Albania: abbiamo intervistato lo scrittore Fatos Lubonja, molto noto per le sue battaglie sui diritti umani. Si è espresso pubblicamente contro la guerra in Iraq e i politici albanesi accodati agli USA. E ne ha pagato il prezzo.
Abbiamo raggiunto telefonicamente lo scrittore albanese Fatos Lubonja,molto famoso nel suo paese nelle battaglie per i diritti civili e per la
critica dello spirito della cultura albanese ancora legata ai mitinazionalistici. Recentemente in Italia ha ricevuto il Premio Moravia.
Martedì scorso è uscito un articolo di Lubonja su tre grandi quotidianialbanesi di presa di posizione contro la guerra in Iraq dal titolo "I
politici albanesi e la guerra in Iraq".
Ancor prima di essere pubblicato, l'articolo ha suscitato violente reazioni nel mondo politico albanese, compatto - da destra a sinistra - nell'aderire alla guerra preventiva di Bush. Il proprietario di Shekulli, il quotidiano di cui Lubonja è editorialista, ha bloccato l'articolo nella notte di venerdì scorso affinché non venisse pubblicato. Lubonja ci ha spiegato che il proprietario di "Shekulli" è legato a Fatos Nano, che ha procurato alla suacompagnia costruttrice grandi commesse pubbliche.
L'autore ha reagito inviando l'articolo a vari amici intellettuali in
Albania e nel mondo per denunciare lo scandalo di quella censura. L'articoloè circolato tanto che altri due quotidiani albanesi lunedì hanno deciso di
pubblicarlo. Anche "Shekulli", per non essere accusato di censurare i proprieditorialisti, ha pubblicato lunedì il testo di Lubonia con una nota in cui
manifestava la propria dissociazione dai contenuti. Il compartamento di"Shekulli" ha portato Lubonja a rompere la collaborazione con il
giornale.
D - Quali sono i temi che affronti nell'articolo?
R -Il mio articolo prende spunto proprio da un articolo di Fatos Nano pubblicato negli Stati Uniti in cui - scimmiottando Bush e Rumsfeld - parla
di due Europe: una vecchia e ingrata, ed una che non ha dimenticato l'obbligo di solidarietà e gratitudine che si deve agli USA. Ovviamente fra i
paesi grati verso gli USA ci sarebbe anche l'Albania, pronta a fare laguerra assieme al suo fedele alleato.
Ho trovato l'articolo stupido einfantile ed ho deciso di scrivere un editoriale per "Shekulli", il
quotidiano per il quale di solito scrivo, che poi su pressione delproprietario - legato a Nano per grosse commesse edilizie - in un primo
momento lo aveva bloccato.
D - Quali sono le tue preoccupazioni per una possibile guerra?
R - Penso che purtroppo il grande sogno illuministico di un mondo
democratico e pacifico fondato sulla cooperazione e la solidarietà all'indomani della fine della guerra fredda stia per essere definitivamenteaffossato dall'unilateralismo, caratterizzato dalla cultura e dalle idee di Huntington e di Kissinger, se proprio vogliamo sintetizzare.
Credo inoltre che un problema come quello del disarmo nucleare o chimico non possa essere affrontato con l'utilizzo di altre armi. Esso ha bisogno di cooperazione e collaborazione internazionale, non certo di guerre.
Non dobbiamo dimenticare poi che la guerra preventiva rafforza i dittatori e
i regimi autoritari. Dopo l'11 settembre si è rafforzata la dittatura pakistana, il regime autoritario turco non è stato certo messo indiscussione e a Putin è stata data carta bianca in Cecenia in cambio dell'
appoggio alla guerra al terrorismo.
D - La regione balcanica come uscirà da un eventuale conflitto in
Iraq?
R - Prima di tutto c'è un tema molto sentito, che è quello della guerra delKosovo. So che stai per chiedermi se alla luce di questi eventi io non abbia
cambiato idea sulla quella guerra che a suo tempo considerai giusta. Certoti posso dare atto che a questo punto è giusto riflettere su quella
esperienza. Io rimango però dell'idea che quella guerra fosse giustificatadalla pulizia etnica. Quello che mi preoccupa è che dopo una guerra in Iraq
non sarà ovviamente più possibile nessun intervento in nome dei dirittiumani, perché sarebbe completamente delegittimato.
Credo poi che le barriere che si stanno innalzando anche nei Balcani - come
nell'articolo di Nano - fra Europa e Stati Uniti possano rappresentare ungrave rischio di destabilizzazione, poiché mettono in crisi la politica dell
'Occidente nell'area. L'Albania non dovrebbe avere nessun interesse a questadestabilizzazione, né all'inimicizia fra USA ed Europa.
Comunque è benedire che lo spazio di riferimento politico-culturale dell'Albania è e deve
rimanere quello dell'Unione Europea. Addirittura in Albania nei giornaliimpazzano commenti per i quali l'Europa nell'area è sempre stata più amica
degli slavi, mentre gli USA degli Albanesi a partire dall'inizio del secoloscorso. Mi sembrano cose senza senso e stupide in un momento grave come
questo.
C'è questa idea bizantina tutta balcanica per la quale ci si può muovere all'interno delle liti fra i grandi attori della politica internazionale per
acquisire vantaggi. Così è avvenuto anche quando l'Albania qualche anno faaderì alla Conferenza dei Paesi Islamici, pensando di ottenere aiuti sia dai
paesi musulmani sia dall'Occidente geloso. Quello che voglio dire è che inmomenti gravi come questo non si possono fare discorsi piccoli come questo, perché i rischi sono enormi!
D - La figura di Nano è proprio il simbolo del pessimo stato dellasinistra albanese...
R - In Albania gli eredi del partito comunista - i socialisti - si
caratterizzano solo per un grande senso di colpa e per l'orgoglio neiconfronti della Resistenza, e niente più. Non hanno alcuna identità tanto
che sia a livello sociale ed economico, sia a livello internazione fannopolitiche di destra. Inoltre bisogna considerare che il pacifismo non ha mai
fatto parte nemmeno della cultura dei comunisti albanesi, poiché Hoxhapensava che fosse un'opzione di debolezza del revisionismo sovietico, che si
caratterizzava ormai per mancanza di spirito rivoluzionario.
D - Ci sono state manifestazioni in Albania?
R - No, nessuna, però ti posso dire che un sondaggio dell'agenzia Gallup ha
reso noto che più del 50% della popolazione è contraria alla guerra. Unrestante 35% la vede come opzione sotto mandato ONU, e solo l'8% crede sia
giusto fare la guerra con gli USA e pochi altri alleati.
A cura di Claudio Bazzocchi