A distanza di 5 anni si sciolgono i rapporti tra le due capitali balcaniche. Dopo la guerra in Kosovo l'allora Federazione di Jugoslava aveva ritirato il proprio ambasciatore da Tirana. Nei giorni scorsi c'è stato il suo ritorno nella capitale albanese
La timida primavera di quest'anno ce l'ha fatta a sciogliere, oltre alla neve sui monti che dividono l'Albania e la Serbia, anche il gelo vecchio di 5 anni presente nei rapporti diplomatici tra i due Paesi. Pochi giorni fa il Presidente della Repubblica d'Albania, Alfred Moisiu, ha ricevuto in un incontro il nuovo ambasciatore dell'Unione Serbia-Montenegro, Marko Camaj, il primo a rappresentare il governo serbo a Tirana sin dalla guerra in Kosovo, quando Belgrado decise di chiudere la propria ambasciata nella capitale albanese.
Il ritorno all'insegna dello sviluppo
Le autorità di Tirana hanno visto il ritorno dell'ambasciatore serbo come un buon auspicio, perché l'Albania "è per lo sviluppo delle relazioni tra i due Paesi, a interesse anche dell'intera regione", ha spiegato il Presidente a Camaj. "La politica albanese sostiene il dialogo come mezzo per risolvere i problemi - ha continuato il Presidente, secondo il quale - un miglioramento completo nei rapporti tra i due Paesi contribuisce anche alla situazione in Kosovo e nella regione". Da parte sua, l'ambasciatore Camaj ha confermato che durante il suo mandato farà di tutto "per creare nuovi input a interesse dei due Paesi, ma anche della realizzazione del processo riguardo alla loro integrazione nella famiglia europea".
Parlando in nome del Governo, il ministro degli Esteri, Kastriot Islami, ha detto che questa è la politica delle buone relazioni con i vicini seguita dall'Albania. "Ormai siamo in una fase dove non solo esprimiamo, ma anche implementiamo la volontà di dialogo e di comunicazione tra Tirana e Belgrado, in funzione della stabilità della regione e della soluzione dei problemi più importanti, dove il Kosovo è uno di essi", ha detto.
E sicuramente, i problemi non mancano, anzi: in un momento dove Albania e Serbia tentano di ricucire il loro strappo diplomatico, l'unico a far sentire la sua voce fuori dal coro è il leader dell'opposizione, Sali Berisha. In un vertice in Svizzera con i leader dei Paesi balcanici, Berisha ha chiesto pubblicamente l'indipendenza del Montenegro dalla Serbia, spiegando che Podgorica tanti anni fa "era già stata indipendente, ma essa gli è stata tolta nella Conferenza di Varsavia del 1919 quando si creò il regno serbo-croato-sloveno e successivamente chiamatosi Jugoslavia". A Tirana tutti hanno fatto finta di non aver sentito niente ed è impossibile immaginare qualche ripercussione di questa dichiarazione di Berisha sui recenti sforzi di Tirana e Belgrado.
Anche sul Kosovo Tirana si trova spaccata. Ufficialmente, il Governo socialista albanese appoggia il filone dell'Occidente "prima gli standards e poi lo status" e vede la soluzione del problema del futuro della provincia a maggioranza albanese nel quadro della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ma è di nuovo Berisha a mostrare il disaccordo del centro destra sottolineando la necessità di far entrare nell'agenda internazionale la questione dell'indipendenza del Kosovo.
5 freddissimi anni
Le relazioni tra i due Paesi, quasi mai idilliache, subiscono nella primavera del 1999 un duro colpo. Il 25 marzo di quell'anno la Nato decide di intervenire nella carneficina kosovara con una campagna di bombardamenti a tappeto sull'allora Jugoslavia per costringere Milosevic a ritirare le truppe dalla provincia ed accettare un piano di pace. Tirana appoggia l'intervento dell'Alleanza atlantica ed è in questo momento che Belgrado decide di ritirare, prima, il proprio ambasciatore e chiudere completamente, in seguito, l'ambasciata nella capitale albanese. La stessa decisione fu presa anche per 4 Paesi membri della Nato: Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Francia.
Intanto, le autorità albanesi avevano deciso di non intraprendere nessun tipo di contromossa: l'ambasciatore di Tirana a Belgrado, Petrit Bushati (ancora in carica), non ha lasciato nemmeno per un giorno la capitale serba, neanche durante i bombardamenti, con la speranza di lasciare aperto per il futuro un canale di dialogo.
Dopo il 15 dicembre del 2000, giorno nel quale l'ex-Repubblica Federale della Jugoslavia stabilì le relazioni diplomatiche con Bosnia e Erzegovina, l'Albania rimaneva l'unico Paese nel continente europeo con il quale Belgrado non aveva nessun tipo di rapporto ufficiale. L'ostacolo maggiore nell'intraprendere il primo passo sembrava in quel periodo essere il clima di reciproca sfiducia che si respirava a Belgrado e a Tirana.
I primi segnali d'apertura da parte serba arrivano sempre nell'inverno del 2000 dall'allora ministro degli Esteri, Goran Svilanovic, il quale parlava di "ristabilire relazioni diplomatiche complete" o di "rivitalizzare le relazioni diplomatiche" evitando, però, di parlare della loro interruzione "de jure" e "de facto". Dall'altra parte, i diplomatici a Tirana specificavano che, comunque, non c'era nessun tipo di rapporto tra le due capitali e che bisognava ripristinare da capo delle nuove relazioni.
Nonostante la loro buona volontà, i leader albanesi insistevano che toccava a Belgrado fare il primo passo, essendo stati loro ad interrompere le relazioni. Il governo federale jugoslavo ha preso finalmente, nel novembre di quell'anno, la decisione di aprire il valico di Hani i Hotit tra Albania e Montenegro, articolando la decisione come prova della loro buona volontà. Una decisione formale, in ogni modo, poiché il passaggio tramite questo posto di confine ormai era una realtà, grazie ad un accordo tra Albania e Montenegro.
Si deve aspettare fino al 17 gennaio del 2001, data nella quale, dopo 5 giorni da una richiesta da parte serba, le parti arrivano ad un accordo per ristabilire le relazioni diplomatiche tra i due Paesi: Belgrado a livello di rappresentante, mentre Tirana con l'ambasciatore di sempre. Una decisione commentata male dai leader politici albanesi in Kosovo e quelli dell'opposizione in Albania: ristabilendo le relazioni diplomatiche con Belgrado, le autorità di Tirana hanno praticamente accettato la risoluzione 1244 dell'Onu, la quale riconosce il Kosovo come provincia della Serbia, scatenando, così, anche il malcontento di Pristina e del centro destra in Albania capeggiato da l'ex-presidente Berisha. Quest'ultimo, infatti, aveva riconosciuto ufficialmente, quando il suo partito era al potere (1992-'96), l'indipendenza del Kosovo.
Ora, con il ritorno dell'ambasciatore serbo-montenegrino, Tirana dovrà discutere anche su questo: da un lato c'è una decisione del Parlamento che riconosce l'indipendenza della provincia, dall'altra parte la politica filo occidentale delle attuali autorità. Ma, per essere presa sul serio da Belgrado, forse è ora che Tirana cominci ad unificare le proprie posizioni.