A cavallo del 2018 e 2019 il premier albanese Rama ha lasciato a casa più della metà dei suoi ministri. Un quadro su questo corposo e dibattuto rimpasto di governo
Durante l’assemblea del Partito Socialista del 28 dicembre scorso Edi Rama, leader del partito e premier nel pieno del suo secondo mandato, ha annunciato un importante rimpasto di governo che ha coinvolto più della metà dei membri del gabinetto.
La situazione è poi evoluta in maniera inattesa, generando uno scontro istituzionale che ha rischiato di creare una vera e propria crisi costituzionale.
Governo: cosa cambia e perché
La motivazione principale portata da Rama per spiegare questa decisione è stata quella della necessità di un cambiamento sostanziale nella sua squadra in funzione dell’attuazione del programma di governo per la legislatura in corso, che sta incontrando alcune difficoltà nel rilanciare i destini dell’Albania, difficoltà incarnate dalla protesta degli studenti universitari iniziata lo scorso autunno.
Sono state esautorate dall’esecutivo figure molto importanti nel panorama politico albanese, come il ministro dell’Economia e delle Finanze Arben Ahmetaj, quello per le Infrastrutture e l’Energia Damian Gjinkuri ed il ministro degli Esteri Ditmir Bushati. Rama ha inoltre allontanato anche alcune delle figure ritenute a lui più vicine nel gotha socialista, come il ministro per la Cultura Mirela Kumbaro e quello per l’Agricoltura Niko Peleshi. Gli altri cambiamenti riguardano la destituzione del ministro dell’Istruzione Lindita Nikolla – travolta dalle proteste universitarie –, di quello per la Protezione delle imprese Sonila Qato e della vicepremier Senida Mesi; oltre alla reistituzione del ministero per i Rapporti col Parlamento di cui sarà titolare Elisa Spiropali.
Durante il discorso di fronte alle alte sfere del partito, Rama ha sostenuto che i ministri uscenti, sebbene non più impegnati nei lavori dell’esecutivo, restano delle colonne portanti del Partito Socialista e saranno impegnati sui territori per la campagna elettorale delle prossime elezioni amministrative, previste per giugno 2019.
Questo rimpasto è stato inoltre presentato da Rama come un punto di partenza per l’eventuale terzo mandato consecutivo del Partito Socialista: Rama infatti ha voluto sostituire alcune delle figure più in vista e più longeve del governo prevalentemente con giovani, in larga parte sconosciuti ai grandi numeri dell’elettorato. Fra i nomi spicca quello Gent Cakaj, kosovaro di origine che, ancora ventottenne, è passato in poco tempo dall’essere consigliere di Rama alla carica di viceministro degli Esteri e capo negoziatore per l’adesione albanese all’Unione Europea, fino alla nomina di titolare in pectore del ministero degli Esteri.
Reazioni
Le critiche non si sono fatte attendere. Lulzim Basha, segretario del Partito Democratico, ha definito l’azione politica di Rama come puramente formale, aggiungendo che il ruolo dei nuovi ministri “sarà unicamente quello di fare da facciata al governo di Rama con gli oligarchi ed il crimine organizzato”. La leader del Movimento Socialista per l’Integrazione, Monika Kryemadhi, ha dichiarato che questo cambiamento è sintomatico della debolezza del governo e di Rama, che è come fosse già caduto.
Alcuni giornalisti hanno invece avanzato l’ipotesi che questi avvicendamenti tra le fila del governo siano una reazione ad uno scontro per il potere interno al Partito Socialista. Durante la conferenza stampa di fine anno però, alla domanda da parte della stampa se la motivazione del cambiamento nel governo non fosse da ricercare nella lotta fra i vari “clan” del partito, Rama ha risposto con grande ironia, liquidando questa teoria come mera speculazione giornalistica.
Ilir Meta: i poteri del presidente e i limiti della giustizia
La situazione si è complicata con l’entrata in gioco del Presidente della Repubblica Ilir Meta, fondatore del Movimento Socialista per l’Integrazione e marito della sua attuale leader, Monika Kryemadhi. Il Presidente Meta, che formalmente incarica i ministri proposti dal Presidente del Consiglio - dopo giorni tortuosi e non senza resistenze - ha confermato tutte le modifiche volute da Rama tranne il cambiamento in seno al ministero degli Esteri che doveva vedere l’avvicendamento tra Bushati e Cakaj.
Sulla nomina di Cakaj è scoppiato infatti un vero caso politico. Meta si è rifiutato di destituire Bushati per ragioni prettamente politiche, scrivendo nella sua lettera di motivazioni al Presidente del Consiglio che Cakaj “non ha credibilità e non offre le necessarie garanzie allo svolgimento dei suoi doveri con obiettività”. In questo stralcio, si fa riferimento ad alcune dichiarazioni attribuite a Cakaj, in cui si sarebbe detto favorevole allo scambio di territori tra Kosovo e Serbia ventilata dal Presidente serbo Aleksandar Vučić.
Sulla questione, in difesa di Bushati, è arrivata anche la dichiarazione dello storico leader Democratico Sali Berisha, il quale ha sostenuto che, per quanto Bushati sia un ministro deprecabile e fallimentare come il governo in cui opera, la sua presa di posizione contro il ridisegnare i confini tra Kosovo e Serbia sia un bene per la diplomazia albanese. Sembrerebbe però che Cakaj non abbia mai pronunciato una frase in tal senso ma che siano state estrapolate fuori contesto alcune sue esternazioni, fatte mentre commentava la situazione generale dei confini tra gli stati balcanici.
Considerando pretestuosa la motivazione avanzata da Meta, Rama non ha risparmiato colpi, sostenendo in un tweet che il Capo dello stato stava attaccando il governo, usando come capro espiatorio Cakaj, e “calpestando la Costituzione”. Il Presidente della Repubblica, infatti, ha mostrato il nervo scoperto della giustizia albanese. Teoricamente, egli non avrebbe la facoltà di rifiutare una nomina ministeriale proposta dal Primo Ministro, essendo dotato in questa materia di poteri puramente formali. Ma non disponendo l’Albania di una Corte costituzionale in grado di operare a causa della valutazione sull’idoneità dei giudici contestuale alla riforma della giustizia, queste controversie non sono attualmente dirimibili e necessitano di un accordo politico per essere risolte.
La crisi continua
Nella giornata di ieri è arrivata la notizia che il premier Rama ha annunciato via Twitter che assumerà la posizione di ministro degli Esteri de jure per provare a bypassare lo stallo. Non è ancora chiaro, comunque, chi sarà il ministro de facto. Formalmente, Bushati resterà al suo posto fino a quando il Presidente Meta non firmerà un decreto per destituirlo. Nello stesso tweet Rama annuncia che, non appena la Corte Costituzionale sarà pronta per i lavori, si scoprirà se il Presidente della Repubblica ha agito entro i limiti dei suoi poteri costituzionali. O meno.