copertina del libro

Una realtà balcanica quasi senza tempo, ma con uno spazio piuttosto definito, che si estende dal sud d'Albania e oltre. Di questo narra "L'Ora del male" dello scrittore Tom Kuka, tradotto da Fioralba Duma e Valentina Notaro, edito da Besa Muci. Recensione

04/01/2022 -  Rando Devole

Sin dalle prime pagine del romanzo "L'Ora del male" di Tom Kuka il lettore viene immerso in un contesto epico di terre lontane, in cui echeggiano tra spari reali e immaginari, canti rapsodici di tempi antichi. Contribuiscono in questo senso i dettagli di vestiti tradizionali, che tra fustanella, opinga, xhamadan e qeleshe, amplificano una realtà balcanica quasi senza tempo, ma con uno spazio piuttosto definito, che si estende dal sud d'Albania e oltre.

Il personaggio principale si chiama Sali Kamati che obbedisce ai canoni della vendetta e uccide Çelo Mezani per vendicare il proprio fratello. I canti anticipano il suo rientro al villaggio dove lo aspetta Dirja, sua moglie, già vestita di nero. Il cattivo presagio degli uccelli del malaugurio che si aggirano intorno sinistramente viene non solo captato, ma anche fatalmente accettato. Ma Ora, figura mitologica albanese simile ad una fata dalla doppia personalità, che si muove liberamente tra maledizioni e benedizioni, lo sconcerta con l'arrivo in casa di una ospite giovanissima e bellissima. Si chiama Tusha, nipote della moglie, soprannominata "merla di montagna".

Sali Kamati, uomo di mezza età, perde completamente la testa per lei e mentre nel villaggio, tra sbigottimento e vergogna si moltiplicano dicerie e pettegolezzi, lui cerca una giustificazione per i suoi sentimenti e il suo delirio. La riporta a casa dopo il tentativo non riuscito dello zio per sposarla altrove. Ma l'incontro con il destino è solo rimandato...

L'atmosfera magica, onirica e talvolta dark, fatta di malocchi, maledizioni, amuleti, pozioni, canti di imam, dadi del destino, figure mitologiche, cieli oscurati da uccelli di malaugurio dagli occhi ingialliti, arricchita da rapsodie e gesta epiche, rimane tuttavia ancorata ad una realtà tangibile e definita, che sovrasta ed avvolge l'angoscia umana che sfocia nel delirio tormentoso.

I personaggi del romanzo si muovono in un ambiente fondamentalmente pagano, in cui convivono caoticamente credenze di origine politeistica, pratiche tradizionali precristiane e religioni monoteistiche in via di consolidamento. Il substrato psicologico che ne consegue assomiglia più al caos dell'inconscio che alle regole della ragione.

Sappiamo che nella mitologia greca gli Dei erano innanzitutto imprevedibili e imperscrutabili, proiezioni di terribili passioni umane, talvolta buoni e talvolta cattivi. Se dovessimo seguire il pensiero del filosofo Umberto Galimberti, per cui la divinità è anche il luogo della follia e dell’indifferenziato, poiché "gli uomini pregavano gli Dei soprattutto per tenerli lontani oltre che per ottenere grazie", visto che "la loro presenza era l’irruzione di ciò che gli antichi consideravano follia" e che "la religione è luogo di regolazione della follia" allora si capisce l'affannosa ricerca di Sali Kamati per capire, interpellando uomini religiosi, cosa sia giusto e cosa sbagliato nel suo comportamento, agli occhi di oggi controverso e inaccettabile.

Il delirio, come si legge nel romanzo, è un malanno a cui neanche i guaritori riescono a trovare rimedio: "Il delirio viene e se ne va da solo" dice la mamma del guaritore. Il delirio, essenza della follia del personaggio, va inteso proprio come uno stato caotico, ambiguo, indistinto, misterioso, in un certo senso pre-morale, ma anche tormentato, angosciato e alla ricerca di senso, distinzioni e differenze, che poi quasi naturalmente porteranno ad un chiarimento tragico.

Lo stile diretto ed espressivo del romanzo proietta luci e ombre contemporaneamente; chiaroscuri adatti agli abissi dell'animo umano, dando al lettore la possibilità di muoversi in un mondo fantastico e reale nello stesso tempo. Rimane, ciononostante, il rammarico di non aver esplorato (volutamente?) un personaggio fondamentale come Tusha. Appare curiosa l'apparizione di un'epidemia e addirittura di una specie di lockdown, un po' meno l'onnipresenza del raki, tipica grappa albanese, che si palesa in tanti modi e si consuma in numerose occasioni, confondendosi persino con il delirio.