La prima parte di un’inchiesta a puntate sulla produzione e il traffico di droga in Albania, uno dei temi più delicati nelle relazioni tra Tirana e l’Unione europea
“Ogni civiltà muore, anche Babilonia è morta”. Con gli occhi socchiusi per il sole che picchia forte sull’asfalto, un abitante di Lazarat spiega così la fine del “paese della marijuana”. Questo villaggio del sud dell’Albania, che fino al 2013 produceva quasi mille tonnellate di cannabis l’anno (pari a 4,5 miliardi di euro e ad un terzo del Pil albanese), è oggi un incrocio di vie deserte e silenziose. “Certo, è giusto che la corruzione venga estirpata in Albania, ma non crediate che Rama sia un Dio", aggiunge il passante, che preferisce rimanere anonimo.
Più che la corruzione, il Primo ministro Edi Rama ha fisicamente estirpato da Lazarat un’immensa coltivazione di marijuana. Durante la sua campagna elettorale, il leader socialista aveva promesso “una guerra senza pietà alla droga” e, dopo la sua elezione nel settembre del 2013, ha messo sotto assedio il villaggio ribelle. “Cosa credi, che io accetti oggi un lavoro a 200 euro al mese? Ma cosa puoi fare con 200 euro al mese? Niente! Mi do da fare, aiuto mio padre... a volte mi chiamano per dei piccoli lavori a destra o a sinistra. Si tira avanti così”, prosegue l’abitante di Lazarat.
Nella piazzetta centrale, in cima alla collina su cui si arrampica il paese, dei ragazzi seduti al tavolino di un bar parlano tra di loro per passare il tempo. Quando si evoca il passato e gli anni d’oro della cannabis, alzano le spalle. Tutti - assicurano - hanno almeno un parente o un amico finito in prigione dopo la maxi-operazione di polizia voluta da Rama. Per loro Lazarat ha oggi poco o nulla da offrire ed i giovani sognano di partire all’estero, come fanno i loro coetanei degli altri villaggi dell’Albania.
Il boom della produzione di marijuana
Ma se dietro agli alti muri che recintano le case di Lazarat la marijuana non cresce più, la “guerra senza pietà alla droga” di Rama non ha risolto completamente il problema. La cannabis estirpata dal villaggio ribelle è infatti cresciuta altrove in Albania negli anni successivi all’assedio. L’associazione Save the Children, che oggi gestisce una radio-scuola a Lazarat nel tentativo di rianimare la comunità locale, ha notato - tra il 2013 e il 2016 - il diffondersi della coltivazione di marijuana dalle colline del sud alle altre aree del paese.
“Prima la produzione era concentrata a Lazarat, non era estesa. Ma dopo l’operazione [della polizia, ndlr.] abbiamo visto una diffusione in tutto il paese. Un fenomeno che ci ha preoccupati perché in questo contesto agricolo, i bambini sono coinvolti fin dalla tenera età”, racconta Anila Meço, direttrice di Save the Children in Albania. La Guardia di Finanza italiana (GdF), che sorvola il paese dal 2012 alla ricerca dei centri di produzione di marijuana, registra questa stessa progressione: dalle 300 piantagioni fotografate nel 2013, si passa alle oltre 2000 nel 2016.
Di fronte al dilagare delle coltivazioni, le Fiamme gialle hanno raddoppiato le ore di volo e oggi scrutano un quarto del territorio albanese. Ma l’impennata delle aree coltivate non sembra turbare il governo di Tirana. Ad ogni conferenza annuale sulla lotta alla droga, il ministero dell’Interno albanese assicura infatti di aver distrutto oltre il 99% delle piantagioni segnalate dalla GdF e di aver dunque adempiuto al proprio compito. Ma è smentito dall’attualità: fin dal 2013, Italia e Grecia continuano a sequestrare grandi quantità di canapa albanese con regolarità.
Nonostante queste incoerenze, il partito socialista di Edi Rama ha vinto le elezioni del giugno 2017 garantendosi di governare senza bisogno di alleati. Quello stesso anno porta tuttavia anche un pesante scandalo che fa vacillare l’esecutivo, senza affossarlo. L’ex ministro dell’Interno Saimir Tahiri, considerato il delfino di Rama, è menzionato in un’indagine della Guardia di Finanza sul traffico di droga tra l’Albania e la Sicilia (l’operazione “Rosa dei venti”). Espulso dal partito, Tahiri resiste a lungo in parlamento e lascerà soltanto nel 2018, per affrontare l’inchiesta “da privato cittadino”.
Un problema ancora attuale
Il successore di Tahiri, il nuovo responsabile degli Interni Fatmir Xhafaj, assicura oggi che la guerra alla marijuana albanese è ormai vinta. “I dati dell’anno scorso, in termini di produzione, sono risibili: l’Albania ha prodotto 48 volte di meno rispetto al 2016!”, assicura il ministro, secondo cui “se si considerano questi risultati del 2017, si può affermare che l’Albania non figura più tra i paesi produttori di cannabis. E non siamo noi a dirlo, ma la Guardia di Finanza, che è un serio organo di polizia”.
Il ministro fa riferimento al numero di piantagioni di cannabis recensite dalla GdF nel corso del 2017, ovvero meno di 100. Tra il 2016 e il 2017, si è dunque registrato un crollo della produzione outdoor. “È il risultato delle azioni intraprese da Tirana”, assicura Xhafaj, che illustra l’operazione “Power of law”, lanciata a fine 2017. “L’obiettivo è di identificare i gruppi criminali e di prendersela con i loro beni. Nel 2016, abbiamo sequestrato beni per un valore di 40 milioni di euro e nei primi quattro mesi del 2017, siamo già a 10 milioni di euro”, conclude il ministro.
Ma se da un lato è vero che i sorvoli delle Fiamme gialle segnalano un crollo nel numero di piantagioni, dall’altro la cannabis albanese continua ad arrivare sulle coste della Puglia. “Abbiamo sequestrato 860 kg di marijuana e hashish nel 2015, 13,9 tonnellate nel 2016, 34,9 tonnellate nel 2017 e quasi 10 tonnellate nei primi quattro mesi del 2018”, spiega Nicola Altiero, generale di brigata della GdF a Bari. Inoltre, la cannabis intercettata dalle forze dell’ordine italiane è di recente produzione.
“Dall’altro lato [dell’Adriatico, ndlr.], si giustificano dicendo che i prodotti sequestrati provengono dagli stock realizzati in questi ultimi anni. Ma noi abbiamo studiato la percentuale di principio attivo presente nella marijuana e nell’hashish al fine di determinarne l’età e ci sembra che la produzione risalga a non più di sei mesi”, precisa il generale Altiero. Insomma, anche se la cannabis non cresce più all’aria aperta in Albania, la sua produzione continua al coperto, in qualche laboratorio.
Di fronte a queste constatazioni, l’opposizione albanese accusa l’esecutivo di essere addirittura complice dei trafficanti di droga. “Nessun boss di Lazarat è stato arrestato. Che ne è di loro? Ve lo dico io: sono diventati agronomi e hanno trasformato tutta l’Albania in una grande Lazarat”, denuncia Lulzim Basha, il leader del Partito democratico. Qual è allora il ruolo del governo di Edi Rama nella lotta alla droga? Nel prossimo capitolo di questo focus sull’Albania, cercheremo di rispondere a questa domanda.