Per Reporter senza frontiere la libertà di stampa in Albania è in piena regressione. Monopolio di grandi gruppi industriali, assenza contesto legale d'esercizio della professione, pressioni del potere politico, la vita dei giornalisti albanesi è difficile. Se poi sono gli stessi colleghi a giustificare le botte...
"A 18 anni dalla caduta del comunismo l'Albania ha ufficialmente ratificato il trattato d'adesione all'Alleanza Atlantica il 4 aprile 2009. Questo passo, unanimemente sostenuto dai media e dalla classe politica, è parso come un 'miracolo di libertà' dal quale avrebbero tratto giovamento anche i media".
Usa il condizionale il rapporto annuale di Reporter Senza Frontiere (Rsf), l'associazione che monitora la libertà di stampa in 175 Paesi del mondo. "Avrebbero"... e invece quest'anno l'Albania viene classificata all'88esimo posto, un scivolone di ben 9 posizioni in un solo anno.
E mai prudenza fu più giustificata, visto il pestaggio in pieno centro di Tirana ai danni di Mero Baze, uno dei giornalisti più noti (e più controversi) del Paese, a pochi giorni dalla pubblicazione del rapporto.
Politici ed editori, il problema
"La vivacità e la crescita del settore mediatico non sempre porta all'emergere di un vero pluralismo delle notizie e dell'informazione - afferma Rsf - il giornalismo investigativo rimane in fase embrionale e incontra difficoltà nel trovare uno spazio suo all'interno di una stampa che appartiene ai grandi gruppi industriali, i quali cercano di proteggere la propria sfera d'influenza". A mettere sotto pressione i media albanesi sono anche i "partiti politici che troppo spesso confondono le notizie con la propaganda".
Secondo Rsf, i giornalisti albanesi soffrono di una "mancanza di stabilità finanziaria e sociale" che, "collegata all'assenza di un contesto legale sull'esercizio della professione, abbandona i reporter alla mercé di decisioni arbitrarie che portano ad un maggior livello della corruzione". Con il suo 88esimo posto l'Albania finisce per essere l'ultima dei Balcani. I colleghi in Kosovo (75) e Bosnia Erzegovina (39) lavorano in un clima più sereno.
"Il controllo dei media pubblici da parte del governo è onnipresente", dice il rapporto, secondo il quale quelli privati, nonostante godano di maggiore libertà, "non sono protetti da diverse forme di pressione. Eccessivi costi per i servizi pubblici, diminuzione della pubblicità e tassazione sono tutte armi 'legali' per promuovere l'auto-censura, che ormai è palese nella maggior parte dei media albanesi".
Di una collusione tra politica e affari ha parlato anche Elsa Vidal, responsabile per l'Europa di Rsf, che in un'intervista per Deutsche Welle dice: "Personalità del mondo degli affari e della politica - a volte di entrambi, poiché c'è una grande vicinanza tra loro - si permettono di esercitare pressione in tutti i modi possibili contro i giornalisti e i media".
"Violenza giustificata"
Secondo Rsf, alcuni dei problemi più sensibili del Paese sono la corruzione, la criminalità organizzata e il contrabbando. E proprio di quest'ultimo fenomeno si stava occupando da un po' di tempo Mero Baze, editore/direttore del quotidiano Tema e conduttore del programma Tv investigativo "Faktori Plus", in onda sull'emittente privata Vizion Plus.
Attraverso la pubblicazione di alcuni documenti, Baze ha accusato Rezart Taçi (presidente di Taçi Oil, noto in Italia per un suo tentativo di comprare il Bologna) di evasione fiscale e contrabbando attraverso l'importazione di petrolio. Secondo il direttore di Tema, esistono dei forti legami di interesse tra Taçi ed il premier Sali Berisha grazie ai quali, nonostante tutte le denunce mediatiche, nessun fascicolo d'inchiesta è stato aperto per verificare la posizione dell'imprenditore albanese.
Alle 23:30 del 2 novembre scorso, Mero Baze incrocia il petroliere in un locale di Tirana. Dopo un diverbio il giornalista viene pestato per diversi minuti - da Taçi inizialmente, e dalle sue due guardie del corpo poi - secondo la ricostruzione dello stesso Baze e dei due colleghi Andi Bushati e Arban Hasani che erano in sua compagnia. Svenuto per le percosse subite, il giornalista è stato portato d'urgenza in ospedale. I due bodyguard sono subito stati fermati dalla polizia mentre Taçi si è volontariamente costituito alcuni giorni dopo. Prima di farlo, ha però negato tutte le accuse in una nota inviata ai media italiani.
Nel fiume di parole che si sono versate sulla vicenda quelle che hanno fatto più scalpore sono state le dichiarazioni di Frrok Cupi e Aleksander Frangaj: due giornalisti che in due trasmissioni televisive diverse hanno dibattuto del tema, hanno lasciato intendere che la violenza subita da Baze fosse giustificata e che, quando in alcuni casi il giornalista esagera, sarebbe anche giusto picchiarlo.
Cupi e Frangaj sono due dei giornalisti più famosi in Albania. Cupi è stato il primo direttore del primo giornale indipendente post comunista, Rilindja Demokratike, poi divenuto organo di stampa del Partito democratico. Lasciò l'incarico dopo poco tempo in seguito ad alcuni scontri con il leader del Pd di Berisha, ma ultimamente i due stanno vivendo una seconda luna di miele. Frangaj, invece, è stato giornalista e poi caporedattore di Koha Jone, il quotidiano che durante gli anni '94-'97 ha fatto la vera opposizione a Berisha e alla sua maggioranza: per questo Frangaj ai tempi è stato anche arrestato e la redazione di Koha Jone è stata addirittura data alle fiamme. Attualmente è direttore e proprietario dell'emittente privata Klan Tv, molto vicina ai democratici da quando sono tornati al potere.
Le loro parole, a quanto pare, hanno lasciato di stucco anche l'ambasciatore Usa a Tirana, John Withers, che durante un incontro con l'Unione dei giornalisti, si è detto "scandalizzato dalla posizione del signor Frangaj e di alcuni vostri colleghi". "Stento a credere ad alcune reazioni, editoriali e commenti che sembra vogliano sottintendere che Mero Baze se lo sia cercato quello che è successo con i suoi articoli provocatori, forti e premeditati", ha detto Withers.
L'ambasciatore ha svelato che oltre a Cupi e Frangaj, c'è anche qualche membro del governo che la pensa allo stesso modo. "Mi sono sentito triste - ha aggiunto - quando durante alcuni colloqui con alti esponenti del governo ho riscontrato la stessa posizione".
Una legge occidentale
Visti gli sviluppi, 135 giornalisti albanesi hanno firmato una petizione dove, oltre ad esprimere la loro preoccupazione, chiedono una legge per la stampa su parametri occidentali. "Preoccupati dal peggioramento della situazione della libertà di stampa nel nostro Paese, allarmati dai richiami pubblici di membri della maggioranza al governo a favore della violenza verso i media, scioccati dagli incitamenti alla violenza sui giornalisti da parte dei padroni dei media vicini al governo, ... ignorati da parte del governo albanese nei nostri tentativi di andare verso la verità su fatti di pubblico interesse, ci uniamo in questo richiamo pubblico che punta ad un'azione coordinata per decidere dei nuovi standard per la libertà di stampa in Albania".
"I giornalisti albanesi affrontano quotidianamente un regime politico-mediatico - si legge nella petizione - dove regna il tentativo di controllare con tutti i mezzi la libertà di parola e il giornalismo investigativo". I 135 giornalisti denunciano anche una certa politica selettiva "del governo nell'orientare il mercato della pubblicità" e un aumento del "linguaggio dell'odio verso i giornalisti critici". "Nella maggior parte dei casi queste campagne sono guidate dallo stesso premier Berisha che ha aggredito (verbalmente, ndr) e offeso alcuni noti giornalisti albanesi per via della loro linea editoriale".
Trovandosi nelle condizioni di una società con "forti legami tra la politica e la criminalità organizzata" i giornalisti albanesi chiedono "il prima possibile la stesura di una legge occidentale per la stampa, che rispetti tutti gli standard dell'Unione europea, dove venga garantito lo status del giornalista e il suo diritto di informare e accedere incondizionatamente alle informazioni ufficiali".