Pubblicato un rapporto di Operazione Colomba sul fenomeno della vendetta di sangue in Albania. Vi si auspica una definitiva presa di consapevolezza da parte delle istituzioni albanesi
Mario Majollari aveva chiesto, nel 2014, asilo politico in Svezia. Era fuggito dall'Albania perché temeva di essere assassinato. Suo padre, nel 2000, aveva ucciso un uomo e Majollari temeva ora la vendetta da parte dei familiari della vittima.
La Svezia però non gli ha accordato alcuna protezione internazionale e nel 2016 Mario Majollari è stato costretto a rientrare in Albania dove è stato assassinato lo scorso 10 aprile, a Tirana. Ricercato per l'omicidio è Katriot Gjuzi, fratello di Ilir Gjuzi, ucciso dal padre di Mario Majollari.
Secondo la stampa svedese tra le varie motivazioni che hanno convinto il giudice a non concedere l'asilo, anche il fatto che le autorità albanesi avevano garantito di essere in grado di offrire protezione per i conflitti legati alla vendetta di sangue.
Dal 2010 Operazione Colomba , Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, è presente a Scutari, in Albania, per sostenere le famiglie sotto vendetta. Tra le varie attività molte sono rivolte alla sensibilizzazione dei cittadini e delle istituzioni albanesi sulla questione. Nel 2013 i volontari di Operazione Colomba Albania hanno ad esempio raccolto quasi 6000 firme in 6 mesi su un documento che impegnava i firmatari a contrastare il fenomeno della vendetta di sangue, richiedendo l'intervento dello stato. L’estate del 2015, invece, più di 300 persone hanno marciato da Scutari a Tirana per sensibilizzare le istituzioni locali: una settimana a piedi e 130 chilometri, passando per più di 10 comuni.
Questione di numeri
Ma Operazione Colomba non si occupa solo di questo. Partendo dalla consapevolezza che i dati sulla distribuzione geografica e numerica del fenomeno della vendetta di sangue variano sensibilmente a seconda delle fonti che li hanno elaborati, dal 2013 monitora i casi di violenza legati alla vendetta sui media albanesi e internazionali. Il database comprende ad oggi 550 casi.
Lo scorso 27 marzo a Tirana, anche prendendo spunto da questo monitoraggio, l'organizzazione ha presentato un rapporto relativo al triennio 2015-2018 nel contesto di una conferenza patrocinata dall'ambasciata italiana e co-organizzata assieme all'Avvocato del Popolo (Ombudsman) Erinda Ballanca. All'incontro erano presenti anche rappresentanti di alto livello delle istituzioni albanesi, tra i quali Gramoz Ruçi, Presidente del Parlamento, Edon Qesari, consigliere del ministro degli Interni, e Mimi Kodheli, rappresentante della Commissione Esteri del Parlamento. L’incontro ha registrato, inoltre, un’ampia partecipazione di ambasciate, organizzazioni non governative e giornalisti.
I numeri resi noti da Operazione Colomba descrivono un fenomeno che non è affatto marginale. Nel periodo preso in esame da gennaio 2015 a dicembre 2017 sono avvenuti 141 nuovi casi di hakmarrja (violenze e ferimenti) e 15 nuovi casi di gjakmarrja (omicidi). "Rispetto al periodo 2011-14, si sono registrati un aumento dei casi di hakmarrja e un andamento costante dei casi di gjakmarrja", precisano gli attivisti.
Le città in cui il fenomeno della hakmarrja e della gjakmarrja si è manifestato più frequentemente sono in ordine decrescente Tirana (con 86 fatti), Scutari (con 46 fatti), Durazzo (con 36 fatti), Valona (con 17 casi) e Lezhë (con 12 fatti).
Oltre al fenomeno della vendetta di sangue sul territorio albanese, purtroppo, si assiste anche al cosiddetto fenomeno della “esportazione della vendetta”: alcuni casi continuano infatti anche al di fuori dei confini nazionali. Ad esempio, secondo i dati raccolti dal database di Operazione Colomba dal 2013, alcuni omicidi per vendetta di sangue si sono consumati anche in Italia, 11 casi, e in molti altri paesi europei. Un fenomeno in continuo sviluppo e trasversale sotto diversi punti di vista poiché riguarda diverse località in tutta l’Albania e si spinge al di fuori dei confini nazionali e coinvolge persone di tutte le età e di entrambi i generi.
E le istituzioni?
In passato le autorità albanesi cercavano di minimizzare il fenomeno. Ora le cose sono cambiate e lo dimostra anche la presenza istituzionale di alto livello alla presentazione del rapporto di Operazione Colomba. "La pressione del panorama internazionale e la crescente visibilità del fenomeno nei media locali e internazionali hanno spinto tutte le istituzioni a occuparsi delle vendette di sangue" si scrive nel rapporto "l’Unione Europea è stata la principale organizzazione internazionale a porre la propria attenzione specificamente sul contrasto alla vendetta di sangue, fino a far diventare la sua eliminazione uno dei requisiti per l’accesso del Paese alla membership europea".
Questo però non basta. Secondo Erinda Ballanca, difensore civico dell'Albania, "il fenomeno richiede un nuovo approccio, con un permanente miglioramento della legislazione, una veloce reazione della Polizia di Stato, della procura e delle corti per la cattura e la condanna degli autori di reati legati alla vendetta, ed anche un maggiore impegno anche delle strutture del sistema di educazione".
Intanto per evitare che accadano altri casi come quelli di Mario Majollari e per fare in modo che gli stati europei si prendano appieno le proprie responsabilità al Parlamento europeo è stata presentata una petizione nella quale - anche facendo riferimento al fenomeno della vendetta di sangue - si chiede che l'Albania non venga più considerato paese d'origine sicuro nella valutazione delle richieste di asilo.