’io, parte di eventi condivisi che ci hanno visto ridere insieme.
A metà album compare una foto leggermente sfocata di una giovane coppia. Intuiamo dalle espressioni che sono Gjon e Vera, che confermano ridacchiando: si tratta della foto del loro matrimonio. Lei indossa spessi calzettoni di lana, uno scialle tradizionale azzurro sulle spalle e in testa ha un casco di ricciolini fuori tempo che le incorniciano il viso. Lui ha un’aria scanzonata e sorride leggermente imbarazzato da sotto un buffo taglio di capelli. E’ la faccia dell’emozione e dell’incoscienza, è la faccia di chi si sposa a vent’anni. Quasi a volersi giustificare, dice che in Dukagjin non c’erano barbieri all’epoca.
Il ritratto appartiene a un’altra epoca, era l’alba della speranza: l’Albania usciva dal grigiore della dittatura e si avvicinava curiosa all’Occidente, i suoi cittadini iniziavano a conoscere la libertà di movimento interna e la prima migrazione, e Gjon e Vera, sposandosi, ponevano le basi della loro futura vita insieme. Poi tutto è cambiato. Due omicidi hanno minato per sempre quella primavera di felicità, gettando la famiglia nel nero del lutto a vita.
L’album non segue un ordine cronologico, le foto sono incollate una dopo l’altra alla rinfusa, come in una scatola. E ogni pagina suscita emozioni diverse, in un’alternanza di contrasti, in un susseguirsi di gioia e di dolore. Mi accorgo che l’accostamento casuale ha un vantaggio: non lascia il tempo di indugiare troppo sulle immagini dei defunti, perché accanto a esse rivivono i sorrisi di un matrimonio o di una serata allegra trascorsa con le volontarie di Operazione Colomba. Gjon accenna addirittura qualche sorriso e forse nell’album dei ricordi si sente al posto giusto, protagonista della storia della sua famiglia.
*Sara è una volontaria dell'Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace della Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII