L'Albania esporta solo il 20% di quello che importa. La forbice tra import e export è andata sempre più aumentando dopo la transizione alla democrazia, determinando una vera e propria crisi di sviluppo. Calo impressionante nel settore agricolo, dove il rapporto tra importazioni e esportazioni arriva addirittura a 11 a 1. Un articolo tratto dal quotidiano di Tirana "Panorama"
Di Feti Zeneli, Panorama, 4 Gennaio 2005 (titolo originale: "L'economia albanese nella trappola della mondializzazione")
Traduzione dal francese (Le Courrier des Balkans): Carlo Dall'Asta
Le crisi economiche sono parte integrante della vita dei Paesi sviluppati come di quelli in via di sviluppo. Il progresso si raggiunge attraverso la soluzione delle diverse crisi economiche, mentre la conseguenza del perdurare di tali crisi sono povertà e disoccupazione.
A seconda del grado di sviluppo socio-economico di un Paese, si possono distinguere globalmente le crisi dovute alla sovrapproduzione e quelle causate dall'assenza di produzione. I Paesi sviluppati, per esempio gli Stati Uniti, conoscono una crisi dovuta alla sovrapproduzione. All'opposto, la crisi attuale in Albania o in altri Paesi sottosviluppati è dovuta all'assenza di produzione.
D'altra parte, la soluzione di una crisi in un Paese sviluppato può implicare una serie di altri problemi in questo o in altri Paesi, come nel caso della svalutazione del dollaro. I Paesi sviluppati oscillano, in funzione delle loro politiche di destra o di sinistra, tra stimolo all'aumento dell'offerta e della produzione attraverso la riduzione delle tasse, o stimolo al consumo attraverso l'aumento dei salari, ecc.
Crisi di sviluppo
Contrariamene ai paesi sviluppati, segnati dalla sovrapproduzione, l'Albania conosce una crisi di sviluppo, che si è intensificata dopo la transizione a una società democratica. Così, allorché la destra era al potere, fino alla fine del 1996, le tasse e i prezzi erano da 2 a 3 volte più bassi e il numero di disoccupati 4 volte minore di oggi. Furono esordi difficili ma promettenti.
Nel 1991-1992, nessun esperto internazionale aveva previsto un ritmo così sostenuto di sviluppo da parte di una società segregata per 45 anni in una dittatura.
Nel 1994-1995, secondo gli esperti, sarebbe servito almeno un decennio all'Albania per raggiungere il livello degli altri paesi dell'ex blocco comunista dell'est. All'arrivo della sinistra al potere, e dopo il tragico collasso economico provocato dal fallimento delle società piramidali nel 1997, obbedendo al principio «un passo avanti, due indietro», lo scarto con gli altri paesi in transizione si è approfondito.
Nella situazione attuale, il nostro Paese soffre non solamente delle conseguenze del suo arretramento, ma anche del decollo degli altri Paesi, tra cui quelli dell'Europa dell'est. L'effetto nefasto delle crisi economiche di produzione si fa sentire su tutti i Paesi, nella prospettiva della mondializzazione, e i Paesi poveri si vedono costretti ad importare il surplus dei Paesi ricchi fermando così la loro produzione.
L'Albania subisce particolarmene la sovrapproduzione dei suoi vicini, poiché essa ha abbandonato interamente la produzione locale e privilegia l'importazione. Di conseguenza, il rapporto tra importazioni ed esportazioni è di 6 a 1, e arriva perfino a 11 a 1 per i prodotti agricoli. Le nostre esportazioni «Made in Albania» coprono appena il 20% delle importazioni.
Il settore agricolo sacrificato
Inoltre, noi importiamo in maggioranza prodotti e merci che una volta erano prodotti localmente e perfino esportati, in condizioni di economia centralizzata e in assenza di tecnologie moderne. Così, quantità considerevoli di cibo, prodotti agricoli, bevande, tabacco, perfino il fieno per il bestiame, vengono dall'estero, mentre noi abbiamo le condizioni e l'esperienza per produrli. Il peso della produzione agricola nel PIL è crollato quasi al 24%, ovvero circa due volte meno che all'inizio della transizione, e le prospettive di crescita sono poco brillanti.
Questo calo del settore agricolo e la riduzione della sua diversità hanno comportato il calo delle esportazioni e l'aumento delle importazioni di questi prodotti. Un tempo, noi esportavamo quasi 100 000 tonnellate di legumi all'anno e solo l'esportazione del tabacco apportava al bilancio più di 50 milioni di dollari, mentre oggi tutti questi articoli sono importati. Ugualmente, l'industria della birra, dell'olio vegetale e delle uova, i tre principali prodotti del commercio agricolo, importano la loro materia prima. Una tale situazione economica mostra la posizione della sinistra albanese al potere, che permette un tale declino della produzione locale e non pensa a sviluppare i settori di produzione e le loro infrastrutture.
Questo governo non sostiene la produzione locale, ma privilegia la produzione estera che tende ad accrescersi e ad esportare sempre più nel quadro dell'economia mondializzata. In queste condizioni bisogna cominciare senza più perdere tempo a costruire e ad applicare delle strategie tendenti a ridurre al minimo indispensabile le importazioni di prodotti di consumo, a vantaggio di macchine e attrezzature che possano aprire la via alla produzione locale. D'altra parte, tali investimenti devono essere stimolati attraverso aiuti fiscali, come in ogni altra parte del mondo.
Gli accordi successivi di libero scambio con i Paesi della regione, la prospettiva della creazione di una zona commerciale franca nei Balcani, l'associazione e successivamente l'integrazione all'Unione Europea, e altri sviluppi di questa natura, rappresentano una crescita delle opportunità di sviluppo del commercio e della attività economica in generale, ma possono anche costituire un rischio se i ritardi si accumulano.
A parte questi segnali di miglioramento, gli esperti internazionali pensano che l'Albania può realizzare il suo sogno di integrarsi all'Europa solo se negli anni a venire il suo ritmo di crescita economica annuale non calerà mai sotto al 13-14%. Attualmente, questo indice è da 2 a 3 volte inferiore.