La tragica morte di un ragazzo in una discarica disvela una situazione di ampia illegalità nella gestione dei rifiuti nella capitale albanese. E i media tacciono
Il 16 marzo 2016 il sindaco di Tirana Erion Veliaj ispezionava la discarica di Sharrë, dove affluisce buona parte dell’immondizia della capitale. Circa duecento persone vi avevano già preso servizio ma Veliaj invitava chiunque avesse “realmente voglia di lavorare, di versare i contributi e di portare a casa un salario dignitoso” a cercare impiego tra quei rifiuti.
Il 7 agosto 2016, in quella stessa discarica, è stato rinvenuto un cadavere. Ardrit Gjoklaj aveva 17 anni e da un mese faceva il turno di notte. È stato ritrovato con il cranio deformato, la pelle scorticata, una lacerazione che attraversava il petto fino alla schiena, una gamba squarciata, diverse costole rotte e la colonna vertebrale spezzata. Le tracce organiche reperite sulla benna di un escavatore hanno reso evidente che si trattava di un incidente sul lavoro.
La gestione della discarica
Nei mesi successivi, le indagini seguite alla morte di Gjoklaj hanno dimostrato che il giovane non è stato l’unica vittima della discarica. Nella stessa zona, il 25 novembre 2015, anche il corpo di Mirvete Duka (48 anni, madre di quattro figli) era stato ritrovato esanime, schiacciato dai cingolati di un trattore. Anche allora una morte assurda finì per passare sotto silenzio; anzi la responsabilità fu fatta ricadere sulla vittima, che l’immondizia la raccoglieva in proprio, senza il permesso di accedere alla discarica.
Ma da chi è gestita la discarica di Sharrë e chi porta il peso di questi morti?
Nel febbraio scorso il comune di Tirana ha affidato Sharrë alla società 3R s.r.l, collaborazione poi interrotta a seguito dell'incidente del 7 agosto. Il contratto stipulato tra azienda e municipio – a lungo non visionabile e solo di recente trapelato sulla stampa – non derivava da alcuna gara d’appalto, non prevedeva nessun importo per il servizio prestato, né stabiliva alcun termine temporale.
Dalle testimonianze raccolte tra i lavoratori emerge un quadro tanto chiaro quanto desolante: a Sharrë le assunzioni venivano effettuate senza contratto, senza alcun versamento di contributi e addirittura senza il bisogno di un’identificazione via carta d’identità. Molti tra i lavoratori avevano dai 10 ai 17 anni. Il lavoro era diviso in tre turni della durata di otto ore ciascuno, senza alcuna pausa. Nessuna misura di sicurezza veniva rispettata, mentre dotazioni e strumenti di lavoro si limitavano, nel migliore dei casi, ad un paio di guanti. Frequenti erano invece i problemi di salute, dovuti all’inquinamento dell’aria nella zona e gli infortuni sul lavoro.
Dopo la morte di Ardrit Gjoklaj il comune ha interrotto i lavori e annullato il contratto con la 3R. Le autorità hanno emesso ordini d'arresto per quattro persone, tra cui l’uomo alla guida del macchinario che pare abbia ucciso il giovane e l’amministratore della società, Edurim Teqja, responsabile del Partito Socialista nella città di Peqin e latitante dal giorno dell’incidente.
I nomi di Ardrit e Mirvete sono finiti nel dimenticatoio e tanto la gestione della discarica quanto la raccolta dei rifiuti della capitale è ora affidata alla società “EcoTirana”, una joint venture tra il comune di Tirana e quello di Verona il cui sodalizio risale al tour che lo scorso dicembre fece Veliaj presso l’amministrazione Tosi. Chiaramente neppure per assegnare l'incarico a “EcoTirana” è stata effettuata una gara d’appalto.
Censura e propaganda
Secondo il rapporto che Balkan Investigative Reporing Network–Albania ha dedicato all’autocensura nel paese, il 92% dei giornalisti ammette che le linee editoriali dei media nazionali sono soggette ad esigenze politiche che arrivano dall'esterno mentre l’85% dichiara di aver rinunciato almeno una volta nell’arco della propria carriera a seguire un caso meritevole d’attenzione. Di solito, queste pressioni rimangono confinate nei salotti del potere e tra le mura delle redazioni. Ma nel caso di Sharrë, vale la pena segnalarlo, si è assistito a qualcosa di più.
La prima a fare i conti con la censura è stata Alida Tota, direttrice presso l’emittente A1 News. All’indomani dell’incidente sarebbero dovuti andare in onda una serie di servizi sul lavoro nella discarica, sull’assunzione di minori in nero e sulla chiusura dello stabilimento, a quanto emerge stabilita dal municipio proprio nella notte tra il 6 e il 7 agosto. Ma il giorno della messa in onda del primo di questi servizi Alida Tota è stata senza preavviso destituita dall’incarico.
Il 9 ottobre scorso è invece toccato all’emittente Vizion Plus. La rete aveva già annunciato che la morte di Ardit Gjoklaj sarebbe stata al centro della terza puntata della trasmissione investigativa “Pùblicus”. A poche ore dalla messa in onda, la stessa rete ha deciso di modificare la programmazione, sospendendo la trasmissione. Essendo il web più accomodante dei palinsesti televisivi albanesi, l’inchiesta riuscì comunque a ricavarsi la sua fetta di pubblico su Youtube.
Media e legalità
Le tragiche storie di Ardrit, di Mirvete, e dei giornalisti che non hanno raccontato la loro fine ci insegnano che per sopravvivere la maggior parte dei media albanesi si piega alle regole del potere, trasformandosi in fedeli ripetitori di comunicati stampa di istituzioni e partiti.
La distanza siderale che separa la propaganda dello stato dalla realtà del paese è rappresentata al meglio dalla discarica di Sharrë dove, nella notte del 7 agosto, è rimasto sepolto il corpo massacrato di un ragazzo di diciassette anni. Per lungo tempo in quello spazio pubblico – e dunque, in Albania – la legalità è stata interrotta. Intorno rimane il dolore lasciato da una morte incomprensibile, il silenzio di una censura ancora più grave perché palese, l’eco di una piazza che neanche in questa occasione si è riusciti a riempire.