Musicisti per strada a Permet negli anni '60 - Foto dall'archivio personale di Ylli Muço

Musicisti per strada a Permet negli anni '60 - Foto dall'archivio personale di Ylli Muço

Ylli, come suo padre, è musicista e grande interprete della saze, musica tradizionale albanese. I suoi grandi rammarichi sono i figli lontani e l'essere forse l'ultima generazione che porterà avanti questo genere musicale

03/08/2020 -  Christian Elia

(Quest'articolo fa parte del webdoc Dollibashi )

Ylli Muço, foto di Camilla de Maffei

Ylli Muço, foto di Camilla de Maffei

"Di padre in figlio. Questa musica, in Albania, e in particolare qui a Përmet, è un’eredità". Ylli Muço ha un volto solare, un sorriso aperto. La fisarmonica sembra iniziare dove finiscono le sue mani, senza soluzione di continuità. Un po’ come la la storia della saze, la musica tradizionale albanese della quale Ylli è un monumento locale. Una tradizione che arriva da lontano.

"Le origini della saze affondano nel passato, tra il 1820 e il 1830, proprio qui a Përmet e nel circondario. Di base, dall’epoca, e almeno fino alla Seconda guerra mondiale, non c’erano scuole o formazioni professionali, non c’erano neanche spartiti: la trasmissione di queste ballate avveniva in casa di padre in figlio, così come la capacità di suonare uno strumento. Quelli più diffusi erano la lauhta, una specie di chitarra, il clarinetto e il violino. Erano tutti autodidatti, spesso poverissimi, che si guadagnavano da vivere suonando alle feste pubbliche e familiari, a volte pagati con del cibo!”, racconta divertito Ylli.

Con quelle semplificazioni che spesso cedono all’orientalismo, la saze è stata definita il blues dei Balcani. È una tradizione popolare, che con i cantastorie racconta amori e tradimenti, migrazioni e omicidi, giovani che si struggono per la loro amata di un altro villaggio e di pastori in balia dei banditi. Clarinetto, lauhta e violino sostengono e accompagnano le voci.

"Ogni singolo maestro ha dato il suo contributo – racconta Ylli – si suonavano ballate che parlavano d’amore e di problemi quotidiani, di vita e di morte. E iniziavano sempre con una sorta di riproduzione musicale del pianto femminile. Per raccontare le cose belle e le cose brutte che accadevano alle comunità. Per questo è una tradizione locale; le influenze turche e greche, storicamente, ci possono essere nelle armonie, nelle melodie, non nelle storie, che sono locali e della zona di Pëirmet in particolare".

L’avvento del regime di Enver Hoxha nel 1945 porta la saze a un altro livello. La musica si studia nelle scuole e nelle accademie. “Mi sono diplomato all’Accademia delle Arti di Tirana nel 1976. Da quel momento sono venuto a Përmet e ancora sono qui, a battesimi e compleanni, matrimoni e feste locali. Dopo la guerra, nella mia generazione, si aggiunsero altri strumenti, come il dajre, un tamburello, che fornisce ritmi  più complessi, e la mia amata fisarmonica.” Il regime sosteneva la musica folkloristica, perché priva – secondo l’ideologia dominante – di influenze occidentali e borghesi. Era popolare. E i confini blindati dell’Albania l’hanno per certi versi preservata da influenze moderne e però anche tenuta nascosta al grande pubblico.

Il regime inviava i gruppi a suonare nelle cooperative e nei villaggi sperduti, così “pian piano, da solisti e virtuosi si è passati a gruppi, con elementi carismatici – spiega Ylli – come Mehdi Permeti (nome d’arte, come tanti, che prendevano dal paese di provenienza magari) o il mitico Laver Bariu".

I loro virtuosismi hanno innovato la tradizione, ma le storie restavano le nostre. Nei gruppi la presenza femminile era comune, soprattutto come cantanti, e si lavorava alle feste di tutte le confessioni religiose, anzi, anche nei gruppi c’erano persone di differenti religioni. Le cose hanno iniziato a cambiare con gli anni Novanta. E’ arrivata l’elettronica, portata nel paese dai tanti che sono emigrati”.

L’unico momento di malinconia del solare Ylli, oltre al ricordo del fratello compagno di musica mancato poco tempo fa, è legato ai suoi figli. “Hanno talento, ma non vivono più qui. Mia figlia è ad Amsterdam, mio figlio in Grecia. Continuo io, inserendo qualche novità nel repertorio per restare competitivi, ma i tempi sono cambiati, proprio adesso che il mondo si era accorto di noi. Forse siamo l’ultima generazione: è un peso e una responsabilità.”

Tanti anni, la musica come colonna sonora della propria vita. Ma di tante ballate, ci sarà una preferita. “Sono tante, ma suonerò per voi una di quelle che amo di più”, dice Ylli, e senza farsi pregare, accompagnato dalla sua fisarmonica e cantando, racconta di rose che scelgono i sentieri più impervi per raggiungere l’amata, con la rugiada del mattino come compagnia, raccontando un mondo lontano che già conosceva le storie di ogni generazione.

 

Webdoc

Dollibashi è il titolo di un webdoc del giornalista Christian Elia e della fotografa Camilla de Maffei. È il risultato di tre anni di lavoro in cui hanno affiancato, in Albania, le attività dell’ong italiana Cesvi che tra il 2018-2020 è stata capofila del progetto Albania, Viaggia a modo tuo (TREC).

Il progetto ha puntato allo sviluppo di un sistema integrato di accoglienza turistica in quattro territori specifici dell’Albania meridionale: Argirocastro, Skrapar, Berat e Përmet. I risultati di questo lungo lavoro sono stati poi raccolti all’interno del sito www.trecalbania.com .

Nel webdoc Dollibashi memorie e identità si intrecciano con persone e luoghi. Il titolo scelto rimanda al termine albanese con cui si descrive il momento in cui ci si siede attorno a un tavolo per condividere un bicchiere e chiacchierare della vita. Un racconto “a più voci” che restituisce le stratificazioni di un paese ancora tutto da scoprire. Vai al webdoc all'interno del portale Confluenze. Nel sud-est Europa con lentezza