I nonni paterni dell'autrice

Uno sguardo all'indietro, alle origini della propria famiglia. Essere stranieri nell'Albania del '900. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

23/01/2017 -  Adela Kolea

Si sente parlare sempre più spesso di interculturalità, intesa come scambio di rapporti e dialoghi tra varie culture nel mondo. Nel mio caso, in maniera totalmente naturale e spontanea, l’interculturalità, come concetto e come sostanza, ha sempre convissuto con me, anzi, dentro di me. Io dell’intercultura sono una creazione.

Perché? Per le mie origini miste. Le mie due nonne erano straniere. La nonna paterna era napoletana, quella materna era turca di Smirne, ma cresciuta in Grecia, a Salonicco.

I miei due nonni erano albanesi.

I loro percorsi di vita sono stati diversi nei dettagli, ma uniti da questo comune denominatore: due uomini albanesi, miei nonni, che sposano due donne straniere.

Il nonno paterno era studente a Napoli negli anni ’20 e lì ha conosciuto colei che sarebbe diventata mia nonna ed avrebbe vissuto tutta la sua vita in Albania, nella terra natale del marito.

Il nonno materno, sempre negli anni ’20, partecipava ad un matrimonio di parenti a Himarë, nel sud dell’Albania. Lì, tra gli ospiti del matrimonio, alcuni erano arrivati dalla vicina Grecia, tra cui anche una bella ragazza turca, bionda dagli occhi azzurri. Si innamorano subito, un colpo di fulmine. La ragazza aveva soli 18 anni. Mentre i suoi parenti – tutti ospiti al matrimonio – dopo il matrimonio fecero ritorno a casa in Grecia, lei non li seguì: rimase in Albania con il suo innamorato, mio nonno.

Io sono nata in questa famiglia di origini miste e sono sempre rimasta affascinata dalle storie di vita dei miei nonni. Dentro questa convivenza abitava un’altra convivenza, quella religiosa.

La nonna materna era infatti musulmana e quella paterna cattolica. Nonostante la proibizione della pratica religiosa a causa della dittatura, loro coltivavano le loro fedi in silenzio, e sempre in silenzio, sotto voce, dicevano le loro rispettive preghiere. Io sentivo da un lato il Padre Nostro, e dall’altro i versi del Corano.

Le due comari si sono sempre intese bene devo dire, nonostante avessero diversità di origini, carattere, formazione e temperamento. Ma la cosa che io ho apprezzato da loro è stata la preservazione delle loro origini. E io, da loro, assorbivo tutto. Dal loro albanese con un accento particolare, nonostante un’intera vita trascorsa in Albania, sentivo parole, racconti, pezzi di vita, che rimanevano dentro di me, avvolte nella mia pelle mentale.

Ed oggi se mi si chiedesse “Sei albanese, in cosa?”, risponderei che sono albanese nella determinazione, nell’orgoglio, nella capacità di rapportarmi in maniera empatica con il prossimo e di immedesimarmi in lui, da dove deriva anche il senso di ospitalità nei suoi confronti.

Italiana, in cosa?”, risponderei che sono italiana nell’affabilità verso il prossimo, nella capacità di accoglienza, nella cultura dei gusti del modo di comunicare, mangiare e vestire. Lo sono anche nei miei lineamenti fisici mediterranei, assomigliando tantissimo alla nonna napoletana.

Turca in cosa?”, risponderei nei colori. Amo troppo i colori accesi, li considero una carica positiva e rilassante. La mia nonna turca se la prendeva con noi nipoti che ai tempi, per “moda”, vestivamo di scuro. Ci consigliava di indossare abiti molto colorati, così come i colori che portava nel suo foulard che metteva in testa. Non era un foulard religioso, ma un accessorio proprio inseparabile, tipicamente suo. Con fiori o disegni geometrici, rigorosamente colorati. Lei era anche una grande fumatrice, ma devo dire che in questo non le assomiglio. Io non fumo.

Così come le mie due nonne vissero da emigranti tutta la loro vita in Albania, la ruota del destino ha portato me e la mia famiglia a vivere in Italia. Paese che sento in parte mio e dove mi sono sentita a casa dal primo giorno in cui vi ho messo piede. Avevo 18 anni. Come l’età delle mie nonne, quando anche loro hanno lasciato le loro terre, per trasferirsi in Albania.