Una mente brillante ed un'anima nobile, che aveva un forte legame spirituale con l'Albania. Un ricordo dello scrittore e giornalista Alessandro Leogrande, scomparso da poco
È morto Alessandro Leogrande. La notizia della morte improvvisa e molto precoce di Alessandro Leogrande, scrittore, giornalista, saggista, nato a Taranto 40 anni fa, è arrivata a Tirana lunedì mattina.
Alessandro era vice-direttore del mensile Lo straniero e collaborava con quotidiani nazionali come il Corriere della Sera e il Corriere del Mezzogiorno, scriveva per il settimanale Internazionale e ha collaborato a lungo con Radio Rai 3.
Anche se molto giovane, aveva un lungo e ricco curriculum professionale di opere di alta qualità giornalistica e saggistica: Un mare nascosto (2000) che tratta della sua Taranto, cui ha fatto seguito Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud (Mondadori 2008, un libro con cui ha vinto il Premio Napoli-Libro dell’anno, il Premio Omegna, il Premio Sandro Onofri, il Premio Biblioteche di Roma), Le male vite. Storie di contrabbando e di multinazionali (Fandango 2010), Il naufragio. Morte nel Mediterraneo (Feltrinelli 2011, con il quale ha vinto il prestigioso premio Ryszard Kapuscinski e il Premio Paolo Volponi). Con Fandango, Alessandro ha pubblicato nel 2013 Fumo sulla città, e con Feltrinelli nel 2015 ha pubblicato La frontiera.
Alessandro ha pubblicato nel 2010 anche un’antologia di racconti sul calcio, Ogni maledetta domenica. Non dimentichiamo poi i tanti programmi radiofonici sulla storia passata e recente d’Italia. Era un intellettuale di ampi interessi culturali.
La triste notizia della sua scomparsa mi è arrivata tramite Arlinda Dudaj, direttrice della Casa Editrice “Dudaj” di Tirana, con la quale Alessandro ha avuto lunghi anni di collaborazione. In albanese, la Casa Editrice “Dudaj” ha pubblicato nel 2012 Il Naufragio, nel 2014 Adriatico, e all’inizio del 2018 uscirà la versione albanese del suo ultimo libro La Frontiera.
Scrivo queste righe su Alessandro in una doppia veste, come suo lettore e come suo amico. Però, non vorrei finire nella solita situazione in cui diciamo delle belle parole su una persona che se ne va e poi lasciamo che cada il sipario del silenzio. Scrivo queste righe tenendo stretto nel mio cuore un ricordo carissimo di Alessandro.
In queste condizioni è difficile essere lucidi, perché sei invaso da emozioni forti, da possenti spinte che ti incitano a scrivere qualcosa, ma anche da altre che te la rendono impresa ardua.
Come lettore apprezzavo la sua acuta capacità di analisi di vicende quali l’immigrazione o il meridione italiano, il suo sguardo attento di osservatore sui più deboli, immigrati e profughi, contadini e lavoratori sfruttati, e come giustamente hanno ricordato i quotidiani italiani, nel corso degli anni Alessandro è diventato lo scrittore “degli ultimi”.
Il suo stile narrativo mescolava la profondità e la serietà di un giornalismo investigativo molto impegnato a chiare note di saggistica letteraria. E dalla sua penna uscivano non solo cronache sull’immediato quotidiano, ma libri su temi sociali che vale sempre la pena consultare.
Sento che le parole mi mancano, e mi lascio aiutare da un passaggio di un articolo scritto da Luca Mastrantonio, apparso sul Corriere della Sera lo scorso 27 novembre, in ricordo di Alessandro: “Davvero era una delle migliori menti della nostra generazione, di 30/40enni, perché era una mente alveare, incline alla collaborazione, fiducioso nello scambio di idee… la sua qualità intellettuale maggiore, fare-le-cose-bene”.
Come suo amico posso esprimermi in questo modo: Alessandro aveva un legame di lunga data con l’Albania. Il suo essere pugliese lo aiutava ad allacciare legami con “il Paese delle aquile”. Da giovanissimo si era impegnato in attività di solidarietà e volontariato, che facevano presagire un futuro impegno intellettuale in favore dei più poveri e dei più deboli. Attività di scoutismo e poi nei campi di volontariato della Caritas Diocesana di Taranto in Albania. Ma c’era qualcosa di più, qualcosa di più profondo e sentito che ci legava.
Per i giovani albanesi degli anni ‘70-80, cioè la mia generazione che viveva rinchiusa nella gabbia cupa e grigia del regime comunista, l’Italia era una parte organica della nostra vita. Tramite radio, tv e i libri che riuscivamo a procurarci, avevamo costruito con gli occhi della mente una nostra immagine dell’Italia, che amavamo senza condizioni e con la sincerità dei bambini. Era il nostro sogno di libertà, di arte, musica e cultura, era il simbolo delle cose belle della vita.
È storia nota che dopo il 1990 noi albanesi e “amanti dell’Italia” ci siamo confrontati con l’Italia reale. Noi eravamo in cerca “dell’amore simmetrico”, volevamo che “la nostra Italia” ci amasse quanto l’avevamo amata noi per una vita. Ma ovviamente, l’Italia non aveva tempo per questi sentimenti ingenui (anche per colpa nostra, perché non dobbiamo presentarci sempre come vittime), aveva tanti problemi suoi e poi, ovviamente, eravamo poveri e dei perfetti sconosciuti. In questo contesto, ci sono venuti incontro quelli che oggi continuo a chiamare, con grande affetto, “i nostri carissimi amici italiani”. E Alessandro faceva parte di questo gruppo. Per lui l’Albania e gli albanesi non erano solo temi che soddisfacevano la sua curiosità intellettuale. Alessandro si sentiva legato spiritualmente con questo luogo in un modo del tutto naturale. In poche parole, era uno di noi.
Ecco, scrivere con grande lucidità mentale ed un profondo calore del cuore, questa era un’altra sua caratteristica speciale.
Ne ebbi la conferma nel novembre del 2012. Insieme con il personale della Casa Editrice “Dudaj” andammo con Alessandro a Valona, all’università della città, per presentare il suo libro Il Naufragio, uscito in albanese. La scelta di Valona non fu casuale, perché il libro di Alessandro si occupava della vicenda della piccola nave albanese “Katër i Radës”, che stipata di gente fu speronata da una nave militare italiana e naufragò nel canale di Otranto nell’aprile del 1997. Vi furono decine di morti e di dispersi, uomini, donne e bambini. L’Albania era caduta in quel periodo in un tumultuoso caos, dopo il fallimento degli schemi piramidali. Quella gente cercava di scappare sperando di arrivare sulle coste pugliesi.
Alessandro ha condotto per anni un’indagine eccelsa su questa vicenda, e posso dire senza esitazione che quel suo libro è un modello di giornalismo investigativo, e dovrebbe servire come esempio specialmente per i media albanesi che da tempo sono sprofondati nel più misero degrado morale.
Oltre ai tanti studenti presenti a seguire la presentazione del libro e l’intervento di Alessandro, nell’auditorium dell’università c’era anche un gruppo di persone che, in qualche modo, contrastava con gli universitari. Era gente semplice, erano venuti dalle periferie e anche dalla provincia, erano i familiari delle vittime coi quali Alessandro aveva stretto amicizia durante il suo lavoro. Il modo in cui lo hanno aspettato, lo hanno incontrato dopo la lezione, hanno parlato con lui, mostrava che Alessandro era come uno di famiglia. Alessandro si immedesimava coi suoi “personaggi” e con il loro dolore. Era una mente brillante ed un’anima nobile.
Mi sento molto triste per la sua scomparsa: ciao Alessandro, grazie mille per il tuo lavoro straordinario e per la tua amicizia, un grande abbraccio dalla tua Tirana.
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